Suprema Corte di Cassazione
sezione I
sentenza 4 giugno 2014, n. 12542
Svolgimento del processo
Con sentenza 24/7/2008- 19/1/2009, la Corte d’appello di Roma, in accoglimento dell’appello proposto dal Ministero dell’economia e delle finanze, ed in riforma della sentenza impugnata, ha revocato il decreto ingiuntivo emesso dal Presidente del Tribunale di Roma in favore dell’avv. prof. S.G. per l’importo di L. 48.812.050, oltre interessi e spese, quale compenso per l’attività di presidente del collegio arbitrale di disciplina, svolta in favore del Ministero.
La Corte d’appello ha ritenuto di attribuire natura rituale all’arbitrato ex art.59 del d.lgs. 29/93, richiamando a riguardo l’orientamento del S.C., e non già di atto negoziale e quindi con incarico professionale al prof. S. , come ritenuto dal Tribunale; ha ritenuto di assimilare l’attività del presidente del consiglio di disciplina all’attività giurisdizionale, e, in mancanza di criteri di legge e della fissazione della retribuzione da parte dell’Amministrazione, la Corte territoriale ha ritenuto equa la retribuzione già fissata, prevedendo essa un compenso per ciascuna riunione indipendentemente dal numero dei ricorsi trattati, ed essendo certamente l’attività resa dal prof. S. indipendente da quella professionale dello stesso al di fuori di detto incarico.
La Corte del merito ha infine rilevato che detti criteri valgono per tutti i presidenti delle diverse sezioni del consiglio di disciplina e che l’analogo riferimento alle udienze e non ai procedimenti trattati vale per i componenti “laici” di collegi giurisdizionali.
Ricorre avverso detta pronuncia l’avv. prof. S. sulla base di cinque motivi.
Si difende il Ministero con controricorso.
Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
1.1.- Col primo motivo, il ricorrente si duole della violazione dell’art. 1709 c.c., per avere la Corte d’appello confuso due profili assolutamente distinti, la natura del lodo ed il conferimento dell’incarico di arbitro, così illegittimamente concludendo nel senso che solo nell’arbitrato irrituale sarebbe configurabile il mandato professionale a svolgere l’attività di arbitro con funzioni di presidente.
Secondo la parte, ove conferito mandato professionale a svolgere attività di arbitro ad un avvocato, ne consegue il diritto al compenso secondo le tariffe professionali, in applicazione dell’art. 1709 c.c., da cui l’illegittimità della determinazione unilaterale dell’Amministrazione, assunta successivamente alla richiesta della parte al Consiglio dell’ordine, e con valenza retroattiva.
1.2.- Col secondo motivo, il ricorrente si duole della violazione dell’art. 2233 c.c., per avere l’Amministrazione richiesto all’avvocato la prestazione d’opera intellettuale, per cui, in assenza di una convenzione tra le parti, il compenso va determinato secondo la norma cit..
1.3.- Col terzo motivo, il ricorrente denuncia, ex art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 57 del r.d.l. 1578/1933, dell’art.6, d.lgs.lgt. 170/1946, dell’art. 1 L. 536/49, dell’art. unico L. 1051/1957 e del d.m. 585/1994.
La parte sostiene l’obbligatoria applicabilità della tariffa professionale di cui al d.m. 585/1994, vigente all’epoca della prestazione, che contempla espressamente la misura dell’onorario spettante all’avvocato che abbia svolto la funzione di arbitro o di presidente del collegio arbitrale, senza distinzione tra rituale ed irrituale.
1.4.- Col quarto mezzo, il S. denuncia la violazione dell’art. 24 L. 794/42 (trattandosi di prestazioni professionali svolte prima della L. 248/06), che prevede l’inderogabilità convenzionale degli onorari e diritti stabiliti per le prestazioni degli avvocati e procuratori, norma violata, secondo la parte, dalla retribuzione fissata dall’Amministrazione, nel prevedere il compenso per ciascuna riunione, svincolato dal numero dei ricorsi trattati.
1.5.- Col quinto motivo, la parte si duole della violazione dell’art. 59 del d.lgs. 29/1993, sostenendo che, una volta scelto un avvocato come presidente del collegio arbitrale previsto da detta norma, l’Amministrazione soggiace per intero alla disciplina del mandato,alla presunzione di onerosità con l’obbligo di individuare il compenso in relazione alla tariffa professionale ed all’obbligatorietà della stessa, nella parte in cui individua la misura dei compensi per gli arbitri esercenti la professione forense.
Secondo il ricorrente, la commisurazione da parte dell’Amministrazione della retribuzione al “gettone di presenza attribuito ai componenti interni della pubblica amministrazione” (così nella lettera del 28 aprile 2000, indirizzata al Consiglio dell’ordine degli avvocati di Roma) finisce per violare la previsione dell’art. 59 del d.lgs. cit., per via dell’evidente illegittima assimilazione tra soggetti necessariamente esterni all’Amministrazione (i presidenti dei collegi arbitrali) ed i soggetti interni.
