Le attenuanti di cui all’articolo 62-bis c.p. sono state introdotte con la funzione di mitigare la rigidita’ dell’originario sistema di calcolo della pena nell’ipotesi di concorso di circostanze di specie diversa e tale funzione, ridotta a seguito della modifica del giudizio di comparazione delle circostanze concorrenti, ha modo di esplicarsi efficacemente solo per rimuovere il limite posto al giudice con la fissazione del minimo edittale, allorche’ questi intenda determinare la pena al di sotto di tale limite

Corte di Cassazione, sezione seconda penale, sentenza 11 aprile 2018, n. 16058.

Le attenuanti di cui all’articolo 62-bis c.p. sono state introdotte con la funzione di mitigare la rigidita’ dell’originario sistema di calcolo della pena nell’ipotesi di concorso di circostanze di specie diversa e tale funzione, ridotta a seguito della modifica del giudizio di comparazione delle circostanze concorrenti, ha modo di esplicarsi efficacemente solo per rimuovere il limite posto al giudice con la fissazione del minimo edittale, allorche’ questi intenda determinare la pena al di sotto di tale limite, con la conseguenza che, ove questa situazione non ricorra, perche’ il giudice valuta la pena da applicare al di sopra del limite, il diniego della prevalenza delle generiche diviene solo elemento di calcolo e non costituisce mezzo di determinazione della sanzione e non puo’, quindi, dar luogo ne’ a violazione di legge, ne’ al corrispondente difetto di motivazione.

Sentenza 11 aprile 2018, n. 16058
Data udienza 28 marzo 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DAVIGO Piercamillo – Presidente

Dott. IMPERIALI Luciano – Consigliere

Dott. VERGA Giovanna – Consigliere

Dott. CIANFROCCA Pierluigi – rel. Consigliere

Dott. AIELLI Lucia – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di:

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

contro ia sentenza della Corte di Appello di Potenza del 17.2.2017;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Pierluigi Cianfrocca;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MOLINO Pietro, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso;

udito l’Avv. (OMISSIS), in sostituzione dell’Avv. (OMISSIS), per la costituita parte civile, che si riporta alle conclusioni scritte che deposita e di cui chiede l’accoglimento.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 17.2.2017, la Corte di Appello di Potenza confermava quella del Tribunale di Matera che, in data 22.9.2015, aveva riconosciuto (OMISSIS) responsabile del delitto di tentata truffa aggravata assolvendolo invece per il delitto di falso in atto pubblico (capo a) della rubrica) nonche’ del reato di uso di sigillo della pubblica amministrazione; riconosciutegli le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti, lo aveva quindi condannato alla pena di mesi 6 di reclusione ed Euro 51,00 di multa, con il beneficio della sospensione condizionale oltre che al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile nei cui confronti aveva infine liquidato le spese;

2. ricorre per Cassazione, tramite il difensore, (OMISSIS) lamentando:

2.1 violazione di legge con riferimento al disposto di cui all’articolo 131-bis c.p.; rileva che la Corte e’ giunta a respingere il motivo di appello articolato sul punto con motivazione insufficiente omettendo ogni valutazione circa aspetti rilevanti ai fini di questo giudizio quali, in particolare, l’incensuratezza del prevenuto, la sua spontanea ed integrale confessione, nonche’, infine, le qualita’ umane e professionali da lui mostrate nella lunga carriera di appartenente alla GdF;

2.2 violazione di legge, mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione circa il motivo di appello relativo al capo di condanna al risarcimento del danno ed alla rifusione delle spese processuali in favore della costituita parte civile; richiamando il tenore del secondo motivo di appello, fondato sulla insussistenza di un qualsivoglia pregiudizio patito dalla costituita parte civile in conseguenza della condotta ascrittagli, osserva che la censura e’ stata respinta dalla Corte territoriale con motivazione a suo avviso incongrua ed inconferente; ribadisce come, in realta’, lo stesso (OMISSIS), sentito sul punto, aveva confermato di non aver subito alcuna conseguenza pregiudizievole ne’ sul piano penale ne’ sul piano disciplinare in relazione alla firma falsamente apposta sul documento e che, per altro verso, non era nemmeno riconoscibile come a suo nome;

