Corte di Cassazione, sezione I civile, sentenza 25 maggio 2016, n. 10826

Il segno distintivo costituito dal nome anagrafico e validamente registrato, non può essere di regola adottato in settori affini salvo il suo impiego limitato secondo principi di correttezza professionale, neppure dalla persona che legittimamente porti quel nome. L’inserimento nel marchio di un patronimico coincidente con il nome della persona che in precedenza l’ha incluso in un marchio registrato divenuto celebre e poi ceduto a terzi non è conforme alla correttezza professionale se non è giustificato, in ambito strettamente delimitato, dalla sussistenza di una reale esigenza di descrivere l’attività

 

Suprema Corte di Cassazione

sezione I civile

sentenza 25 maggio 2016, n. 10826

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – rel. Consigliere
Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere
Dott. DI MARZIO Fabrizio – Consigliere
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18903-2012 proposto da:

(OMISSIS) LTD., (OMISSIS) S.R.L., (OMISSIS) GMBH, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso l’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), giusta procure speciali in calce e procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

(OMISSIS), (OMISSIS) S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, in persona del Liquidatore pro tempore, GALLERIA S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso l’avvocato (OMISSIS), che rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta procure a margine del controricorso;

– controricorrenti –

contro

(OMISSIS) B.V.B.A.;

– intimata –

nonche’ da:

(OMISSIS) B.V.B.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso l’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta procura speciale per Notaio (OMISSIS) dello STATO dell’ILLINOIS, munita di Apostilla n. (OMISSIS) del 29/8/2012;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

(OMISSIS) LTD., (OMISSIS), (OMISSIS) S.R.L., (OMISSIS) S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, (OMISSIS) GMBH, (OMISSIS) S.R.L.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1682/2011 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 13/06/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/04/2016 dal Consigliere Dott. FRANCESCO ANTONIO GENOVESE;

udito, per le ricorrenti, l’Avvocato (OMISSIS), con delega, che si riporta;

udito, per la controricorrente e ricorrente incidentale (OMISSIS), l’Avvocato (OMISSIS), con delega, che si riporta;

udito, per le controricorrenti (OMISSIS) +2, l’Avvocato (OMISSIS) che si riporta;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Le societa’ (OMISSIS) Ltd., (OMISSIS) GMBH e (OMISSIS) srl, le prime due quali titolari di diversi marchi denominativi e/o figurativi contenenti il nome ” (OMISSIS)” (avendoli rilevati, nel corso del 1990, dal concordato preventivo della (OMISSIS) SpA in liquidazione), e la terza quale licenziataria generale ed esclusiva per l’Italia di tali marchi, premesso che tra gli anni 2002 e 2010 il signor (OMISSIS) e le societa’ a lui collegate ( (OMISSIS) arl e (OMISSIS) arl), dopo la rottura dei rapporti contrattuali e di collaborazione tra la persona fisica e le societa’ cessionarie dei marchi, proseguiti dalla data di acquisto dei segni distintivi fino al 2002, avevano fatto uso (e presentato domande di registrazione per) il marchio ” (OMISSIS)” (e quelli a questo assimilabili: ” (OMISSIS)”, ” by (OMISSIS)”, ” (OMISSIS)”, ecc.) unitamente ad icone e figure (cuoricini, angeli, nanetti, ecc.) per contraddistinguere, tra l’altro, capi d’abbigliamento, accessori e gadgets in vendita presso l’esercizio milanese avente identica insegna e, dal 2006, distribuiti dalla menzionata (OMISSIS) srl, nonche’ stipulando un contratto con (OMISSIS) BVBA, leader mondiale dei dolcificanti ipocalorici, con valenza di merchandising e cobranding, negoziato per contraddistinguere le confezioni del dolcificante “Canderel”, denunciavano comportamenti d’uso del marchio patronimico da loro posseduto, in quanto registrato e di particolare rinomanza, con effetti di confusione e di agganciamento al noto brand e chiedevano l’accertamento giudiziale: a) della contraffazione e della violazione del proprie privative; b) della concorrenza sleale per imitazione confusoria, appropriazione di pregi e scorrettezza professionale; c) delle statuizioni conseguenti.

1.1. I convenuti si sono tutti costituiti, contestando i primi la confondibilita’ dei segni e proponendo azione riconvenzionale, nonche’ la societa’ (OMISSIS), a sua volta, anche quella di manleva, in caso di accoglimento delle domande proposte dalle attrici.

1.2. Il Tribunale di Milano, dopo il rilascio delle misure cautelari, nel giudizio di merito, respinte le domande riconvenzionali, ha accolto gran parte delle domande principali, sull’accertamento presupposto che l’uso dei segni e delle icone oggetto della domanda delle attrici costituivano la contraffazione dei marchi e degli altri segni distintivi, oggetto del negozio di cessione del 1990, di cui inibiva l’utilizzo e ordinava la rimozione nelle insegne, con la prosecuzione del giudizio, per la liquidazione del danno.

