Nel giudizio di impugnazione del riconoscimento di figlio nati fuori dal matrimonio per difetto di veridicita’, il rifiuto ingiustificato di sottoporsi ad esame genetico, in presenza di una situazione di incertezza, sul piano probatorio, circa la sussistenza o meno del rapporto di filiazione biologica fra l’autore del riconoscimento ed il figlio, deve essere valutato dal giudice, ai sensi dell’articolo 116 c.p.c., comma 2, come decisiva fonte di convincimento
Suprema Corte di Cassazione
sezione I civile
sentenza 27 luglio 2017, n. 18626
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente
Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere
Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere
Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avv. (OMISSIS), con domicilio eletto in Roma, presso la Cancelleria della Corte di cassazione;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) rappresentata e difesa dall’avv. (OMISSIS), con domicilio eletto in Roma, presso la Cancelleria della Corte di cassazione;
– controricorrente –
e contro
(OMISSIS), AVV. (OMISSIS), CURATORE SPECIALE DEI MINORI (OMISSIS) E (OMISSIS), PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI BOLOGNA;
– intimati –
avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna, n. 830, depositata in data 29 aprile 2015;
sentita la relazione svolta all’udienza pubblica del 9 gennaio 2017 dal consigliere dott. Pietro Campanile;
sentito per il ricorrente l’avv. (OMISSIS);
sentiti per la controricorrente l’avv. (OMISSIS);
udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del sostituto dott.ssa Francesca Ceroni, che ha concluso per l’inammissibilita’, e, in subordine, per il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza depositata in data 18 marzo 2010 il Tribunale di Ferrara, accogliendo l’impugnazione per difetto di veridicita’ proposta dal sig. (OMISSIS) in relazione al riconoscimento, da parte del sig. (OMISSIS), dei figli gemelli, partoriti fuori dal matrimonio dalla sig.ra (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), dichiarava che il predetto convenuto non era il padre biologico degli stessi, affermando al contempo la propria incompetenza in merito alla domanda attorea di riconoscimento del rapporto di filiazione.
2. Tale decisione si fondava sui seguenti elementi: l’inizio della convivenza fra lo (OMISSIS) e la (OMISSIS) in epoca successiva al concepimento, che viceversa era avvenuto durante il periodo cui risaliva la relazione fra la madre dei minori e il (OMISSIS); il rifiuto dei convenuti al prelievo dei campioni per l’effettuazione di una consulenza genetica, la compatibilita’ del (OMISSIS) al 99,99 per cento risultante da un test di laboratorio prodotto dall’attore, sulla base di campioni biologici prelevati dai predetti gemelli.
3. Con la decisione indicata in epigrafe la Corte di appello di Bologna ha accolto l’impugnazione proposta dalla sig.ra (OMISSIS), ed ha quindi rigettato la domanda del (OMISSIS).
4. E’ stato in particolare osservato che, non potendo attribuirsi valore probatorio al risultato dell’esame di laboratorio eseguito nell’interesse del (OMISSIS) in assenza del rispetto di qualsiasi garanzia di veridicita’ e del principio del contraddittorio, la circostanza stessa del prelievo all’insaputa dello (OMISSIS) – dei campioni sui minori da parte della madre, per consegnarli al (OMISSIS), dimostra che la (OMISSIS) evidentemente aveva dei dubbi sulla effettiva paternita’ dei minori. Ne conseguiva che, essendo evidente che all’epoca la madre intratteneva rapporti tanto con lo (OMISSIS) quanto con il (OMISSIS), mancava la prova certa dell’impossibilita’ oggettiva che l’autore del riconoscimento fosse il padre dei gemelli.
5. Per la cassazione di tale decisione il (OMISSIS) propone ricorso, affidato ad unico motivo, illustrato da memoria, cui resiste con controricorso la signora (OMISSIS).
Lo (OMISSIS) e la curatrice speciale dei minori, avv. (OMISSIS), non svolgono attivita’ difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con unico e articolato motivo, deducendo violazione e falsa applicazione degli articoli 263 e 2729 c.c., articoli 115 e 116 c.p.c., si sostiene che erroneamente la Corte felsinea avrebbe disatteso il principio secondo cui, in materia di accertamenti afferenti alla paternita’ ed alla validita’ dei correlati atti dichiarativi, il rifiuto di consentire il compimento dell’esame biologico e’ sufficiente ad integrare la prova in ordine alla sussistenza ovvero all’insussistenza del rapporto parentale.
