Corte di Cassazione, sezione terza penale, sentenza 22 gennaio 2018, n. 2402. Il delitto di fabbricazione e commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprieta’ industriale e’ integrato anche nel caso di opere di design industriale destinate alla produzione seriale

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In conseguenza, come avvenuto davanti al giudice nella vicenda esaminata dalla Prima Sezione civile cosi’ come anche avvenuto davanti al GUP nella vicenda che impegna questo Collegio, il giudice di merito non poteva negare il valore artistico delle creazioni di (OMISSIS) sulla scorta del rilievo per cui esse consisterebbero in oggetti meramente decorativi e connotati da gradevolezza estetica, ma non certo configurabili come vere e proprie creazioni artistiche. Ne’ puo’ essere ritenuta condivisibile l’affermazione per cui i prodotti in questione risulterebbero connotati da una forma facilmente riproducibile in modo seriale e su larga scala, non potendo ritenersi manifestazioni di una particolare intuizione espressiva e di uno stile fortemente individuale dell’autore, in quanto riprodotte da anni in migliaia di esemplari e senza autonomo valore nel mercato dell’arte.

Ed invero, a prescindere dal fatto che non e’ necessario, ai fini del riconoscimento del valore artistico delle opere di design, che esse siano stimate come vere proprie espressioni dell’arte figurativa (costituendo questo solo uno dei possibili indici del predetto valore), e’ da osservare come la produzione su larga scala risulti del tutto priva di significato, dal momento che ogni opera di disegno industriale e’ destinata ad essere sfruttata attraverso processi di fabbricazione seriali.

La soluzione indicata dal GUP finisce quindi per vanificare il senso dell’intervento legislativo posto in atto col Decreto Legislativo n. 95 del 2001, dal momento che rende di fatto non proteggibile tutte le opere di design industriale. Da qui, dunque, la correttezza dell’interpretazione offerta dalla Corte d’appello nel riformare la sentenza del primo giudice, rientrando evidentemente i prodotti (OMISSIS) nella tutela prevista dalla L. n. 633 del 1941, articolo 2, n. 10, con la conseguenza della relativa configurabilita’ dell’articolo 517 ter c.p..

Deve, pertanto, essere affermato il seguente principio di diritto:

“Il delitto di fabbricazione e commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprieta’ industriale e’ integrato anche nel caso di opere di design industriale destinate alla produzione seriale, le quali sono tutelabili a norma della L. n. 633 del 1941, articolo 2, n. 10, ove ricorrano le condizioni normativamente indicate, date dal carattere creativo e dal contenuto artistico dell’opera (Fattispecie avente ad oggetto la questione della tutelabilita’ autorale di modelli della produzione seriale della (OMISSIS) S.p.A., in cui la Corte ha ritenuto correttamente integrato il reato di cui all’articolo 517 ter c.p., osservando che la caratteristica propria delle opere di cui all’articolo 2, n. 10, L. aut. risiede nel fatto che esse, a differenza di quelle figurative, rientranti nella categoria di cui al n. 4 dello stesso articolo 2, trovano la loro collocazione nella fase progettuale di un oggetto destinato a una produzione seriale, quale e’ quella industriale)”.

9. Deve, infine, essere esaminato il terzo motivo di ricorso, con cui la difesa dell’imputato articola censure relative ad un presunto vizio di violazione della legge processuale, in relazione (per quanto si evince dal tenore del motivo, non essendo stata indicata la norma violata) all’articolo 648 c.p.p., ossia per violazione del principio del giudicato formatosi a seguito della rinuncia all’appello da parte del P.G. in relazione al reato sub a).

Anche tale motivo e’ infondato.

La Corte d’appello, richiamando la sentenza di primo grado, chiarisce le ragioni per le quali l’imputazione sub a) e’ da considerarsi del tutto autonoma da quella sub b). La questione riguardava l’utilizzo del marchio (OMISSIS) ed il giudice di merito aveva dato atto che il predetto marchio, per le sue caratteristiche grafiche, non conteneva alcun riferimento al marchio (OMISSIS), ne’ gli somigliava in alcun modo, escludendo quanto al capo a) che fosse ravvisabile una contraffazione ed alterazione del marchio (OMISSIS).

