Corte di Cassazione, sezione terza penale, sentenza 22 gennaio 2018, n. 2400. L’esimente putativa del consenso

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2.5. Deduce, con il quinto motivo, il vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., lettera b), d) ed e), sotto il profilo della violazione di legge in relazione all’articolo 605 c.p., e correlato vizio di difetto ed illogicita’ della motivazione.
In sintesi, sostiene il ricorrente che l’inaffidabilita’ della p.o. non consentirebbe di ritenere raggiunta la prova del sequestro di persona, difettando anche l’indicazione della data in cui il fatto si sarebbe verificato; l’incertezza assoluta sull’an, sul quo-modo, sul quando e sul quantum caratterizzerebbe la vicenda in oggetto cui dovrebbe credersi fideisticamente.
2.6. Deduce, con il sesto motivo, il vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., lettera b), d) ed e), sotto il profilo della violazione di legge in relazione agli articoli 81, 609 bis e 56, 609 bis c.p., e correlato vizio di difetto ed illogicita’ della motivazione.
In sintesi, sostiene il ricorrente che i giudici avrebbero ritenuto la colpevolezza del ricorrente in quanto la p.o. aveva affermato di essersi limitata ad una passiva adesione alle richieste sessuali dell’ex coniuge; la sentenza di condanna sarebbe censurabile per aver erroneamente risolto il tema della riconoscibilita’ del dissenso della presunta vittima della violenza sessuale, atteso che la p.o., per quanto emerso, risultava “cooperativa” alle istanze sessuali dell’ex coniuge, il quale versava nella inconsapevolezza del dissenso all’atto sessuale da parte dell’ex moglie, in quanto non esteriorizzato, attesa l’assenza di qualsiasi reazione dell’ex moglie; che, del resto, si trattasse di un dubbio legittimo, discenderebbe dallo stesso comportamento della moglie che era rientrata volontariamente presso l’abitazione coniugale dopo aver deciso di riappacificarsi, sicche’ il presunto dissenso all’atto sessuale non era percepibile dal ricorrente, con possibile configurabilita’ della scriminante putativa presumendo un consenso tacito dell’ex moglie; a cio’, peraltro, si aggiunge la questione della credibilita’ della p.o. in relazione alle accuse relative ai fatti di violenza sessuale, non essendo riuscita la donna nemmeno ad indicare il contesto di alcun rapporto sessuale preteso dal coniuge, cui si sarebbe opposta inutilmente.
3. Con memoria depositata presso la cancelleria di questa Corte in data 21.09.2017, la difesa della parte civile, nel dedurre in relazione ai motivi di ricorso, ha chiesto confermarsi la sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso e’ inammissibile.
5. Seguendo l’ordine sistematico suggerito dalla struttura dell’impugnazione proposta in questa sede – premessa la tardivita’ della memoria della parte civile (atteso che il termine di quindici giorni per il deposito delle memorie difensive, previsto dall’articolo 611, cod.proc. pen. relativamente al procedimento in camera di consiglio, e’ applicabile anche ai procedimenti in udienza pubblica e la sua inosservanza esime la Corte di Cassazione dall’obbligo di prendere in esame le stesse: Sez. 1, n. 19925 del 04/04/2014 – dep. 14/05/2014, Cutri’ e altro, Rv. 259618) devono essere esaminati per primi i motivi di censura con cui vengono evocati vizi afferenti alla violazione della legge processuale.
In relazione a tale tipologia di vizi, infatti, questo giudice di legittimita’ e’ anche giudice del fatto “processuale” (Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001 – dep. 28/11/2001, Policastro e altri, Rv. 220092), e, per risolvere la relativa questione, puo’ accedere all’esame diretto degli atti processuali.
6. Orbene, quanto al primo motivo afferente al mancato esame di testi assunti in sede di indagini difensive e al correlato silenzio della Corte d’appello sulla richiesta di rinnovazione istruttoria, anche per quanto concerne la perizia medico – legale, osserva il Collegio come la censura presti il fianco ad un triplice profilo di inammissibilita’.
Anzitutto, perche’ il silenzio della Corte d’appello (in realta’ non rispondente al vero, per come si dira’ oltre) non puo’ ritenersi omesso esame della richiesta ex articolo 603 c.p.p., ma rientra nei casi di silenzio “significativo”. Si e’ infatti reiteratamente affermato da parte di questa Corte che il giudice d’appello ha l’obbligo di motivare espressamente sulla richiesta di rinnovazione del dibattimento solo nel caso di suo accoglimento, laddove, ove ritenga di respingerla, puo’ anche motivarne implicitamente il rigetto, evidenziando la sussistenza di elementi sufficienti ad affermare o negare la responsabilita’ del reo (Sez. 6, n. 11907 del 13/12/2013 – dep. 12/03/2014, Coppola, Rv. 259893).
In secondo luogo, perche’, versandosi nell’ipotesi del comma primo dell’articolo 603 c.p.p., nulla e’ stata dedotto dalla parte al fine di dimostrare la decisivita’ dell’incombente processuale richiesto. Ed e’ pacifico che in tema di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, nell’ipotesi di cui all’articolo 603 c.p.p., comma 1, la riassunzione di prove gia’ acquisite o l’assunzione di quelle nuove e’ subordinata alla condizione che i dati probatori raccolti in precedenza siano incerti e che l’incombente processuale richiesto rivesta carattere di decisivita’, mentre, nel caso previsto dal secondo comma, il giudice e’ tenuto a disporre l’ammissione delle prove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado negli stessi termini di cui all’articolo 495 c.p.p., con il solo limite costituito dalle richieste concernenti prove vietate dalla legge o manifestamente superflue o irrilevanti (In motivazione la Corte ha affermato che, nella prima ipotesi, le ragioni di rigetto possono essere anche implicite nell’apparato motivazionale della decisione adottata, mentre, nel secondo caso, la giustificazione del rigetto deve risultare in modo espresso e compiuto: Sez. 3, n. 47963 del 13/09/2016 – dep. 14/11/2016, F, Rv. 268657).

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