Corte di Cassazione,sezione III, sentenza 14 ottobre 2011, n. 2128. In tema di cose in custodia agisce come limite della responsabilità il caso fortuito e l’onere della prova ricade in capo al custode.

 

Le massime

Il semplice rapporto con la cosa in custodia e il nesso causale tra la cosa e il danno arrecato fa sorgere la responsabilità oggettiva di chi si trova in una relazione di fatto con la cosa che gli consente di prevedere e controllare i rischi ad essa inerenti, sempre che il danno sia provocato dalla stessa.

Sussiste, però, quale limite di responsabilità, il caso fortuito; il danneggiato è tenuto a provare soltanto l’esistenza di un effettivo nesso causale tra cosa e danno, spettando, invece, al custode provare positivamente il fatto estraneo alla sua sfera di controllo avente impulso causale autonomo rimanendo la responsabilità in capo al custode qualora persista l’incertezza sull’individuazione della causa concreta. (Nella sefattispecie, l’applicazione della norma era stata frutto di error in iudicando, essendo il giudice del gravame giunto a conseguenze diverse da quelle previste dalla norma stessa, che contraddicono la pur corretta sua applicazione per aver proceduto al rilievo di ufficio della sussistenza del caso fortuito derivante da fatto di parte danneggiata e all’accertamento e valutazione del grado di diligenza di tale parte nell’uso della cosa in custodia, pur sussistendo in primo grado la contumacia del custode-convenuto, compiendo indagini e rilievi di ufficio in violazione della regolamentata distribuzione dell’onere della prova, compiendo attività che la norma non consente rendendo, di conseguenza, la sentenza viziata da falsa applicazione di norma di diritto.)

Il testo integrale

Suprema Corte di Cassazione

Sezione III Civile

Sentenza 14 ottobre 2011, n. 21286

In fatto

Nel marzo del 2006 M. M. propose appello avverso la sentenza del giudice di pace di Caserta, che ne aveva rigettato la domanda – proposta nei confronti dello IACP, di quel Comune e dell’ Assitalia s.p.a. — volta ad ottenere il risarcimento dei danni subiti a seguito dalla caduta da uno scalino sconnesso di una assai mal illuminata rampa di scale posta all’interno del fabbricato di proprietà del predetto istituto autonomo.

L’ impugnazione fu rigettata dal giudice unico presso il tribunale di S. Maria Capua Vetere.

La sentenza è stata impugnata dalla M. con ricorso per cassazione sorretto da 4 motivi.

Le parti intimate non hanno svolto attività difensiva.

In diritto

Il ricorso è fondato limitatamente al suo primo e quarto motivo.

Con il primo motivo, si denuncia falsa applicazione di nome di diritto. Falsa applicazione dell’art. 2051 c.c.

Il motivo – manifestamente fondato- si conclude con il seguente quesito di diritto:

Dica la corte se, considerato il contenuto della norma di cui all’art. 2051 c.c. – Danno cagionato da cose in custodia – e considerato il proprio indirizzo giurisprudenziale secondo il quale il semplice rapporto con la cosa in custodia e il nesso causale tra la cosa e il danno arrecato fa sorgere la responsabilità oggettiva di chi si trova in una relazione di fatto con la cosa che gli consente di prevedere e controllare i rischi ad essa inerenti, sempre che il danno sia provocato dalla cosa sussistendo, quale limite di responsabilità, il caso fortuito ed essendo il danneggiato tenuto a provare soltanto l’esistenza di un effettivo nesso causale tra cosa e danno, spettando, invece, al custode provare positivamente il fatto estraneo alla sua sfera di controllo avente impulso causale autonomo rimanendo la responsabilità in capo al custode qualora persista l’incertezza sull’individuazione della causa concreta, nella sentenza impugnata l’applicazione della norma al caso di specie è stato frutto di error in iudicando, essendo il giudice del gravame giunto a conseguenze diverse da quelle previste dalla norma stessa che contraddicono la pur corretta sua applicazione per aver proceduto al rilievo di ufficio della sussistenza del caso fortuito derivante da fatto di parte danneggiata e all’accertamento e valutazione del grado di diligenza di tale parte nell’uso della cosa in custodia, pur sussistendo in primo grado la contumacia del custode-convenuto, compiendo indagini e rilievi di ufficio in violazione della regolamentata distribuzione dell’onere della prova, compiendo attività che la norma non consente rendendo, di conseguenza, una sentenza viziata da falsa applicazione di norma di diritto.

Osserva il collegio che corretta e condivisibile appare la doglianza della difesa del ricorrente nella parte in cui lamenta un patente, duplice error iuris della sentenza impugnata che ha patentemente disatteso la consolidata giurisprudenza di questa corte di legittimità in materia di responsabilità del custode (ex permultis, Cass. 25029/08; 2047/06: 2284/06), il cui dictum è correttamente riportato in seno al motivo e al quesito dianzi esposti.

Con il quarto motivo, (da esaminarsi con precedenza, attesane la fondatezza, rispetto alle restanti censure), si denuncia omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Omesso esame di fatto decisivo per la controversia.

Il motivo – corredato, a conclusione della sua esposizione, da un rituale e ammissibile quesito di diritto – è a sua volta fondato, avendo il giudice territoriale del tutto omesso l’esame della testimonianza del sig. L.S. (il cui contenuto è puntualmente riportato in seno al motivo in esame, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso), della cui rilevanza ai fini della decisione di merito non è lecito dubitare.

Con il secondo motivo, si denuncia emessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per la controversia. Omesso controllo delle argomentazioni svolte dal giudice di primo grado.

Il motivo si conclude con un quesito di diritto che lo rende inammissibile poiché la denuncia del vizio di motivazione è destinata a concludersi (non con un quesito di diritto ma) con l’esposizione di una chiara sintesi del fatto controverso, onde consentire alla corte di legittimità di inferirne la decisività sub specie del vizio motivazionale denunciato: il quesito (che lamenta, nella specie , come “il giudice del gravame non abbia proceduto al controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza formale delle argomentazioni svolte dal giudice di I grado, considerato che nell’atto di appello compiutamente era stata criticata la sentenza di primo grado e criticata la correttezza giuridica della decisione appellata, emettendo una decisione viziata per omessa motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio”), pur volendone ipotizzare una sorta di “conversione formale” in sintesi del fatto controverso, è palesemente affetto da irredimibile astrattezza e genericità, onde la sua inammissibilità anche sotto tale profilo.

Con il terzo motivo si denuncia omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Omessa indicazione delle argomentazioni logico-formali in merito alla valutazione delle prove.

La doglianza è inammissibile, oltre che per la erronea formulazione del quesito di diritto in luogo della sintesi del tutto controverso, per patente difetto di autosufficienza, non risultando riportato (se non con parziale e del tutto insufficiente riferimento per relationem a brani della sentenza impugnata, di cui al f. 17 del ricorso) il contenuto delle testimonianze, ritenute irrilevanti in parte qua, delle quali è oggi denunciata l’omessa, erronea e contraddittoria valutazione da parte del giudice territoriale.

Il ricorso è, pertanto, accolto nel suo primo e quarto motivo, mentre deve essere rigettato negli altri.

Il procedimento è rinviato al Tribunale di S. Maria Capua Vetere che, in altra composizione, provvederà anche alla disciplina delle spese del procedimento di cassazione

P.Q.M

 

La Corte accoglie il primo e quarto motivo del ricorso, rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, al Tribunale di S. Maria Capua Vetere in altra composizione.

 

 

 

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