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SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Sentenza 22 gennaio 2013, n. 1429

Svolgimento del processo

La Commissione tributaria regionale della Emilia, con sentenza n. 72.20.06, depositata il 10 maggio 2006, rigettava l’appello dell’Ufficio avverso la sentenza di primo grado con cui veniva accolta, avverso il silenzio rifiuto, l’istanza di rimborso di L. 41.436.990, pari alla ritenuta del 20% effettuata a titolo d’imposta Irpef, L. n. 413 del 1991, ex art. 11, comma 5, sull’importo corrisposto nel corso dell’anno 1997 dal Comune a titolo di conguaglio per la cessione volontaria a detto Comune, di aree di proprietà delle intimate.

Proponeva ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate affidato a un unico motivo, con cui si deduce la violazione falsa applicazione della L. n. 413 del 1991, art. 11, commi 5, 6 e 9 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ritenendo legittima la tassazione applicata sulla somma liquidata nel 1997 e pagata in data successiva all’entrata in vigore della legge 413 del 1991, escludendo l’applicazione retroattiva della norma.

Si costituiva con controricorso M.L., chiedendo il rigetto del ricorso, proponendo ricorso incidentale affidato a quattro motivi di gravame, sollevando, in subordine, questione di legittimità costituzionale della L. n. 413 del 1991, art. 11 ove interpretata in maniera favorevole alla Agenzia.

Il ricorso, dopo la relazione ex art. 380 bis, è stato rimesso e discusso alla pubblica udienza del 22/11/2012, in cui il PG ha concluso come in epigrafe.

Motivi della decisione

Vanno preliminarmente riuniti i ricorsi a norma dell’art. 335 c.p.c., trattandosi di impugnazioni avverso la medesima sentenza.

Il ricorso principale è infondato.

La L. n. 413 del 1991, comma 9 in combinato disposto con i commi 5 e 8, consente di ritenere tre ipotesi differenti, con riferimento all’assoggettamento ad imposta delle somme pagate a titolo transattivo relative ad una espropriazione-cessione:

a) espropri successivi all’entrata in vigore della normativa (1 gennaio 2002): assoggettabilità ad imposta;

b) espropri compiuti tra il 31/12/1988 e l’entrata in vigore della normativa:

assoggettamento ad imposta con le seguenti modalità:

b1) percezione dell’indennità antecedentemente all’entrata in vigore della L. n. 413 del 1991: assoggettamento all’imposta con la liquidazione nella dichiarazione dei redditi 1992 per il 1991 (per le indennità percepite nel corso del triennio 1989-1991) con le modalità di cui al comma 9, seconda parte;

b2) percezione dell’indennità successivamente all’entrata in vigore della legge citata: assoggettamento d’imposta ai sensi dei commi 5, 6, 7 e 8, con liquidazione nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno in cui è avvenuta la percezione;

c) espropri precedenti al 31/12/1998: occorre accertare la assoggettabilità ad imposta.

Con riferimento a tale ultima evenienza, della L. n. 413 del 1991, art. 11, comma 9 prevede che le disposizioni di cui ai commi 5, 6 e 7 si applicano anche alle somme percepite in conseguenza di atti anche volontari o provvedimenti emessi successivamente al 31 dicembre 1988 e fino alla data di entrata in vigore della presente legge…”.

Il tenore letterale della norma fa riferimento agli “atti o provvedimenti” espropriativi e, come anche desumibile anche dalla estensione agli “atti volontari” non può non riferirsi anche agli atti di cessione volontaria intervenuti nel corso di una procedura di esproprio.

Nel caso di specie è pacifico che la cessione volontaria degli appezzamenti di terreno sia avvenuta in epoca antecedente il 31 dicembre 1988 (15 ottobre 1981 e 3 ottobre 1982).

La questione controversa concerne la imponibilità o meno della plusvalenza con riferimento alla data di pagamento del conguaglio (1997).