2.3 violazione di legge con riferimento all’articolo 56 c.p., omessa, contraddittoria e manifestamente illogica motivazione in relazione alla entita’ della pena; in particolare, rileva che, diversamente da quanto sostenuto dalla Corte di Appello, il motivo di impugnazione che era stato articolato sul punto non era in realta’ affatto generico; aggiunge, per altro verso, che la pena base considerata non era vicina al minimo ma, invece, se ne discostava non di poco; contesta inoltre la laconicita’ della motivazione in punto di dosimetria della pena laddove non sono stati effettivamente valutati gli elementi a favore del prevenuto;

2.4 violazione di legge con riferimento al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza rispetto alla ritenuta aggravante;

3. in data 5.3.2018, il difensore della costituita parte civile (OMISSIS) ha depositato una memoria con cui ha contrastato i motivi di ricorso proposti nell’interesse dell’imputato ritenendoli complessivamente inammissibili ed insistendo per la conferma della sentenza impugnata; nell’occasione, ha depositato nota spese.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ inammissibile perche’ manifestamente infondato e, per altro verso, articolato su censure non consentite in questa sede.

I giudici di merito, in maniera conforme, e sulla scorta degli elementi di prova acquisiti, hanno ricostruito i fatti nel modo seguente: a (OMISSIS), brigadiere in servizio presso la Tenenza della GdF di (OMISSIS), all’esito di un controllo effettuato da personale del Comando Stazione della Guardia Forestale di (OMISSIS) mentre il ricorrente si trovava a caccia in localita’ (OMISSIS), era stato notificato un verbale di contestazione per violazione della Legge Regionale n. 2 del 1995, articolo 35 “per mancata esibizione dei documenti venatori per dimenticanza” con la comminatoria di una sanzione amministrativa di Euro 51,65 e l’obbligo di esibire tali documenti entro cinque giorni; il predetto (OMISSIS), al fine di evitare la adozione di ulteriori sanzioni, aveva pertanto formato un atto falso che aveva inviato via fax alla Stazione della Guardia Forestale scrivente; l’atto falsamente confezionato era rappresentato da un verbale in cui si dava atto della esibizione, da parte sua, al collega M.llo (OMISSIS), la cui firma egli stesso aveva apposto in calce, dei documenti venatori e del certificato di assicurazione (in realta’ mai stipulata), della tassa di concessione governativa di Euro 173,16 (invece mai pagata), della tassa per porto di fucile di Euro 84,00 (anch’essa mai pagata), con missiva accompagnatoria cui aveva attribuito un falso numero di protocollo; in tal modo, dunque, il (OMISSIS) aveva tentato di sottrarsi al pagamento della tassa di concessione governativa ed al pagamento delle relative sanzioni, non riuscendo tuttavia nel suo intento per cause indipendenti dalla sua volonta’.

Questa essendo la (incontroversa) ricostruzione della vicenda, deve allora in primo luogo rilevarsi come sia inammissibile il primo motivo di ricorso nel quale la difesa del (OMISSIS) denunzia violazione di legge con riferimento al disposto di cui all’articolo 131-bis c.p. lamentando che la Corte di Appello aveva escluso la causa di non punibilita’ omettendo ogni valutazione su aspetti che avrebbero potuto deporre per il suo riconoscimento.

E’ noto che, ai fini della configurabilita’ della causa di esclusione della punibilita’ per particolare tenuita’ del fatto, prevista dall’articolo 131-bis c.p., il giudizio si risolve in una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarita’ della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’articolo 133 c.p., comma 1, delle modalita’ della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entita’ del danno o del pericolo cagionati (cfr., Cass. SS.UU., 25.2.2016 n. 13.681, Tushaj).

Per altro verso, la motivazione con cui si respinge la richiesta puo’ essere anche implicita nella considerazione della complessiva gravita’ del fatto (cfr., Cass. Pen., 3, 11.10.2016 n. 48.317, Scopazzo; Cass. Pen., 5, 8.3.2017 n. 24.780, Tempera).