2. L’appello principale, proposto da (OMISSIS) e dalle societa’ a lui collegate ( (OMISSIS) srl e (OMISSIS) srl), e’ stato parzialmente accolto con l'”assoluzione” dei tre appellanti dalle domande proposte in prime cure dalle attrici, il cui l’appello incidentale (relativo alle domande di concorrenza sleale) e’ stato respinto dal primo giudice, con compensazione fra le parti delle spese processuali, fatta eccezione di quelle sostenute da (OMISSIS) BVBA, poste a carico delle societa’ attrici, soccombenti.

2.1. Il giudice di appello ha suddiviso il suo giudizio in quattro parti, pur dopo averne indicato una quinta (“sull’uso del patronimico ” (OMISSIS)” in funzione distintiva o meno”) che non e’ stata formalmente esaminata con modalita’ separata, come le altre.

2.1.1. Con riferimento alla prima (ossia quella relativa al contratto del 1990), la Corte territoriale ha affermato che il patto era intercorso non gia’ con il sig. (OMISSIS), in quanto tale, ma tra il liquidatore della societa’ in concordato e le societa’ acquirenti, con la conseguente estraneita’ del noto designer, il cui diritto personalissimo al nome (garantito dall’articolo 22 Cost. e articolo 6 c.c. nonche’ dalla CEDU) sarebbe rimasto integro, quand’anche avesse riguardato la cessione dei diritti economici del suo sfruttamento, sicche’ sarebbe stato impossibile leggere nelle righe di quel patto una sorta di “clausola perpetua di non concorrenza” (che, ove anche fosse stata formulata non sarebbe stata valida). Il giudice distrettuale, pertanto, ha concluso sul punto affermando che il contratto del 1990 avrebbe avuto ad oggetto, esclusivamente, la cessione dei diritti sulle creazioni gia’ realizzate ed appartenenti alla (OMISSIS) SpA, e non gia’ al “mondo d’amore espresso da (OMISSIS)”.

2.1.2. Con riferimento alla seconda parte del ragionamento giudiziale (ossia quella relativa alla correttezza professionale di (OMISSIS)), la Corte territoriale ha condiviso una parte della motivazione svolta dal Tribunale, che pero’ era arrivato a conclusioni opposte, secondo cui l’uso non del solo cognome, ma anche del nome dello stilista, l’impiego della particella by, scritta in corsivo, e la sua posizione defilata, sarebbero indicativi di un intervento creativo dello stilista a cui nulla aggiungerebbe l’eventuale utilizzazione di espressioni piu’ marcate (del tipo: disegnato da, creato da, raccomandato da). Ogni altro elemento, pur esaminato dal primo giudice ed oggetto di ulteriore attenzione, non sarebbe idoneo a modificare la valutazione conclusiva della mancata violazione della correttezza professionale da parte del (OMISSIS).

2.1.3. Con riferimento alla terza parte (ossia quella relativa alla concorrenza sleale lamentata da (OMISSIS) e (OMISSIS)), la Corte ha condiviso il giudizio del Tribunale sul difetto dell’illecito per concorrenza sleale nei riguardi delle societa’ del gruppo (OMISSIS) in quanto le menzionate attivita’ o risalirebbero al periodo della collaborazione fra lo stilista e le societa’ acquirenti i marchi oppure avrebbero riguardo a un insieme iconografico assai comune e diffuso (i nanetti, biancaneve, ecc.) nella comunicazione.

2.1.4. Infine, le domande proposte da (OMISSIS) sarebbero o assorbite (quella di manleva) o infondate (quelle per i danni conseguenti all’esecuzione dei provvedimenti cautelari), trattandosi dell’esecuzione dell’ordine giudiziale.

3.Avverso tale decisione hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a otto motivi di censura, illustrati da memoria ex articolo 378 c.p.c., le societa’ (OMISSIS) Ltd., (OMISSIS) GMBH e (OMISSIS) srl, contro le quali hanno resistito (OMISSIS) e le societa’ a lui collegate ( (OMISSIS) srl e (OMISSIS) arl), nonche’ (OMISSIS) BVBA, con controricorso e memoria illustrativa.

3.1. Con quest’ultima, in particolare, i controricorrenti, dopo aver allegato che – successivamente alla notifica del loro controricorso – la Corte d’Appello di Milano aveva deciso altri tre giudizi tra le stesse parti, accertando e dichiarando che l’uso, del segno ” (OMISSIS)”, da parte del noto stilista, per contraddistinguere prodotti realizzati dallo stesso o allo stesso riconducibili (perche’ da lui approvati o selezionati), non interferirebbero con l’esclusiva delle odierne ricorrenti, ha – in particolare – affermato che la prima delle dette tre decisioni, non essendo stata impugnata dalla controparte, era passata in giudicato, a tal uopo allegando copia autentica munita della relativa certificazione, in data 7 aprile 2016.