Questa Corte ha più volte avuto occasione di affermare che, ai fini del prelievo fiscale di cui alla L. 30 dicembre 1991, n. 413, art. 11, comma 5, è sufficiente che la percezione della somma, che realizzi una plusvalenza in dipendenza di procedimenti espropriativi, sia avvenuta dopo l’entrata in vigore della legge anzidetta, a nulla rilevando che il trasferimento del bene sia intervenuto prima del 1 gennaio 1989, rilevando che, sotto il profilo impositivo, l’unico momento rilevante è quello della percezione della plusvalenza in quanto il diverso trattamento costituisce un effetto tipico della disciplina della successione delle leggi nel tempo, il cui decorso è di per sè, elemento diversificatore (da ultimo Cass. Sez. 5, Sentenza n. 2194 del 16/02/2012, Cass. 10811/2010; Cass. n. 24156/2004) Una precedenza giurisprudenza, più articolata, riteneva, invece, che il presupposto impositivo relativo alle tre ipotesi di plusvalenze indicate dalla L. n. 413 del 1991, art. 11, comma 5 non può identificarsi nella mera percezione della somma di danaro corrispondente all’incremento di valore integrante la plusvalenza, ma deve ravvisarsi nella verificazione del trasferimento del bene, cui la plusvalenza si ricollega, e precisamente nell’emissione del decreto di esproprio, con riferimento alla plusvalenza conseguente alla percezione dell’indennità di esproprio, nella conclusione della cessione volontaria nel corso del procedimento espropriativo, con riferimento alla plusvalenza conseguente a detta cessione, e nel prodursi della fattispecie della cosiddetta occupazione acquisitiva, con riferimento alla plusvalenza derivante dall’acquisizione coattiva conseguente ad occupazione di urgenza divenuta illegittima. Ne consegue che tanto la norma dell’art. 11, comma 5 (con riguardo alle plusvalenze percepite dopo il primo gennaio 1992, data di entrata in vigore della L. n. 413 del 1991), quanto la norma della stessa L. n. 413 del 1991, art. 11, comma nono, (che assoggetta -retroattivamente – ad imposizione le plusvalenze di cui alle ipotesi indicate nel comma 5 della norma, con riferimento a somme percepite in conseguenza di atti anche volontari – formula nella quale può farsi rientrare l’occupazione acquisitiva, fondandosi essa su un “atto”, sia pure illecito della Pubblica Amministrazione – o provvedimenti emessi successivamente al 31 dicembre 1988 e fino alla data di entrata in vigore della L. n. 413 del 1991, purchè la percezione sia avvenuta in tale lasso di tempo), debbono ritenersi applicabili soltanto a condizione che siano intervenuti in epoca successiva al 31 dicembre 1988 gli atti integranti il trasferimento cui consegue la plusvalenza, cioè, rispettivamente, il decreto di esproprio, la cessione volontaria o l’occupazione acquisitiva, mentre non possono ritenersi applicabili ove detti atti siano intervenuti prima del 31 dicembre 1988, restando così in questo caso la plusvalenza non imponibile (senza che quanto all’occupazione acquisitiva possa in contrario rilevare la circostanza che essa sia stata accertata da sentenza successiva a quella data, posto che detta sentenza non rappresenta l’atto mediante il quale viene realizzata la plusvalenza (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 14673 del 29/12/1999; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1688 del 15/02/2000.).

Questa Corte non intende rimettere in discussione il principio generale di cassa con riferimento a tale ultima tipologia di atti, sotto il profilo impositivo, in quanto momento rilevante è quello della percezione della plusvalenza ed il diverso trattamento costituisce un effetto tipico della disciplina della successione delle leggi nel tempo.

Trattasi, invece, di verificare se tale principio generale, di natura giurisprudenziale, possa soffrire eccezioni, con riferimento a peculiari situazioni in cui, a seguito di un ingiustificato ritardo da parte della Pubblica Amministrazione nel corrispondere l’indennità di esproprio o il corrispettivo pattuito, il soggetto possa avere subito un danno a seguito della modifica normativa nel frattempo intervenuta e che non avrebbe subito ove il pagamento fosse avvenuto nel termine “ragionevole” di definizione dei procedimenti amministrativi.

La L. n. 241 del 1990, art. 2 bis introdotto dalla L. n. 69 del 2009, ha disciplinato le conseguenze per il ritardo dell’amministrazione nella conclusione del procedimento, stabilendo che le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’art. 1, comma 1- ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento.

Nel caso di specie evidente tale termine risulta abbondantemente superato (oltre 15 anni).

Nè rileva, ai fini della responsabilità dello Stato, che il danno per il contribuente tragga origine dal ritardo del Comune nel pagamento della indennità (o del prezzo) e l’azione risarcitoria, in forza della convenzione, è dal danneggiato esercitabile contro lo Stato in quanto parte contraente, in quanto ai fini della CEDU lo Stato va considerato quale apparato unitario che dal punto di vista internazionale ha “un solo volto” (raggruppando l’insieme di autorità cui l’ordinamento attribuisce il potere di emanare e di applicare le norme e i comandi con i quali lo stato fa valere la sua supremazia) e che, dunque, ha il dovere di non vulnerare il diritto di proprietà e quello alla giustizia del processo per come tutelati dall’art. 6 CEDU e art. 1 Prot. n. 1 annesso alla CEDU – dir. proprietà.