2. Il ricorso e’ fondato.
Vale bene prendere le mosse da una recente decisione di questa Corte nella quale viene particolarmente approfondito il tema della rilevanza degli aspetti probatori nelle azioni di status, rimarcandosi come, prima della disciplina introdotta con il Decreto Legislativo n. 154 del 2013, in materia di impugnazione del riconoscimento di figlio nato fuori del matrimonio per difetto di veridicita’, si affermava che l’attore dovesse fornire piena prova della non veridicita’ del riconoscimento, apparendo tale maggior rigore giustificato dall’ampiezza dei soggetti legittimati alla proposizione della relativa azione. L’accesso alla prova genetica doveva quindi essere preceduto dal positivo vaglio del materiale probatorio acquisito, nel senso che si riteneva la necessita’ della previa acquisizione, secondo i piu’ recenti orientamenti, di almeno un principio di prova per poter dare ingresso ad un esame genetico (tra le altre, Cass. n. 10585 del 2009; n. 17895 del 2013; n. 3217 del 2014). Di recente, poi, si e’ data rilevanza al rifiuto di sottoporsi al predetto esame, pur richiedendosi l’acquisizione di congrua documentazione, ovvero un’adeguata istruttoria testimoniale (Cass., 26 marzo 2015, n. 6136, in cui si afferma, fra l’altro, che “nell’attuale contesto socioculturale caratterizzato da ampie possibilita’ di accertamento del patrimonio bio-genetico dell’individuo, pensare di “segregare” l’atto negoziale di accertamento della paternita’, escludendo il controinteressato dal fornire la prova del suo difetto di veridicita’ significa, ignorando il livello attuale delle cognizioni scientifiche e delle potenzialita’ di indagine, consentire ogni forma di abuso del diritto e, quindi, di adozione mascherata e fraudolenta del minore, non tollerabile in una societa’ civile e trasparente”).
3. Con riferimento al procedimento relativo all’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicita’, e’ stato ribadito il carattere “decisivo” della consulenza tecnica d’ufficio ematologica, o genetica (Cass., 13 novembre 2015, n. 23290), tanto “da rendere comportamento processuale dotato di pregnante rilevanza il suo ingiustificato rifiuto (Cass., 25 marzo 2015, n. 6025; Cass., 21 maggio 2014, n. 11223).
4. Il ricorso all’accertamento tecnico, e quindi, la valutazione del comportamento della parte che con il proprio rifiuto non ne consenta l’effettuazione, e’ stato giustificato anche in presenza della “non univocita’ e alla discordanza tra gli elementi acquisiti” (Cass., 16 aprile 2008, n. 10007). Tale assunto appare assolutamente condivisibile, in quanto il mancato ricorso a uno strumento, reso disponibile dal progresso scientifico e dotato di un elevato grado di attendibilita’ (Cfr. Corte cost., n. 266 del 2006), non appare del tutto coerente rispetto all’esigenza di verificare la fondatezza di una domanda attinente a una delicata questione attinente allo status della persona. Sotto tale profilo non sembra del tutto condivisibile la riferita tesi secondo cui la maggiore ampiezza dei soggetti legittimati alla proposizione della domanda ex articolo 263 c.c., legittimerebbe un diverso regime probatorio, caratterizzato, quanto a quest’ultima, da maggior rigore, relativo alle azioni, sostanzialmente speculari, in materia di filiazione. D’altra parte, l’orientamento secondo cui “l’azione di impugnazione del riconoscimento del figlio naturale per difetto di veridicita’ postula, a norma dell’articolo 263 c.c., la dimostrazione dell’assoluta impossibilita’ che il soggetto, autore dell’originario riconoscimento, sia, in realta’, il padre biologico del soggetto riconosciuto come figlio”, con conseguente impossibilita’ di prendere in considerazione come prova della non veridicita’ del riconoscimento il rifiuto del figlio riconosciuto di sottoporsi al prelievo ematologico (Cass., 11 settembre 2015, n. 17970; Cass., 10 luglio 2013, n. 17095), non trova alcun riscontro nel tenore della norma, apparendo poi distonico non solo rispetto al carattere decisivo dell’accertamento di natura genetica come sopra delineato, ma anche rispetto alla circostanza che l’attore e’ chiamato a fornire la prova di un fatto negativo.
