Corte di Cassazione, S.U.P., sentenza n. 1855 del 18 gennaio 2012 Il decreto di citazione a giudizio è equivalente alla notifica dell’avviso di accertamento se, al pari di qualsiasi altro atto processuale indirizzato all’imputato, contiene gli elementi essenziali del predetto avviso

Il testo integrale

Corte di Cassazione, S.U.P., sentenza n. 1855 del 18 gennaio 2012


La Terza Sezione penale della Corte di cassazione, assegnataria del ricorso, con ordinanza del 7 giugno 2011, rimetteva la questione alle Sezioni Unite, a norma dell’art. 618 cod. proc. pen.
Nell’ordinanza si rilevava l’esistenza di un contrasto, non composto, nella giurisprudenza di Legittimità in ordine alla conseguenze derivanti dalla omessa contestazione o notifica dell’avvenuto accertamento della violazione da parte dell’INPS ovvero dalla carenza di prove sul punto.
In merito alcune decisioni hanno affermato che in tale ipotesi il termine di tre mesi concesso al datore di lavoro per provvedere al versamento delle somme dovute decorre dalla notifica del decreto di citazione per il giudizio; qualora detto termine non sia decorso al momento della celebrazione del processo l’imputato può chiedere al giudice un rinvio al fine di provvedere all’adempimento.
Altro orientamento giurisprudenziale ammette che l’avviso di accertamento delle violazioni possa essere surrogato dal decreto di citazione a condizione che lo stesso contenga la specifica indicazione delle somme corrispondenti alle contribuzioni omesse, con l’invito a pagarle, la messa in mora del datore di lavoro e l’avvertimento che il mancato pagamento comporta la punibilìtà del reato
La terza sezione penale nel rimettere il ricorso alle Sezioni Unite poneva il seguente quesito di diritto, ovvero: “se, ed eventualmente a quali condizioni, la notifica del decreto di citazione a giudizio sia da ritenere equivalente, nei procedimenti per il reato di omesso versamento delle ritenute assistenziali e previdenziali all’I.N.P.S., alla notifica dell’accertamento della violazione, non effettuata, e ciò ai fini del decorso del termine di tre mesi per il pagamento di quanto dovuto, che rende non punibile il fatto”
Per la Corte in adunanza plenaria doveva essere preliminarmente sgombrato il campo in ordine alla struttura del reato, che sembrerebbe dirimente rispetto alle opposte tesi sulla natura della notifica dell’avviso di accertamento delle violazioni e del decorso del termine previsto per l’adempimento.
E’ evidente, per la Corte, che l’attribuzione della natura di elemento costitutivo del reato alla notifica dell’avviso di accertamento ed al decorso del termine per adempiere contrasta con la stessa lettera della legge, che prevede la sospensione del decorso della prescrizione durante il termine di tre mesi concesso al datore di lavoro per adempiere (art. 2, comma 1-quater, legge n, 638 del 1983); previsione assolutamente inconciliabile con la affermata insussistenza del reato prima che il medesimo termine sia decorso.
La questione giuridica fondamentale, e pregiudiziale rispetto al quesito posto alle Sezioni Unite, che divide le opposte tesi, delle quali si sono esposte le argomentazioni principali, è costituita dalla natura della contestazione o della notifica dell’avviso di accertamento delle violazioni da parte dell’ente previdenziale e del successivo decorso del termine per adempiere, ai quali la seconda tesi attribuisce natura di condizione di procedibilità dell’azione penale, mentre la prima esclude tale natura. Questione che, comunque, non esaurisce i dubbi interpretativi posti dalla norma per i termini in cui è formulata e che si prospettano soprattutto se si aderisce all’indirizzo interpretativo prevalente.
Deve essere, in seguito al ragionamento riportato in sentenza, pertanto, escluso che la notifica dell’accertamento della violazione ed il decorso del termine di tre mesi costituiscano una condizione di procedibilità del reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali, ponendosi una tale configurazione in contrasto con la chiara lettera della norma e dovendosi configurare rilevanti dubbi di costituzionalità della norma medesima nella interpretazione che attribuisce ad essi tale natura.
Conclusivamente si deve affermare sul punto che l’art. 2, comma l-bis, secondo periodo, legge n. 638 del 1983, introdotto dall’art. 1 d.lgs. n. 211 del 1994, ha modificato i termini e le modalità di operatività della causa di non punibilità già prevista dalla normativa previgente, introducendo, prima dell’invio della notitia criminis, un meccanismo, costituito dalla contestazione o notifica dell’accertamento della violazione, finalizzato ad agevolare la definizione del contenzioso in sede amministrativa, nel termine all’uopo concesso al datore di lavoro, senza introdurre una condizione di procedibilità del reato.
È stato, quindi, affermato che la possibilità concessa al datore di lavoro di evitare l’applicazione della sanzione penale mediante il versamento delle ritenute entro il termine di tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’accertamento delle violazioni è connessa all’adempimento dell’obbligo, secondo la formulazione dell’art. 2, comma l-bis, da parte dell’ente previdenziale di rendere noto, nelle forme previste dalla norma, al datore di lavoro l’accertamento delle violazioni, nonché le modalità e termini per eliminare il contenzioso in sede penale, a differenza di quanto previsto dal quadro normativo previgente alla riforma di cui al d.lgs. 24 marzo 1994, n. 211, che attribuiva al datore di lavoro la mera facoltà di provvedere a detto versamento entro sei mesi dalla scadenza del termine per l’adempimento senza collegarlo ad un obbligo di contestazione o comunicazione da parte dell’ente previdenziale.
L’esercizio della facoltà di fruire della causa di non punibilità, pertanto, può essere precluso solo dalla scadenza del termine di tre mesi previsto dall’art. 2, comma l-bis, ultimo periodo, a decorrere dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento delle violazioni ovvero da un atto ad esso equipollente che ne contenga tutte le informazioni sì che l’accesso alla causa di non punibilità risulti concretamente assicurato.
Incombe, perciò, in primo luogo sull’ente previdenziale l’obbligo di assicurare la regolarità della contestazione o della notifica dell’accertamento delle violazioni e attendere il decorso del termine di tre mesi, in caso di inadempimento, prima di trasmettere la notizia di reato al pubblico ministero.
Alla stregua delle considerazioni svolte nella pronuncia, avente ad oggetto la possibile equivalenza del decreto di citazione a giudizio alla notifica dell’avviso di accertamento delle violazioni, è stato, pertanto, emesso il seguente principio: “il decreto di citazione a giudizio è equivalente alla notifica dell’avviso di accertamento se, al pari di qualsiasi altro atto processuale indirizzato all’imputato, contiene gli elementi essenziali del predetto avviso”.
Consegue da quanto rilevato che deve essere ritenuto tempestivo, ai fini del verificarsi della causa di non punibilità, il versamento delle ritenute previdenziali effettuato dall’imputato nel corso del giudizio, allorché risulti che lo stesso non ha ricevuto dall’ente previdenziale la contestazione o la notifica dell’accertamento delle violazioni o non sia stato raggiunto nel corso del procedimento penale da un atto che contenga gli elementi essenziali dell’avviso di accertamento, come precisati.
Se, poi, il procedimento sia pervenuto in sede di legittimità, senza che l’imputato sia stato posto in grado di fruire della causa di non punibilità, deve essere disposto l’annullamento con rinvio della sentenza per consentirgli di fruire della facoltà concessa dalla legge.

Sorrento  19 gennaio 2012.                                                            Avv. Renato D’Isa

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