Il testo integrale

Suprema Corte di Cassazione

Sezione III Civile

Sentenza 16 novembre 2011, n. 24016

Svolgimento del processo

1.- Investito il (omissis) da un autobus (che lo aveva colpito col proprio spigolo anteriore destro quando la vittima già si trovava sul marciapiede di una strada di Palermo al termine dell’attraversamento sulle strisce pedonali), il diciassettenne G.F. morì otto ore dopo in ospedale.

Il Tribunale di Palermo, decidendo con sentenza 2549/05 sulle domande risarcitorie dei genitori e del fratello, ritenne che la responsabilità esclusiva fosse da ascrivere al conducente dell’autobus, escluse la sussistenza di un danno non patrimoniale del defunto trasmissibile iure hereditario e liquidò ai congiunti per danno biologico e morale, all’attualità ed esclusi gli interessi, le seguenti somme:

a) al padre C.G. (di 46 anni al momento del sinistro) circa 108 milioni di lire per invalidità permanente del 25% da disturbo depressivo postraumatico e 500 milioni per danno morale;

b) alla madre M.A. (di 43 anni) circa 76 milioni per danno biologico da invalidità permanente del 20% da disturbo depressivo postraumatico e 500 milioni per danno morale;

c) al fratello G.G. (di 16 anni) circa 128 milioni per invalidità permanente del 25% da disturbo depressivo postraumatico e 350 milioni per danno morale.

2.- La Corte d’appello di Palermo, con sentenza n. 24 dell’8.4.2009, ha invece riconosciuto 160 milioni di lire (pari ad Euro 80.000) per danno non patrimoniale patito dal defunto e trasmissibile iure hereditario, ha confermato il danno biologico direttamente subito dai congiunti anche in ordine al quantum, ha ritenuto eccessiva la liquidazione del danno morale effettuata dal tribunale ed ha rideterminato – rispettivamente per padre, madre e fratello del defunto – il danno non patrimoniale complessivo, inclusa la voce relativa al danno biologico, nell’equivalente in Euro di circa 129, 100 e 140 milioni di lire.

Ha poi compensato le spese del grado e respinto il motivo di appello degli attori relativo alle spese del primo grado, già liquidate in loro favore in circa Euro 20.000.

3.- Ricorrono per cassazione i congiunti del defunto, affidandosi a sei motivi.

Resistono con controricorso Amat s.p.a. (proprietaria dell’autobus) e U.G.F. s.p.a., già Unipol (assicuratrice del mezzo), che propongono ricorso incidentale fondato su un unico motivo, anche.

L’intimato D.M. (conducente dell’autobus) non ha svolto attività difensiva.

A. ed U.G.F. hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

1.- Dei ricorsi, riuniti perché proposti avverso la stessa sentenza, va preliminarmente esaminato il ricorso incidentale, col quale è denunciata “violazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360, n. 5; erronea motivazione” per avere la corte ritenuto che il ragazzo si trovasse sul marciapiede benché gli stessi attori avessero affermato che egli stava completando l’attraversamento.

1.1.- Il motivo è inammissibile per inosservanza degli artt. 360, n. 5, e 366 bis c.p.c., non essendo stato chiarito perché, ai fini dell’attribuzione dell’esclusiva responsabilità al conducente dell’autobus, la questione avesse valenza decisiva e l’affermato vizio della motivazione la renda inidonea a sostenere la decisione.

2.- Il primo motivo del ricorso principale (violazione dell’art. 437 c.p.c.) è manifestamente infondato in quanto, in difetto di una previsione che ne sancisca la nullità (art. 156, primo comma, c.p.c.) il rinvio dell’udienza di discussione non comporta la nullità della sentenza.

3.- Manifestamente infondato è anche il secondo motivo (violazione dell’art. 112 c.p.c., per essere stato il danno morale proprio dei congiunti liquidato in difformità dalla richiesta degli responsabili, nel senso che fosse riconosciuta una frazione del danno biologico che sarebbe spettato al soggetto direttamente leso se fosse sopravvissuto) per l’assorbente ragione che a pagina 5, primo capoverso, della sentenza risulta invece che essi s’erano doluti della liquidazione effettuata dal tribunale in base “ad un puro automatismo, senza procedere alla necessaria personalizzazione”. Difetta, dunque, il presupposto stesso della censura.

4.- Col terzo motivo – deducendosi violazione di norme di diritto (artt. 2 Cost., 2043, 1226 e 2059 c.c.) nonché motivazione omessa, insufficiente o contraddittoria – la sentenza è censurata per avere, un volta confermata la liquidazione del primo giudice in ordine al danno biologico patito direttamente dai congiunti, immotivatamente liquidato il danno non patrimoniale complessivo da ciascuno di loro subito in somme irrisoriamente superiori (di Euro 6.700 per il padre, di Euro 9.500 per la madre e di Euro 1.000 per il fratello), così riducendo a mero simulacro la valutazione del danno morale.