3.1.1. Percio’ le societa’ controricorrenti hanno invocato l’efficacia di tale giudicato nel presente giudizio.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo di ricorso (omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5: l’idoneita’ del marchio ” (OMISSIS)” dei resistenti a generare un pericolo di confusione o agganciamento rispetto al marchio ” (OMISSIS)” delle ricorrenti) le societa’ istanti hanno lamentato l’assenza, nella decisione di appello, di un giudizio (di somiglianza/confondibilita’) tra segni e dei profili di comparazione (grafico/semantica) e di valutazione (dell’avvedutezza/diligenza) da parte del consumatore medio, considerato che il cuore del segno utilizzato dagli odierni resistenti sarebbe costituito dal patronimico ” (OMISSIS)”.

1.1. Secondo la ricorrente, il giudice distrettuale avrebbe omesso di esaminare cio’ che il giudice di primo grado aveva, invece, mostrato di ben fare, ossia che, dopo la cessione del proprio marchio patronimico, lo stilista non puo’ tornare a servirsi di esso, in riferimento a modalita’ e contesti espressivi che rimandino al periodo anteriore alla cessione, pena un sicuro effetto decettivo, di inganno e confusione, in contrasto con il Decreto Legislativo n. 30 del 2005, articolo 21, comma 1, lettera a) (ovvero CPI) o dell’equivalente disposizione di cui al Regio Decreto n. 929 del 1942, articolo 1-bis, comma 1, lettera a).

1.2. In particolare, la Corte territoriale non avrebbe risposto al quesito se l’uso del segno ” (OMISSIS)”, da parte dei resistenti, generi pericolo di confusione o attribuisca un indebito vantaggio per agganciamento alla rinomanza di quello registrato dai ricorrenti.

2.Con il secondo motivo di ricorso violazione o falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 30 del 2005, articolo 21, comma 10, lettera a), (ovvero CPI), in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, le societa’ istanti – pur consapevoli dell’abrogazione dell’articolo 366-bis c.p.c. – hanno formulato il seguente quesito di diritto: “Se il Decreto Legislativo n. 30 del 2005, articolo 21, comma 1, lettera a), (ovvero CPI) (o l’equivalente disposizione di cui al Regio Decreto n. 929 del 1942, articolo 1-bis, comma 1, lettera a)) possa esser applicato quando l’uso nell’attivita’ economica di un patronimico uguale o simile al marchio altrui genera un pericolo di confusione o agganciamento rispetto a quest’ultimo marchio altrui”.

2.1. In sostanza, secondo le ricorrenti, la Corte territoriale avrebbe violato o falsamente applicato le richiamate disposizioni di legge pur in presenza di un pericolo di confusione, anche in forma di rischio di associazione, o di agganciamento e cio’ in contrasto sia con la giurisprudenza della CGUE che di quella del giudice nazionale di legittimita’.

3.Con il terzo omessa o insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5: l’uso da parte del resistente del nome ” (OMISSIS)” come parte di un marchio generale (” (OMISSIS)”) per distinguere prodotti non recanti un apporto personale del signor (OMISSIS), le societa’ ricorrenti hanno lamentato l’assenza, nella decisione di appello, del giudizio (di somiglianza/confondibilita’) tra segni e dei profili di comparazione (grafico/semantica) non solo riferita al dolcificante Canderel di (OMISSIS) (cobrandig), come censurato con i primi due mezzi, ma anche soprattutto con riferimento a tutte le altre fattispecie portate all’esame della Corte territoriale (i prodotti (OMISSIS) e (OMISSIS), o le T-shirt del “Piccolo Principe”) e sostanzialmente non esaminate dal giudice distrettuale.

4. Con il quarto motivo violazione o falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 30 del 2005, articolo 21, comma 1, lettera a), (ovvero CPI), in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, le societa’ istanti – pur consapevoli dell’abrogazione dell’articolo 366-bis c.p.c. – hanno formulato il seguente quesito di diritto: “Se il Decreto Legislativo n. 30 del 2005, articolo 21, comma 1, lettera a), (ovvero CPI) (o l’equivalente disposizione di cui al Regio Decreto n. 929 del 1942, articolo 1-bis, comma 1, lettera a), possa esser applicato – e cosi’ in particolare, se vi sia conformita’ ai principi della correttezza professionale – quando un patronimico uguale o simile al marchio altrui sia utilizzato nell’attivita’ economica come marchio generale per contraddistinguere prodotti privi di qualsiasi apporto personale del titolare di questo medesimo patronimico”.