Trattasi, all’evidenza, di questione assolutamente indipendente ed autonoma rispetto a quella oggetto di contestazione al capo b), in cui si discute non del marchio con cui i prodotti (OMISSIS) venivano commercializzati, ma della introduzione nello Stato, al fine di trarre profitto, dei predetti prodotti usurpando il titolo di proprieta’ industriale della (OMISSIS) ed in violazione dello stesso, titolo di cui e’ pacifico che il ricorrente fosse a conoscenza. Che, peraltro, l’assoluzione irrevocabile pronunciata in relazione al reato sub a) non refluisca sul reato sub b), stante l’autonomia tra le due fattispecie, e’ confermato anche dalla stessa giurisprudenza di questa Sezione, che ha infatti chiarito come ai fini dell’integrazione dei reati di cui agli articoli 473 e 474 c.p., posti a tutela del bene giuridico della fede pubblica, e’ necessaria la materiale contraffazione o alterazione dell’altrui marchio o segno distintivo che siano tali da ingenerare confusione nei consumatori e da nuocere al generale affidamento, a differenza del reato previsto dall’articolo 517 ter c.p., che tutela esclusivamente il patrimonio del titolare della proprieta’ industriale, il quale ricorre sia nell’ipotesi di prodotti realizzati ad imitazione di quelli con marchio altrui, sia nell’ipotesi di fabbricazione, utilizzazione e vendita di prodotti “originali” da parte di chi non ne e’ titolare (In applicazione di tale criterio discretivo, questa S.C. ha ritenuto immune da vizi la sentenza impugnata che aveva escluso il reato di cui all’articolo 474 c.p., non sussistendo la contraffazione del marchio, riconoscendo pero’ l’integrazione del reato previsto dall’articolo 517 ter c.p., per l’indebito sfruttamento di un segno distintivo altrui mediante la riproduzione, in modo parassitario, dei connotati essenziali: Sez. 3, n. 14812 del 30/11/2016 – dep. 27/03/2017, P.C. in proc. Shi, Rv. 269751).

Ne discende, pertanto, proprio in ragione dell’evidente autonomia dei fatti e della diversita’, anche sotto il profilo giuridico, delle imputazioni oggetto di contestazione sub a) e sub b), che non ricorrono le condizioni per l’operativita’ del giudicato sostanziale interno ex articolo 648 c.p.p., cio’ presupponendo che l’efficacia vincolante del “decisum” si estenda oltreche’ ai fatti di cui e’ stata specificatamente accertata la presenza o la mancanza, anche a quegli altri fatti la cui esistenza o inesistenza funge da postulato “necessario” rispetto alle conclusioni in esso recepite. La preclusione del giudicato, in sostanza, investe tutta quella parte che, pur non avendo formato materia di espressa pronuncia del giudice, tuttavia con l’adottata decisione e’ intimamente collegata.

Nella specie, proprio per la richiamata autonomia e diversita’, non puo’ certamente affermarsi che l’assoluzione irrevocabile dai fatti sub a) per la loro insussistenza, si estenda – oltre che agli elementi costitutivi del “fatto” di cui e’ stata specificatamente accertata la mancanza -, anche agli altri, ma differenti, elementi costitutivi del “fatto” sub b), la cui esistenza o inesistenza funge da postulato “necessario” rispetto alle conclusioni recepite nel decisum irrevocabile. Del resto, e conclusivamente, questa stessa Corte nella sua piu’ autorevole composizione, ha chiarito, sebbene con riferimento al tema della preclusione connessa al principio “ne bis in idem”, che l’identita’ del fatto sussiste quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona (Sez. U, n. 34655 del 28/06/2005 – dep. 28/09/2005, P.G. in proc. Donati ed altro, Rv. 231799).

10. Il ricorso dev’essere, conclusivamente rigettato. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonche’ al pagamento delle spese relative all’azione civile, liquidate in base ai criteri di cui al Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, nella misura media in dispositivo indicata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonche’ alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile (OMISSIS) S.p.A., che liquida in Euro 3.300,00 oltre accessori di legge

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