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Deve, al riguardo, richiamarsi preliminarmente l’ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte che ha affermato, con riferimento all’ipotesi di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 4, che “ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicita’ del suo ragionamento” (Cass. 9105/2017); e che “in seguito alla riformulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non sono piu’ ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorieta’ e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimita’ sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’articolo 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullita’ della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorieta’” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione puo’ essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia.

Nel caso in esame, in cui le articolate richieste istruttorie del (OMISSIS) (riportate nel ricorso in esame alle pagg. 9, 10, 11 e 12) sono state respinte senza alcuna plausibile motivazione: l’affermazione che “appellante avrebbe dovuto provare non soltanto lo stravolgimento della propria vita in termini economici, ma, in presenza dei presupposti di cui alla L. n. 194 del 1978, che la moglie avrebbe optato per l’interruzione della gravidanza e, soprattutto, che quel nascituro era anche da lui non voluto (v. pag 2 sentenza impugnata)” risulta radicalmente inidonea a soddisfare tanto il principio costituzionale sancito dall’articolo 111 Cost., comma 6, quanto la regola di cui all’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4.

Ma, soprattutto, totalmente priva di significato rispetto al caso concreto (in cui, nonostante l’esito sfavorevole del giudizio, e’ stato comunque accertato con statuizione ormai definitiva l’errore dei sanitari nella diagnosi e nell’esecuzione dell’intervento) risulta essere l’apodittica affermazione, espressamente censurata dal ricorrente, che “la riprova del fatto che la stessa non avesse intenzione di fare ricorso ad una interruzione volontaria di gravidanza e’ riscontrabile proprio nel fatto che la figlia e’ poi nata” (v. pag. 3 sentenza impugnata): trattasi di argomentazione priva di senso logico anche rispetto alle premesse, ed in quanto tale “inesistente” come motivazione, con conseguente nullita’ della sentenza, dovendosi anche tenere conto della circostanza, emersa nel giudizio e documentata dalla stessa parte convenuta, consistente nella transazione alla quale sono pacificamente addivenute la compagnia di assicurazione dell’AON e la moglie del (OMISSIS) per il medesimo fatto oggetto di separato giudizio.

La sentenza impugnata deve, pertanto, essere cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Torino, in diversa composizione, che dovra’ riesaminare la controversia attenendosi ai seguenti principi di diritto:

“ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza – che, in quanto tale, configura l’ipotesi di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 4 – allorquando il giudice di merito indichi gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento senza una benche’ minima, approfondita loro disamina logica e giuridica, ovvero quando li illustri attraverso espressioni tautologiche che rendono impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicita’ del suo ragionamento, anche in relazione al corretto assolvimento degli oneri probatori rispetto ai quali la reiezione delle istanze istruttorie deve essere fondata su argomentazioni sintetiche ma esaustive”.

“In tema di responsabilita’ del medico per erronea diagnosi concernente il feto e conseguente nascita indesiderata, il risarcimento dei danni che costituiscono conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento della struttura sanitaria all’obbligazione di natura contrattuale spetta non solo alla madre ma anche al padre, atteso il complesso di diritti e doveri che, secondo l’ordinamento, si incentrano sulla procreazione cosciente e responsabile, considerando che, agli effetti negativi della condotta del medico ed alla responsabilita’ della struttura in cui egli opera, non puo’ ritenersi estraneo il padre, il quale deve, percio’, considerarsi tra i soggetti “protetti” e, quindi, tra coloro rispetto ai quali la prestazione mancata o inesatta e’ qualificabile come inadempimento, con il correlato diritto al risarcimento dei conseguenti danni, immediati e diretti, fra i quali deve ricomprendersi il pregiudizio di carattere patrimoniale derivante dai doveri di mantenimento dei genitori nei confronti dei figli”.

La Corte d’Appello investita del riesame della controversia provvedera’ anche a liquidare le spese del giudizio di legittimita’.

Si dispone l’oscuramento dei dati personali contenuti nella sentenza.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Torino, in diversa composizione, per un nuovo esame della controversia ed anche per la liquidazione delle spese relative al giudizio di legittimita’.

Si dispone l’oscuramento dei dati personali.

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