Occorre, ai fini della decisione del presente giudizio, anche esaminare la decisione CEDU 16.3.2010 (Caso Di Belmonte c. Italia) che si riferisce ad una fattispecie analoga a quella in esame.

Nel caso sottoposto all’attenzione della CEDU trattavasi del ritardato pagamento di una indennità di espropriazione anteriore all’entrata in vigore della L. n. 413 del 1991.

La Corte di cassazione, nella fattispecie esaminata dalla CEDU, aveva accolto il ricorso dell’Amministrazione ritenendo applicabile il principio di cassa con riferimento al versamento dell’indennità di espropriazione.

La Corte Europea ha rilevato che anche se una eventuale applicazione retroattiva della L. n. 413 del 1991 al caso del ricorrente non avrebbe costituito di per se una violazione dell’art. 1 del Protocollo n. 1, poichè questa disposizione non vieta, come tale, l’applicazione retroattiva di una legge fiscale (M.A. e altri c. Finlandia (dec), no. 27793/ 95, 10 Giugno 2003, e Di Belmonte (no.

2), decisione precitata), tuttavia assume rilevanza il ritardo da parte della Pubblica Amministrazione nel dare esecuzione al rimborso, con una un’influenza determinante sull’applicazione del nuovo regime fiscale.

La Corte di Giustizia ha ritenuto la responsabilità dello Stato italiano per non aver dato esecuzione ad una sentenza della Corte di appello di Catania (definitiva in data 8 maggio 1991) nel termine di sette mesi dall’entrata in vigore della L. n. 413 del 1991 che introduceva la tassabilità l’indennità di espropriazione.

Rilevava, al riguardo, la CEDU che il ritardo da parte della Pubblica Amministrazione nel dare esecuzione alla sentenza aveva avuto un’influenza determinante sull’applicazione del nuovo regime fiscale in quanto l’indennità concessa al ricorrente non sarebbe stata assoggettata all’imposta prevista dalla nuova legislazione fiscale se l’esecuzione della sentenza fosse stata regolare e tempestiva.

La Corte europea ha quindi ritenuto che l’applicazione della L. n. 413 del 1991 ha infranto il “giusto equilibrio” che deve sussistere tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo, ritenendo sussistere la violazione dell’art. 1 del Protocollo n. 1.

Lo Stato italiano veniva, quindi, condannato alla restituzione della somma “prelevata” a titolo d’imposta oltre al risarcimento del danno morale per la sensazione di impotenza e di frustrazione di fronte al ritardo nel versamento dell’indennità di espropriazione, “raddoppiata” dall’entrata in vigore ed all’applicazione a suo danno della L. n. 413 del 1991. La fattispecie in esame presenta analogie con il caso deciso dalla CEDU, (nel caso in esame, come già rilevato, la cessione volontaria degli appezzamenti di terreno era avvenuta in data 15 ottobre 1981 e 3 ottobre 1982 e il pagamento è avvenuto a distanza di oltre 15 anni). Il contrasto tra la norma interna e i principi affermati dalla CEDU può dar luogo a una questione di legittimità costituzionale, ove non sia possibile una interpretazione della normativa nazionale in modo convenzionalmente orientato, in quanto la compatibilità tra la costituzione e i principi Cedu è devoluta alla Corte Costituzionale. Una tale soluzione alternativa è possibile solo se la norma non è rigida, cioè se è possibile da parte del giudice nazionale una interpretazione conforme ai principi comunitari, dovendosi applicare, altrimenti, il brocardo “in claris non fit interpretatio”, rimettendo alla Corte Costituzionale la questione della legittimità della normativa nazionale configgente con i principi della CEDU, La Corte di Cassazione, così come le Commissioni tributarie, prima di sollevare questione di costituzionalità devono verificare se sia possibile una interpretazione dei principi CEDU in modo costituzionalmente orientato, cioè conforme alla Costituzione.

La CEDU è una delle principali fonti di diritto internazionale di fonte pattizia e, in caso di contrasto non sanabile da una interpretazione conforme delle norme nazionali, la Corte Costituzionale costituisce parametro interposto di legittimità costituzionale delle leggi, da sottoporre al previo riscontro di conformità con la Costituzione.