Nel caso di specie, la Corte di Appello non si e’ sottratta dall’onere di evadere la sollecitazione difensiva motivando espressamente sul punto laddove ha fatto riferimento (cfr., pag. 4 della sentenza in verifica) alle modalita’ della condotta, caratterizzata dall’uso di “artifizi adoperati dall’imputato per indurre in errore l’organo pubblico che avrebbe dovuto adottare i provvedimenti sanzionatori, mediante la falsificazione della copia di due atti pubblici, che denotano una particolare callidita’, e connotano la condotta criminosa di una non trascurabile gravita’” dovendosi avere riguardo “alla qualita’ di appartenente alla G.d.F. del prevenuto, che no ha esitato ad approfittare di tale posizione per avere accesso a tali atti e confezionare una documentazione che gli consentisse di evitare il pagamento di sanzioni pecuniarie in misura maggiore rispetto a quelle gia’ irrrogategli”.

In tal modo, dunque, la Corte di Appello, nell’escludere il ricorso delle condizioni per riconoscere la causa di non punibilita’ della “particolare tenuita’ del fatto”, ha supportato la sua decisione con una motivazione coerente, adeguata e non irragionevole, in quanto ancorata ad elementi di valutazione che si riferiscono, correttamente, agli aspetti vuoi oggettivi vuoi anche soggettivi della condotta in esame.

Di qui, pertanto, la incensurabilita’ della decisione in sede di legittimita’ atteso che, sul punto, il ricorso si limita a lamentare l’omessa considerazione di (altri) elementi che, tuttavia, la Corte ha ritenuto recessivi rispetto a quelli sopra richiamati; in definitiva, il ricorso si risolve nella contestazione del “merito” dell’apprezzamento operato dalla Corte territoriale non riuscendo ad evidenziare profili di irragionevolezza o contraddittorieta’ tali da rendere censurabile la relativa motivazione.

2. Manifestamente infondato e’ il secondo motivo di ricorso con cui la difesa del (OMISSIS) lamenta violazione di legge, mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione relativamente al capo di condanna al risarcimento del danno ed alla rifusione delle spese processuali in favore della costituita parte civile; a tal fine, infatti, richiama il secondo motivo di appello, incentrato sulla insussistenza di un qualsivoglia pregiudizio patito dalla costituita parte civile in conseguenza della condotta ascrittagli, respinto dalla Corte di Appello con motivazione a suo avviso evocante il mancato riconoscimento della causa di non punibilita’.

E’ vero che il motivo di appello era stato fondato sulla assenza di pregiudizi in capo alla costituita parte civile e, dunque, sulla ingiustificata condanna al risarcimento dei danni in favore del (OMISSIS).

Va pur detto, nel contempo, che il Tribunale si era in realta’ limitato ad una condanna generica per poi rimettere in sede civile la sua eventuale liquidazione.

In tal caso, come e’ noto, il giudice accerta non il danno ma la mera potenzialita’ della condotta penalmente rilevante a produrlo; il che, in ogni caso, non esclude che nel giudizio sul “quantum”, il danno sia ritenuto poi insussistente (cfr., Cass. Civ., 9.7.2014 n. 15.595, secondo cui “in tema di risarcimento del danno, il giudicato formatosi sull’an debeatur” copre soltanto l’astratta potenzialita’ lesiva del fatto illecito, ma non preclude di stabilire che, in concreto, il pregiudizio non si sia verificato, sicche’, qualora la sentenza di primo grado venga specificamente impugnata in ordine alla liquidazione del danno, contestandosi che di esso sia stata fornita la prova, il giudice di appello – senza incorrere in ultrapetizione ove, all’esito di tale revisione, escluda l’esistenza di qualsiasi danno – e’ investito del potere di riesaminare nella sua interezza la statuizione concernente il “quantum debeatur”.

Da tale premessa consegue l’irrilevanza delle considerazioni svolte dalla difesa in ordine alla concreta insussistenza di ogni profilo di pregiudizio in capo alla parte civile e, nel contempo, la correttezza ed esaustivita’ della sia pur sintetica motivazione con cui la Corte di Appello, una volta esclusa la causa di non punibilita’ di cui all’articolo 131-bis c.p., ha ritenuto che la condotta del ricorrente fosse idonea, potenzialmente, a determinare un danno risarcibile in capo alla costituita parte civile.

3. Inammissibile e’ anche il terzo motivo con cui la difesa del ricorrente denunzia violazione di legge con riferimento all’articolo 56 c.p., omessa, contraddittoria e manifestamente illogica motivazione in relazione alla entita’ della pena.