5. In proposito giova richiamare il principio secondo cui tale prova deve essere resa mediante l’allegazione di fatti positivi di segno contrario, e puo’ essere raggiunta anche attraverso dichiarazioni testimoniali o presunzioni (cfr., ex multis, Cass., 20 agosto 2015, n. 17009, nonche’, con riferimento all’azione ex articolo 263 c.c., Cass., 19 marzo 2002, n. 3976). In tale ambito si colloca il principio, gia’ affermato da questa Corte (Cass., 22 novembre 1995, n. 12085), secondo cui l’azione di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicita’ puo’ essere accolta non solo quando l’attore provi che l’autore del riconoscimento, all’epoca del concepimento, era affetto da “impotentia generandi” o non aveva la possibilita’ di avere rapporti con la madre, ma anche quando fornisca la prova di essere il vero genitore.
6. Tanto premesso, deve verificarsi come debba essere valutato, nel procedimento in esame, il rifiuto di sottoporsi ai prelievi di natura biologica, che, com’e’ noto, deve ricondursi nella previsione dell’articolo 116 c.p.c., comma 2. Come sottolineato da recente e attenta dottrina, l’argomento di prova delineato da tale disposizione, che la giurisprudenza di questa Corte considera componente sufficiente a fondare il convincimento del giudice (cfr., Cass., 3 aprile 2013, n. 8088; Cass., 16 dicembre 2011, n. 27149; Cass., 29 settembre 2009, n. 20819), assume un valore intrinsecamente “relazionale”, nel senso che il grado di intensita’ della connessione fra il thema probandum e taluna delle circostanze indicate nella norma sopra richiamata puo’ consentire, nei casi in cui assuma particolare rilevanza, di utilizzare anche in via esclusiva l’argomento di prova come fonte esclusiva del convincimento.
Ove si consideri l’elevato grado di certezza che si puo’ conseguire attraverso l’acquisizione della prova scientifica in esame, appare evidente come al comportamento ingiustificato della parte che non consenta di raggiungere quel risultato debba attribuirsi un elevato di significativita’, tale da renderlo, come sostenuto da autorevole dottrina, “autosufficiente ai fini del giudizio di fatto”.
7. La Corte di appello di Bologna non si e’ conformata ai principi sopra esposti.
Dopo aver sottolineato che la ricostruzione della vicenda presentava delle incertezze (sulla base del rilievo che, avendo la (OMISSIS) prelevato i campioni utilizzati per un accertamento genetico ante causam all’insaputa dello (OMISSIS), evidentemente “il concepimento poteva essere anche opera sua”), il giudice del merito afferma che, dovendosi “escludere la certezza pretesa dall’articolo 263 c.c.”, l’inizio della convivenza fra lo (OMISSIS) e la madre dei gemelli quando costei si trovava al settimo mese di gravidanza assume un carattere “equivoco”, e “ancor meno vale la sottrazione processuale alla consulenza tecnica d’ufficio sul D.N.A.”. In tale modo l’argomento di prova desumibile dal rifiuto di sottoporsi all’esame genetico, il cui carattere decisivo e’ stato assolutamente negletto, sarebbe utilizzabile quando, essendosi gia’ conseguita la prova dell’assenza del rapporto di filiazione biologica, non si tratterebbe di superare una situazione di incertezza, ma di aggiungere certezza a certezza.
8. La sentenza impugnata, pertanto, deve essere cassata, con rinvio alla Corte di appello di Bologna che, in diversa composizione, applichera’ il seguente principio di diritto: “Nel giudizio di impugnazione del riconoscimento di figlio nati fuori dal matrimonio per difetto di veridicita’, il rifiuto ingiustificato di sottoporsi ad esame genetico, in presenza di una situazione di incertezza, sul piano probatorio, circa la sussistenza o meno del rapporto di filiazione biologica fra l’autore del riconoscimento ed il figlio, deve essere valutato dal giudice, ai sensi dell’articolo 116 c.p.c., comma 2, come decisiva fonte di convincimento”.
Il giudice del rinvio provvedera’, inoltre, al regolamento delle spesa relative al presente giudizio di legittimita’.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Bologna, in diversa composizione.
Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalita’ e gli altri dati significativi.
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