4.1.- Il motivo è fondato sotto il profilo del vizio della motivazione.

Essendo i valori effettivamente quelli indicati (quali risultano dalla differenza tra quanto complessivamente liquidato dalla Corte d’appello per danno non patrimoniale e quanto riconosciuto per il danno biologico da ciascuno subito, ritenuto congruamente liquidato dal primo giudice: cfr. pag. 11, prima parte, della sentenza impugnata), la decisione non può ritenersi sorretta da quanto si legge a pagina 16 nel senso che le somme complessive poi indicate in Euro 67.000 per il padre, Euro 52.000 per la madre ed Euro 140.000 per il fratello r siano comprensive “del danno biologico iure proprio già riconosciuto dal primo giudice ed adeguatamente personalizzato da questa Corte alla luce delle circostanze sopra evidenziate” (n.d.e.: giovane età della vittima, rapporto di convivenza, intensa sofferenza espressa da tutto il nucleo familiare).

Quale sia stata l’adeguata personalizzazione del danno biologico non è detto. Ed era essenziale che lo fosse, giacché dal computo aritmetico cui s’è fatto riferimento risulta che la differenza riconosciuta per danno non patrimoniale complessivo, che va liquidato anche in riferimento ai pregiudizi ulteriori, derivati dalla perdita del rapporto parentale e della permanente sofferenza dei congiunti sopravvissuti (Sez. un., n. 26972 e ss. del 2008), è immotivatamente contenuta in valori effettivamente irrisori, del tutto inusuali e non tali da garantire l’integralità del risarcimento.

Non è, in particolare, chiarito se l’esigenza di una complessiva valutazione del danno non patrimoniale alla luce dei criteri fissati dalle Sezioni unite imponesse una rideterminazione del danno biologico (da intendersi conseguito ad una degenerazione in malattia della sofferenza psichica), nella specie peculiarmente riconosciuto, come tale, a tutti i congiunti in misura niente affatto trascurabile; ovvero se e in quale misura, in realtà, il riconosciuto danno biologico non fosse già largamente comprensivo proprio del pregiudizio psichico conseguito alla morte ed alla elisione del rapporto parentale col defunto.

5.- Col quarto motivo – deducendo violazione di norme di diritto ed ogni possibile tipo di vizio della motivazione – i ricorrenti si dolgono che sia stata rifiutata la liquidazione del danno da lesione della salute subita dal defunto per la ravvisata ristrettezza del tempo di sopravvivenza alle lesioni (otto ore).

5.1.- Premesso che la corte d’appello ha riconosciuto Euro 80.000 per la sofferenza derivata al defunto dalla consapevolezza della gravità delle lesioni subite e che la lesione della salute s’è protratta per circa otto ore, il motivo è infondato in relazione alla sostanziale irrilevanza economica della mancata liquidazione del danno alla salute per un così breve intervallo di tempo.

6.- Col quinto motivo la sentenza è censurata per violazione di norme di diritto ed omessa o insufficiente motivazione in ordine alla liquidazione di Euro 80.000 di cui sopra, sostenendosene la irrisorietà.

6.1.- Escluso che la liquidazione (tra l’altro effettuata in relazione all’epoca della sentenza di primo grado) sia irrisoria, la Corte d’appello ha motivatamente giustificato la liquidazione con le osservazioni di cui alle pagine 17 e 18 della sentenza, che in larga misura considerano proprio quanto i ricorrenti a torto affermano essere stato pretermesso. Né in alcun modo indicano quale sarebbe stata, a loro avviso, una liquidazione non irrisoria o comunque equa.

7.- Il sesto ed ultimo motivo, concernente il rigetto del motivo d’appello relativo alla liquidazione delle spese di primo grado (Euro 20.000, ritenuta insufficiente) è inammissibile per assoluta inadeguatezza del quesito di diritto e delle indicazioni da offrire ex art. 366 bis c.p.c., essendo sostanzialmente domandato solo se la censura sia fondata.

8.- Conclusivamente, respinto il ricorso incidentale e tutti i motivi del ricorso principale ad esclusione del terzo, la sentenza va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla stessa corte d’appello in diversa composizione, affinché rinnovi l’apprezzamento sulla liquidazione del danno non patrimoniale complessivamente subito da ciascun congiunto.

Il giudice del rinvio liquiderà anche le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione accoglie il terzo motivo del ricorso principale, rigetta gli altri motivi ed il ricorso incidentale, cassa in relazione e rinvia, anche per le spese, alla corte d’appello di Palermo in diversa composizione.

 

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