5. Con il quinto violazione o falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 30 del 2005, articolo 21, comma 10, lettera a), (ovvero CPI), in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, le societa’ istanti- pur consapevoli dell’abrogazione dell’articolo 366-bis c.p.c. – hanno formulato il seguente quesito di diritto: “Se il Decreto Legislativo n. 30 del 2005, articolo 21, comma 1, lettera a), (ovvero CPI) (o l’equivalente disposizione di cui al Regio Decreto n. 929 del 1942, articolo 1-bis, comma 1, lettera a), possa esser applicato – e cosi’ in particolare, se vi sia conformita’ ai principi della correttezza professionale – quando un patronimico uguale o simile al marchio altrui sia utilizzato nell’attivita’ economica per contraddistinguere prodotti non personalmente fabbricati ne’ commercializzati dal titolare di questo medesimo patronimico”.

5.1.Secondo la ricorrente, la disposizione menzionata costituirebbe norma eccezionale e percio’ da interpretarsi in senso restrittivo sicche’ la medesima non potrebbe applicarsi a prodotti di terzi (come ad es. quelli relativi al cd. packaging convenuto dallo stilista con la soc. (OMISSIS)), non ricevendo il suo titolare alcuna tutela, per carenza dell’interesse personale al suo uso.

5.2. Rendere lecito un simile utilizzo del patronimico oggetto di marchio registrato, ceduto dal suo titolare ad un prezzo anche elevato, costituirebbe una forma di aggiramento della disciplina dei marchi registrati ed una cannibalizzazione dei costosi investimenti impiegati per il suo acquisto.

6. Con il sesto violazione o falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 30 del 2005, articolo 21, comma 1, lettera a), (ovvero CPI), in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, le societa’ istanti- pur consapevoli dell’abrogazione dell’articolo 366-bis c.p.c. – hanno formulato il seguente quesito di diritto: “Se il Decreto Legislativo n. 30 del 2005, articolo 21, comma 1, lettera a), (ovvero CPI) (o l’equivalente disposizione di cui al Regio Decreto n. 929 del 1942, articolo 1-bis, comma 1, lettera a)) possa esser applicato – e cosi in particolare, se vi sia conformita’ ai principi della correttezza professionale – quando il patronimico uguale al marchio altrui: a) sia gia’ stato registrato come marchio dal suo titolare, sia stato da lui conferito volontariamente in una societa’ e sia poi stato oggetto di cessione; e/o b) quando il patronimico uguale al marchio altrui sia stato registrato programmaticamente per essere impiegato in un’attivita’ di merchandising, cobranding, comarketing per prodotti fabbricati e commercializzati da altre imprese”.

6.1.Secondo le ricorrenti, dopo aver monetizzato la notorieta’ del proprio patronimico il sig. (OMISSIS) avrebbe cercato di riappropriarsene, in evidente malafede e con pregiudizio del legittimo affidamento degli acquirenti di quel marchio, attraverso la registrazione (per un rilevante numero di categorie eterogenee di prodotti, tra i quali anche quelli alimentari) di un marchio generale (” (OMISSIS)”) per distinguere prodotti non recanti un apporto personale del signor (OMISSIS), commercializzati, in operazioni di merchandising, cobranding, comarketing, da e con altre imprese, allo scopo di sfruttare il selling power (la capacita’ evocativa) del patronimico a suo tempo oggetto di registrazione e poi di cessione a lauto prezzo.

7.Con il settimo insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5: la compatibilita’ delle modalita’ di uso del segno (” (OMISSIS)”) con i principi della correttezza professionale le ricorrenti si dolgono del fatto che un brano della motivazione contenuta in una sentenza del Tribunale di Milano, relativa ad altra controversia, sia stata fatta propria prima dallo stesso Tribunale, in questa causa e in prime cure (ma con esito favorevole alle ricorrenti odierne) e poi integralmente ripreso dalla Corte territoriale che, invece, ad esso avrebbe dato una diversa enfasi e, soprattutto, difformi conseguenze.

8. Con l’ottavo, infine, si dolgono del regolamento delle spese processuali.

9. Preliminarmente, deve essere esaminata l’eccezione di giudicato esterno, fatta valere dagli odierni controricorrenti con la memoria ex articolo 378 c.p.c..

9.1. Com’e’ noto (Cass. Sez. U, Sentenza n. 13916 del 2006), “nel giudizio di cassazione, l’esistenza del giudicato esterno e’, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile d’ufficio, non solo qualora emerga da atti comunque prodotti nel giudizio di merito, ma anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata”.

