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Lamenta in particolare la motivazione apparente perché era stato posto a fondamento dell’esclusione della riqualificazione del fatto contestato un solo elemento che, per la sua natura, non incideva sul delitto di atti sessuali: una cosa era dimostrare la gravità degli atti sessuali ed un’altra dimostrare che gli stessi erano teleologicamente collegati ad un’attività di capzioso e subdolo adescamento. Rispetto alla negata concessione delle circostanze attenuanti generiche, la Corte territoriale si era limitata a riprodurre apoditticamente gli stessi parametri utilizzati per negare la riqualificazione del fatto così come invocata e per affermare la responsabilità penale in relazione al delitto di cui all’art. 609undecies c.p., omettendo di considerare il comportamento processuale tenuto, sia quando sottoposto ai vincoli cautelari sia in sede di spontanee dichiarazioni, ove aveva affermato di essersi pentito di aver avuto una relazione sentimentale con la ragazza e di essere pronto ad assumersene ogni responsabilità.
Considerato in diritto
3. Il ricorso è manifestamente infondato.
3.1. Lo stesso imputato ha dichiarato di aver ammesso gli addebiti, sebbene giustificati da un reale sentimento provato nei confronti della minore.
In considerazione di ciò, del tutto irrilevante appare il primo motivo di ricorso relativo all’interpretazione della testimonianza dell’amico.
Sta di fatto che l’imputato aveva un falso profilo su facebook e con questo aveva adescato la ragazzina con cui aveva consumato il rapporto di cui al capo d’imputazione.
La Corte territoriale ha confermato il giudizio di attendibilità della persona offesa già reso in primo grado, perché il certificato della psicologa, acquisito in atti, lungi dall’evidenziare i denunciati profili d’inattendibilità, dava conto piuttosto del profilo di una ragazza fragile, soggiogata da un uomo più grande, desiderosa di apparire agli occhi di questi più matura ed attraente della sua età anagrafica. La separazione dei genitori le aveva provocato una sensazione di vuoto con ricerca di conferme e riconoscimenti personali, anche al di fuori dell’ambito familiare. Questa situazione l’aveva indotta ad una tendenziale idealizzazione di persone e rapporti con un’incapacità di valutare le conseguenze di atti e comportamenti propri ed altrui.
3.2. Quanto al trattamento sanzionatorio, la motivazione della sentenza impugnata è sufficiente sia con riferimento alla negazione dell’attenuante del fatto di minore gravità sia con riferimento alla negazione delle attenuanti generiche, considerata la modalità subdola dell’adescamento con il falso profilo sui social network, tesa ad ottenere prima delle foto spinte e poi ad instaurare una relazione di fiducia con la ragazza solo per avere dei rapporti sessuali completi, l’estrema gravità oggettiva del fatto, l’intensità del dolo e la lesività dell’equilibrio psico-fisico della vittima.
3.3. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza ‘versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità’, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Le spese della costituzione di parte civile ammessa al patrocinio a carico dell’Erario sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, nonché alla refusione delle spese del grado sostenute dalla parte civile R.R. che liquida in Euro 3.000,00 oltre accessori di legge, spese generali al 15% da distrarsi in favore dell’Erario
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