2.1.- I motivi del ricorso, in quanto strettamente collegati, vanno esaminati congiuntamente. L’avv. S. è stato nominato il 27/3/1997 dall’Amministrazione quale presidente del collegio arbitrale di disciplina di cui all’art. 59 del d.lgs. 29/1993; tale norma(abrogata successivamente dal d.lgs. 165/2001) prevedeva l’affidamento della definizione delle controversie tra dipendenti ed amministrazioni pubbliche in materia disciplinare ad un collegio arbitrale, composto da due rappresentanti designati dall’Amministrazione e due rappresentanti dei dipendenti, e da un presidente esterno all’Amministrazione, “di provata esperienza e indipendenza”; con provvedimento del 14 aprile 2000, successivamente all’espletamento dell’incarico, l’Amministrazione determinava unilateralmente il compenso per l’attività, con riferimento alla tariffa professionale degli avvocati di cui al d.m. 585/1994, non già con riguardo agli onorari previsti per gli arbitri, ma con riferimento al compenso previsto per la partecipazione degli avvocati ad una sola udienza; l’avv. S. chiedeva ed otteneva decreto ingiuntivo per la somma di L. 48.812.050, determinata con riferimento alla qualità e quantità degli incarichi ed all’esito dei procedimenti, e col parere di congruità da parte del Consiglio dell’Ordine.
Avuto riguardo alla stessa espositiva del ricorrente (pag. 3 del ricorso), ed alla tesi di fondo dallo stesso sostenuta e come tale sottesa ai motivi, deve ritenersi che, a fronte della determinazione dell’Amministrazione del compenso, parametrato alla tariffa professionale degli avvocati di cui al d.m. 585/94, ma considerandosi la sola partecipazione ad ogni riunione, il ricorrente ha fatto valere la richiesta di applicazione delle dette tariffe, ma avuto riguardo ai singoli ricorsi trattati. E che in tali termini vada esattamente ricostruita la materia del contendere, al di là di una certa “ridondanza” dei motivi del ricorso (articolati anche per l’applicabilità in linea generale delle tariffe professionali), si evince con chiarezza da quanto dedotto dal ricorrente alle pag. 4-5 della memoria ex art.378 c.p.c., in riferimento alla determinazione dell’Amministrazione, assunta con riferimento alla tariffa forense, considerandosi l’onorario per la partecipazione alle udienze, di contro alla propria richiesta, di riconoscimento dell’applicazione della tariffa professionale in relazione ai singoli ricorsi trattati.
Ciò posto, si deve rilevare che, in tesi del ricorrente, la determinazione del compenso da parte dell’Amministrazione dovrebbe ritenersi illegittima, in quanto in violazione della inderogabile previsione tariffaria del compenso per lo svolgimento da parte dell’avvocato dell’attività arbitrale.
Tale assunto non può condividersi, atteso che la tariffa di cui al d.m. 585/94, applicabile ratione temporis, prevede l’onorario per gli avvocati componenti di collegi arbitrali, richiedendo che si tratti di collegi arbitrali composti da avvocati (in tal senso, l’art. 9 della Tabella degli onorari per le prestazioni stragiudiziali prevede: “Al Collegio arbitrale composto da avvocati e/o procuratori legali, oltre al rimborso delle spese documentate, è dovuto il seguente onorario…”), requisito che è insussistente nel caso dei collegi arbitrali di disciplina di cui si tratta.
Ed in senso conforme, si sono espresse, tra le altre, le pronunce 7764/04 e 11128/06, ritenendo che la disposizione di cui al punto 9) della Tabella di cui al d.m. 585/94, contenuta nella disciplina dei compensi per l’attività forense anche stragiudiziale e pertinente, quindi, ai soli soggetti iscritti al relativo albo e solo nei loro confronti vincolante, non può trovare applicazione con riguardo ai collegi arbitrali a composizione mista, nei quali gli avvocati non rappresentino la totalità del collegio (dette pronunce hanno ritenuto applicabile in detti casi l’art. 814, secondo comma, c.p.c., in base al quale il presidente del tribunale, nell’esercizio dei suoi poteri discrezionali, è libero di scegliere, secondo il suo prudente apprezzamento, i criteri equitativi di valutazione che ritenga più adeguati all’oggetto ed al valore della controversia, nonché alla natura ed all’importanza dei compiti attribuiti agli arbitri, ma tale procedimento prevede il ricorso da parte di tutti i componenti del Collegio – in tal senso, la pronuncia 8872/06 – ed è quindi palesemente inapplicabile nel caso, vista la speciale composizione dei Collegi).
Ne consegue la reiezione del ricorso, con la correzione della motivazione della sentenza impugnata nei termini sopra rilevati, ex art. 384, ultimo comma c.p.c..
La novità della questione giustifica la compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso; compensa le spese di lite tra le parti.
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