9.2. In casi siffatti “la produzione di tali documenti puo’ aver luogo unitamente al ricorso per cassazione, se si tratta di giudicato formatosi in pendenza del termine per l’impugnazione, ovvero, nel caso di formazione successiva alla notifica del ricorso, fino all’udienza di discussione prima dell’inizio della relazione”.

10. Nella specie, il giudicato esterno viene ricondotto alla sentenza della Corte d’appello di Milano, n. 3208 del 2015, che ha esaminato di un fatto analogo a quello che forma oggetto del presente giudizio: la responsabilita’ per contraffazione dei marchi delle odierne ricorrenti, attraverso l’uso del marchio ” (OMISSIS)” da parte dello stilista, in relazione ad alcuni prodotti muniti di un’etichetta pieghevole “in cui si riconosceva il merito dei suoi giovani collaboratori” (pp. 11 e 12), in una attivita’ catalogata come “building workshop”, ossia attraverso la valorizzazione di un gruppo di giovani professionisti creativi.

10.1.Tuttavia, sia il Tribunale, in prime cure, che la Corte territoriale nella sentenza in questa sede prodotta e richiamata (per valorizzare il presunto effetto di giudicato esterno), hanno a suo tempo ed al riguardo respinto l’eccezione di litispendenza tra il presente giudizio e quello che ha formato oggetto di decisione per mezzo della richiamata sentenza, in considerazione del fatto che in quest’ultima si sarebbe giudicato di “fatti ulteriori e diversi” rispetto a quelli oggetto dell’odierno giudizio.

10.2. Si comprende percio’ che anche la litispendenza (e la comunanza dei fatti oggetto della vertenza) e’ stata esclusa dagli stessi giudici di merito, con pronuncia avente valore di giudicato: di qui la conseguenza naturale, ossia la necessita’ di respingere la richiamata eccezione di giudicato esterno (svolta dagli odierni controricorrenti).

11. Nel merito, i primi sette motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, perche’ tra di loro strettamente connessi, non solo con riferimento alle censure simmetriche (dei vizi motivazionali e di violazioni di legge espresse con i primi quattro, nella sequenza motivi uno-due e motivi tre-quattro) ma anche con riferimento ai due vizi di violazione di legge restanti (il quinto ed il sesto, che sono strettamente intrecciati con le altre doglianze di violazione di legge: la seconda e la quarta) e, infine, all’ulteriore vizio motivazionale, vera e propria “sella di congiunzione” tra le doglianze motivazionali, di cui al primo ed al terzo mezzo di cassazione.

12. I mezzi, cosi’ indicati nella loro struttura, si palesano fondati nei sensi di cui alla motivazione che segue.

12.1. Va innanzitutto considerato che i giudici di merito non hanno contestato che “il cuore” del segno denominativo utilizzato dagli odierni resistenti (il marchio ” (OMISSIS)” e le ulteriori sue variabili), appare effettivamente costituito dal patronimico ” (OMISSIS)”.

12.2. Orbene, il giudice distrettuale (diversamente da quanto afferma il primo mezzo di cassazione in se’ e per se’ considerato) ha trattato, sebbene solo in una certa misura, ossia incompleta, come si dira’, dei profili del richiesto di giudizio di somiglianza e/o confondibilita’ tra i segni distintivi in conflitto e dei profili di Comparazione (grafico/semantica), anche in relazione alla – del tutto mancante – valutazione (dell’avvedutezza/diligenza) da parte del consumatore medio.

12.3. Nel porre la questione relativa a cio’ che, dopo la cessione del proprio marchio patronimico, uno stilista o designer puo’ (o non puo’) fare in relazione all’utilizzazione del proprio nome in un caso, come quello che ci occupa, in cui il creativo abbia interrotto i rapporti di collaborazione volontaria e contrattualizzata con le societa’ cessionarie, dopo qualche anno di collaborazione comune e con riferimento alle modalita’ ed ai contesti espressivi del periodo anteriore alla cessione (pena il postulato effetto decettivo, ingannatorio e confusorio), in contrasto con il Decreto Legislativo n. 30 del 2005, articolo 21, comma 1, lettera a) (ovvero CPI) o dell’equivalente disposizione di cui al Regio Decreto n. 929 del 1942, articolo 1-bis, comma 1, lettera a), la Corte milanese ha risposto attraverso il richiamo, in termini di condivisione, della motivazione gia’ resa dal primo giudice (il quale, tuttavia, aveva accolto la domanda delle attrici, diversamente che la Corte territoriale) e al formale tenore della quale, nel caso esaminato: non vi sarebbe stato l’uso del solo cognome, ma anche del nome dello stilista, con l’impiego della particella by, in corsivo e, il tutto, in una posizione defilata, cio’ che indicherebbe l’intervento personale del creativo, a cui nulla potrebbe aggiungere l’eventuale impiego di espressioni ancor piu’ marcate (del tipo: disegnato da, creato da, raccomandato da).