La Corte di Appello ha ritenuto infatti congrua la pena irrogata dal primo giudice nella misura di mesi 6 di reclusione in quanto commisurata dalla complessiva gravita’ oggettiva e soggettiva della condotta tenuta dal prevenuto oltre che, in ogni caso, non lontana dal minimo edittale.

Il Tribunale, infatti, aveva quantificato la pena da irrogare al (OMISSIS), per il delitto di tentata truffa aggravata, in mesi 6 di reclusione ed Euro 51,00 di multa, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche valutate in termini di equivalenza alle contestate e ritenute aggravanti (della natura pubblica del soggetto passivo oltre che dell’abuso della funzione pubblica ricoperta).

Benche’ il Tribunale non abbia esplicitato la misura della riduzione della pena per il tentativo, e pur dovendosi riconoscere che la pena inflitta non e’ pari al minimo edittale si deve tuttavia prendere atto che essa e’ stata comunque determinata in termini piu’ prossimi al minimo che al massimo edittale; a tal proposito, allora, non e’ inutile ricordare che la graduazione della pena, come anche gli aumenti e le diminuzioni per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientrano tipicamente nella discrezionalita’ del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, e’ sufficiente dia conto dell’impiego dei criteri di cui all’articolo 133 c.p. con espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure facendo richiamo alla gravita’ del reato o alla capacita’ a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (cfr., cosi’, Cass. Pen., 2, 27.4.2017 n. 26.104, Mastro; Cass. Pen., 5, 30.9.2013 n. 5.582, Ferrario, che, nel ribadire che la quantificazione della pena anche con riguardo all’entita’ degli aumenti e delle diminuzioni per le circostanze, rientra nella discrezionalita’ del giudice di merito, ha chiarito che e’ inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruita’ della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione; Cass. Pen., 4, 20.3.2013 n. 21.294, Serratore, secondo cui la determinazione della pena tra il minimo ed il massimo edittale rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito ed e’ insindacabile nei casi in cui la pena sia applicata in misura media e, ancor piu’, se prossima al minimo, anche nel caso il cui il giudicante si sia limitato a richiamare criteri di adeguatezza, di equita’ e simili, nei quali sono impliciti gli elementi di cui all’articolo 133 c.p.; conf., sul punto, Cass. Pen., 4, 5.11.2015 n. 46.412, Scara mozzino).

4. Altrettanto inammissibile e’, infine, il quarto motivo con cui si denuncia violazione di legge con riferimento al giudizio di (mera) equivalenza delle circostanze attenuanti generiche rispetto alle contestate (ed all’esito ritenute) aggravanti.

Il motivo replica quello di appello articolato, peraltro, in termini del tutto generici.

Non e’ inutile, comunque, ricordare che le attenuanti di cui all’articolo 62-bis c.p. sono state introdotte con la funzione di mitigare la rigidita’ dell’originario sistema di calcolo della pena nell’ipotesi di concorso di circostanze di specie diversa e tale funzione, ridotta a seguito della modifica del giudizio di comparazione delle circostanze concorrenti, ha modo di esplicarsi efficacemente solo per rimuovere il limite posto al giudice con la fissazione del minimo edittale, allorche’ questi intenda determinare la pena al di sotto di tale limite, con la conseguenza che, ove questa situazione non ricorra, perche’ il giudice valuta la pena da applicare al di sopra del limite, il diniego della prevalenza delle generiche diviene solo elemento di calcolo e non costituisce mezzo di determinazione della sanzione e non puo’, quindi, dar luogo ne’ a violazione di legge, ne’ al corrispondente difetto di motivazione (cfr., in tal senso, Cass. Pen., 3, 18.7.2014 n. 44.883, Cavicchi; conf., Cass. Pen., 3, 25.1.2000 n. 369, Rigamonti).

5. L’inammissibilita’ del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, non ravvisandosi ragione alcuna d’esonero.

Il (OMISSIS) va infine condannato a rifondere alla costituita parte civile le spese processuali sostenute nel presente grado di giudizio e che vanno liquidate nella misura indicata nel dispositivo.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, nonche’ alla rifusione delle spese sostenute per questo rado di giudizio dalla parte civile (OMISSIS), liquidate in Euro 3.510,00 oltre rimborso forfettario al 15%, C.P.A. e I.V.A..

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