La c.d. ” Interpretazione conforme”, sarà tuttavia possibile solo ove la norma, come già evidenziato, non sia “rigida”, e si presti a una differente opzione interpretativa, stante il suo significato suscettibile di diversa valutazione. Tale interpretazione va sempre tentata dal giudice nazionale pur considerando le difficoltà del “judicial transplant” derivanti dalla diversità degli strumenti dell’argomentazione giuridica, del metodo e degli effetti delle pronunce.

La decisione della CEDU si riferisce ad fattispecie concreta, e non aspira a definire massima di giudizio e non è universalizzabile perchè frutto di “sincretismo pragmatico”, così come evidenziato dalla dottrina, mentre la fattispecie da cui sorge l’incidente di costituzionalità viene universalizzata in una massima della Consulta che trova applicazione generalizzata. La Corte di Strasburgo, le cui regole si applicano in 47 nazioni, ha un approccio sostanzialista, mentre i giudici nazionali, tra cui anche la Corte costituzionale e la Corte di Cassazione adottano un indirizzo formalista. Nel caso di specie, tenendo conto di tali principi, come già evidenziato e come risulta evidente dal diverso significato già attribuito alla normativa in esame da una parte della giurisprudenza della Corte di cassazione, appare possibile una interpretazione della legislazione nazionale conforme ai principi comunitari.

Va, quindi affermato il seguente principio di diritto: ai fini del prelievo fiscale di cui alla L. 30 dicembre 1991, n. 413, art. 11, comma 5, è sufficiente che la percezione della somma, che realizzi una plusvalenza in dipendenza di procedimenti espropriativi, sia avvenuta dopo l’entrata in vigore della legge anzidetta, a nulla rilevando che il trasferimento del bene sia intervenuto prima del 1 gennaio 1989. Tuttavia qualora gli atti integranti il trasferimento cui consegue la plusvalenza, cioè, rispettivamente, il decreto di esproprio, la cessione volontaria o l’occupazione acquisitiva, siano intervenuti prima del 31 dicembre 1988, ma il pagamento sia intervenuto dopo l’entrata in vigore della L. n. 413 del 1991, la plusvalenza non è imponibile nel caso di ingiustificato ritardo della P.A. nel pagamento della plusvalenza.

La diversa interpretazione, sia pure prospettata dalla giurisprudenza di legittimità, sarebbe anche in contrasto con i principi costituzionali: a) di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione (art. 97 Cost.) non potendosi consentire che lo Stato, sempre inteso quale Stato “apparato”, nella sua veste di debitore, possa trarre vantaggio dal proprio inadempimento costituito dall’aver tardato ingiustificatamente (nella fattispecie per ben tra lustri) di corrispondere il conguaglio a seguito di cessione bonaria di beni nell’ambito di una procedura espropriativa; b) degli obblighi internazionali come limite generale di validità della legislazione statale e regionale (art. 117 Cost.); c) del giusto processo e della ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.) dovendosi evitare che il contribuente, già danneggiato dal comportamento dilatorio della P.A., sia costretto a un ulteriore Iter giudiziario davanti agli organi sovranazionali la fine di ottenere il risarcimento del danno, quando il medesimo risultato perseguito dall’interessato (c.d. “bene della vita”) può essergli riconosciuto in forza di una interpretazione convenzionalmente orientata della normativa nazionale, evitando, tra l’altro, l’eventuale apertura di procedura di infrazione nei confronti dello Stato italiano e ulteriori e aggravi costituiti dalle spese per la difesa in giudizio davanti agli organi sovranazionali e nazionali.

Va anche menzionata, al riguarda, la sentenza CEDU GUISO GALLISAY del Dicembre 2009 che nel riconoscere il risarcimento ai proprietari colpiti da un’espropriazione indiretta, rimodulando i criteri risarcitori, ha ritenuto che all’importo determinato dovesse essere aggiunto qualsiasi altro ammontare che può essere dovuto a titolo di imposta su questa somma – cfr. 106 sent. GUISO GALLISAY. Quindi, secondo la Corte di Strasburgo non può essere posto a carico del proprietario oggetto di una condotta illegale (che nella fattispecie è ravvisabile nel ritardo colposo del Comune nel corrispondere l’indennità di esproprio) il pagamento di un tributo che vada ad incidere sul quantum spettante al medesimo.

Va, quindi, rigettato il ricorso principale.

Il ricorso incidentale rimane assorbito.

La particolarità della questione costituisce giusto motivo per la compensazione delle spese della fase del giudizio.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale.

Dichiara compensate le spese del giudizio di legittimità.

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