12.3.1.Inoltre, secondo la Corte territoriale ogni altro elemento, pur esaminato dal primo giudice ed oggetto di ulteriore attenzione, non sarebbe idoneo a modificare la valutazione di mancata violazione della correttezza professionale da parte del (OMISSIS).

12.4. Orbene, se in un tale ambito non puo’ certo dirsi che sia mancata del tutto la motivazione (primo mezzo) e una valutazione giudiziale, sia pure approssimativa, del presunto illecito da impiego decettivo e confusorio del nome dello stilista e’ pur vero (settimo motivo) che questa motivazione non e’ nient’altro che la ripresa, in forma di citazione testuale, di quella del primo giudice (a sua volta reiterativa di quanto riportato da altra sentenza, resa in diverso giudizio, fra i tanti che hanno riguardato questo noto caso) il quale, tuttavia, aveva assegnato ad essa un ruolo limitato, riguardante cioe’ una sola parte dell’attivita’ economico imprenditoriale svolta dallo stilista e cioe’ quella di cobranding con la resistente (OMISSIS) (terzo mezzo), sicche’ la verifica della tenuta della motivazione – richiesta dalle odierne ricorrenti – si rivela pienamente fondata in quanto mostra tutta la limitatezza e la parzialita’ della risposta del giudice distrettuale che, infatti, non ha tenuto affatto conto che, con tale motivazione, il riferimento all’attivita’ complessiva svolta dalle resistenti (lo stilista e le societa’ da lui partecipate) era parziale poiche’, con essa, non si consideravano tutte le altre attivita’ svolte, vuoi attraverso l’impiego di servizi e prodotti di altri protagonisti e imprese, vuoi attraverso le attivita’ economiche di merchandising, di cobranding e di comarketang, in relazione alle quali, e’ ineludibile anche la questione della retta interpretazione della norma sostanziale piu’ volte richiamata: il Decreto Legislativo n. 30 del 2005, articolo 21, comma 1, lettera a) (ovvero CPI) o dell’equivalente disposizione di cui al Regio Decreto n. 929 del 1942, articolo 1-bis, comma 1, lettera a).

12.5. Infatti, non venendo in rilievo alcuna necessita’ di distinzione tra le due previsioni normative, interpretate, in maniera sostanzialmente equivalente dalle parti contendenti e dagli stessi giudici di merito, in relazione alle questioni oggetto di dibattito processuale, non v’e’ ragione di riferire ciascuno dei pretesi illeciti commessi dagli odierni resistenti al vigore dell’una (avvenuto fino al 2005) piuttosto che dell’altra disposizione legislativa (tuttora vigente), intendendo le due fattispecie, a tali fini, come equipollenti nel vietare l’uso del patronimico in funzione decettiva e confusoria, quando e dove il suo impiego avvenga (o sia avvenuto) in violazione dei criteri regolatori della correttezza professionale.

12.6. Alla luce di tale problematica, l’interpretazione fornita dalla Corte d’appello di Milano, secondo cui l’uso del patronimico si sarebbe svolte in funzione distintiva e non di marchio appare piuttosto semplificata, per non dire banalizzata, rispetto alla complessa realta’ oggetto di allegazioni e prova da parte delle odierne ricorrenti, le quali hanno allegato e documentato una complessiva ed articolata attivita’ economica svolta non solo e non tanto dallo stilista ma, anche e soprattutto, dalle societa’ da lui partecipate, onde la risposta della Corte territoriale appare monca perche’ mancante rispetto all’esigenza che quell’interpretazione venisse svolta alla luce di tutti i profili di diritto implicati e oggetto delle doglianze di cui ai motivi secondo, quarto, quinto e sesto del rincorso per cassazione.

13. Questi, infatti, per il tramite della tutela accordata al marchio registrato, attengono anzitutto all’interpretazione del Regio Decreto n. 929 del 1942, articolo 1-bis, comma 1, lettera a) (legge marchi (LM) del 1942), inserito, a seguito della riforma del 1992 (Decreto Legislativo n. 480 del 1992, emanato con la recezione in Italia della direttiva CEE n. 88/104), non piu’ in vigore, essendolo ora l’articolo 21 del Codice della proprieta’ industriale (CPI), di cui al Decreto Legislativo 10 febbraio 2005, n. 30. Ma, come si e’ gia’ accennato sopra, riguardano anche il problema della denominazione sociale e dei limiti che ad essa pone l’articolo 13 L.M. (ora 22 CPI).

13.1. In particolare, attengono alle questioni che seguono, tra loro strettamente connesse:

a) se la limitazione dei diritti di marchio di impresa registrato possa essere applicata solo in relazione all’uso da parte del terzo del proprio nome, che collida con un anteriore marchio registrato altrui;

b) se il detto marchio oggetto di preesistente registrazione, divenuto rinomato, sia stato addirittura registrato da colui che, successivamente (e per varie evenienze) se ne sia privato per averlo ceduto, a prezzo non vile, ma che ora intenda far valere opponendosi alla pretesa inibitoria in quanto considerato illecito agganciamento/utilizzazione;

c) se un tale utilizzo del patronimico sia, ancor piu’, subordinato alla sussistenza di una reale esigenza descrittiva inerente all’attivita’, ai prodotti o ai servizi del terzo;

d) se l’inserimento del marchio forte altrui nella propria denominazione sociale e nel proprio marchio di fatto possa considerarsi oppure no legittimo, sotto il profilo sia della tutela del marchio registrato, sia della correttezza professionale.

13.2. Con riferimento al marchio, in se’ e per se’ (ed in relazione al conflitto marchio-marchio), le questioni sollevate con i tre motivi di ricorso sopra menzionati trovano una risposta nel precedente di questa stessa sezione n. 29879 del 2011.

13.2.1. Con esso, infatti, si e’ esaminata una fattispecie concreta del tutto analoga, affrontandola e risolvendola nell’identico stadio della legislazione (ossia alla luce del Regio Decreto 21 giugno 1942, n. 929, articolo 1-bis, in materia di marchi registrati, nel testo aggiunto dal Decreto Legislativo 4 dicembre 1992, n. 480, articolo 2).

13.2.2. In base a tale previgente articolazione normativa (ma, nella specie, applicabile ratione temporis), in una fattispecie in cui questa Corte ha ravvisato il cuore del secondo marchio (” (OMISSIS)”), nel patronimico comune ai due (” (OMISSIS)”), ritenendo insufficiente la differenziazione rispetto al primo marchio (” (OMISSIS)”), gia’ registrato dal ricorrente e contrassegnante la produzione ed il commercio degli stessi prodotti, questa Corte ha enunciato il principio di diritto secondo cui “l’utilizzazione commerciale del nome patronimico, deve essere conforme ai principi della correttezza professionale e, quindi, non puo’ avvenire in funzione di marchio, cioe’ distintiva, ma solo descrittiva, in cio’ risolvendosi la preclusione normativa per il titolare del marchio di vietare ai terzi l’uso nell’attivita’ economica del loro nome; ne consegue che sussiste la contraffazione quando il marchio accusato contenga il patronimico protetto, pur se accompagnato da altri elementi”.

13.2.3. Tale enunciato, peraltro, e’ stato ribadito anche nel quadro della legislazione attualmente vigente (ossia nel vigore del Codice della proprieta’ industriale, ai sensi dell’articolo 21 del menzionato Decreto Legislativo n. 30 del 2005) dalla sentenza n. 6021 del 2014, con la quale e’ stato affermato che l’avvenuta modifica normativa, rispetto alla previsione del Regio Decreto 21 giugno 1942, n. 929, articolo 1-bis (con la soppressione dal testo normativo delle parole “e quindi non in funzione di marchio, ma solo in funzione descrittiva”), ha lasciato ferma la necessita’ che l’uso del marchio debba essere conforme ai principi della correttezza professionale (e, a tal proposito, si veda altresi’ il riferimento contenuto nella recentissima sentenza di questa sezione n. 23648/14 depositata il 6 novembre 2014).

13.2.4. Invero, una volta che un segno costituito da un certo nome anagrafico sia stato validamente registrato come marchio, neppure la persona che legittimamente porti quel nome puo’ piu’ adottarlo (come marchio) in settori merceologici identici o affini (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 7482 del 1995). Il diritto al nome trova, percio’, una chiara compressione nell’ambito dell’attivita’ economica e commerciale, rispetto all’avvenuta sua registrazione da parte di altri.

13.2.5.E tuttavia, il rigore di tale previsione e’ attenuato dalla facolta’, consentita dalla legge, di far uso del proprio nome anagrafico (o del proprio indirizzo) che sia coincidente con un marchio registrato anteriore.

13.3. Tale limitazione, in apparenza, maggiore sotto il vigore del menzionato articolo 1-bis LM rispetto all’attuale tenore dell’articolo 21 del CPI, e’ rimasto sostanzialmente immutato (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6021 del 2014), dovendosi avere riguardo al principio della correttezza professionale, come del resto richiede la stessa giurisprudenza comunitaria in tema di malafede nella registrazione dei marchi patronimici (da ultimo: Tribunale dell’Unione Europea, 11/07/2013, causa T-321/10; Corte giustizia dell’Unione Europea, 05/07/2011, causa C263/09).

13.4. Nel caso che ci occupa, tuttavia, vi e’ stato l’inserimento di un marchio forte altrui cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4839 del 2000: e’ da escludere che il marchio costituito dall’uso di un patronimico possa essere considerato debole, sempre che il nome utilizzato non abbia alcuna relazione col prodotto e non venga usato nella consuetudine di mercato per designare una categoria di prodotti nel proprio (conflitto marchio-marchio), oltre che nella denominazione sociale di un esercizio commerciale aperto nella citta’ di Milano.

13.4.1. Infatti, il giudice di merito non ha correttamente considerato che il marchio patronimico ha generale valenza di marchio forte (cosi’ la dottrina prevalente e la stessa giurisprudenza di questa Corte: Sentenze nn. 4839 del 2000 e 29879 del 2011).

13.4.2. Per questa sola ragione il suo inserimento in altro marchio o in altra ragione sociale non puo’ considerarsi ne’ legittimo ne’ lecito, salvo che l’uso da parte del terzo del proprio nome (che collida con un anteriore marchio registrato altrui) sia giustificato dalla sussistenza di una reale esigenza descrittiva inerente all’attivita’, ai prodotti o ai servizi del terzo.

13.4.3. Nella specie, come illustrano le premesse fattuali del caso, l’inserimento nel marchio denominativo utilizzato dallo stilista ( (OMISSIS)), e dalle societa’ da lui partecipate, del suo cognome (” (OMISSIS)”), gia’ oggetto di cessione (da parte della (OMISSIS) SpA a cui lo stilista li aveva in precedenza conferiti), ad un prezzo adeguato e corrispondente alla sua rinomanza – secondo quanto accertato dalla stessa Corte territoriale avrebbe avuto funzione espressiva della personalita’ del designer e, percio’, meramente descrittiva e non distintiva, con esclusione di ogni ipotesi di illecito.

13.4.4. In tal modo, pero’, come osservano le ricorrenti, la pretesa descrittivita’ dell’addizione del patronimico al presunto cuore del marchio (la parola ” (OMISSIS)”) ha comportato un rilevante impiego del patronimico: non solo nelle attivita’ riconducibili strettamente al lavoro creativo del designer e dello stilista (per quanto queste possano essere dilatate) ma anche in attivita’ di coordinamento del lavoro altrui, della commercializzazione di prodotti di altre imprese e nei settori piu’ disparati, in vere e proprie attivita’ economiche di merchandising, di cobranding e di comarketing che, oltre a non formare oggetto dell’obbligo della specifica motivazione, come detto sopra al 12 e ss., non appaiono conformi all’interpretazione secondo buona fede, richiesta dall’articolo 1-bis LM (e 21 CPI) ed alla ristretta area in cui l’uso del patronimico, dapprima registrato come marchio dallo stesso suo autore che l’ha poi ceduto a prezzo congruo, puo’ consentire ancora al suo creatore di poterlo in qualche misura impiegare, con riferimento descrittivo alle sue attivita’ professionali, senza che si produca l’effetto di agganciamento e di confusione di cui giustamente si dolgono le ricorrenti.

14. In conclusione, i primi sette motivi di ricorsi sono fondati (con riferimento al conflitto marchio-marchio) e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio, affinche’ il giudice di merito (in uno con la liquidazione delle spese di questa fase, cio’ che comporta l’assorbimento dell’ultimo mezzo) compia un nuovo esame dei fatti e delle domande proposte dalla ricorrente, motivando anche in ossequio ai seguenti principi di diritto:

– Un segno distintivo costituito da un certo nome anagrafico e validamente registrato come marchio denominativo, non puo’ essere di regola adottato, in settori merceologici identici o affini, come marchio (oltre che come denominazione sociale), salvo il suo impiego limitato secondo il principio di correttezza professionale, neppure dalla persona che legittimamente porti quel nome, atteso che il diritto al nome trova, se non una vera e propria elisione, una sicura compressione nell’ambito dell’attivita’ economica e commerciale, ove esso sia divenuto oggetto di registrazione, prima, e di notorieta’, poi, ad opera dello stesso creativo che poi l’abbia ceduto ad altri;

L’inserimento, nel marchio, di un patronimico coincidente con il nome della persona che in precedenza l’abbia incluso in un marchio registrato, divenuto celebre, e poi l’abbia ceduto a terzi, non e’ conforme alla correttezza professionale se non sia giustificato, in una ambito strettamente delimitato, dalla sussistenza di una reale esigenza descrittiva inerente all’attivita’, ai prodotti o ai servizi offerti dalla persona che ha certo il diritto di svolgere una propria attivita’ economica ed intellettuale o creativa ma senza trasformare la stessa in un’attivita’ parallela a quella per la quale il marchio anteriore sia non solo stato registrato ma abbia anche svolto una rilevante sua funzione distintiva.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese di questa fase, alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *