Corte di Cassazione, sezione terza civile, ordinanza 5 febbraio 2018, n. 2675. In tema di responsabilita’ del medico per erronea diagnosi concernente il feto e conseguente nascita indesiderata

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Ritenuto che:

– (OMISSIS) evoco’ in giudizio dinanzi al Tribunale di Alessandria la locale Azienda Ospedaliera Nazionale “(OMISSIS)” (da ora A.O.N.) al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti, in qualita’ di coniuge di (OMISSIS), per l’erronea esecuzione dell’intervento di raschiamento uterino cui era stata sottoposta (effettuato in ragione della errata diagnosi di aborto interno) a seguito del quale la gravidanza era proseguita (visto che solo dopo la ventunesima settimana, e quindi oltre il termine previsto dalla L. n. 194 del 1978, era stata accertata in altro Ospedale la cattiva esecuzione dell’aborto e la permanenza in vita del feto) e si era conclusa con la nascita indesiderata di una bambina.

Deduceva che la gestazione era andata avanti contrariamente alla palesata volonta’ sua e della moglie, in considerazione della loro eta’ avanzata e della presenza di un altro figlio; che, a seguito dell’evento, la moglie aveva dovuto rinunciare alla propria attivita’ lavorativa per accudire la neonata; che egli stesso aveva dato le dimissioni dal proprio posto di lavoro per ottenere il TFR maturato, necessario per provvedere ai mutati bisogni della famiglia; che aveva dovuto sostenere le spese per il sostentamento della minore e che era stato poi costretto a trasferire la propria residenza in altra citta’, dove aveva dovuto faticosamente ricercare una diversa attivita’ lavorativa – tutti fatti che gli avevano causato gravi danni di cui chiedeva il ristoro.

Il Tribunale di Alessandria, con sentenza n. 586/2012 depositata l’8.1.2012, respinta l’eccezione di prescrizione sollevata dall’AON, qualificava come responsabilita’ di natura contrattuale la fattispecie dedotta ma, pur avendo riconosciuto la cattiva esecuzione dell’intervento, rigettava la domanda del (OMISSIS) affermando che non era stato dimostrato ne’ che egli avesse effettivamente osteggiato la gravidanza ne’ che anche la madre della bambina avesse espresso la sicura intenzione di abortire.

La Corte d’Appello di Torino, adita per la riforma, ha rigettato l’appello, respingendo le rinnovate richieste istruttorie e confermando la motivazione resa dal primo giudice.

Avverso la predetta sentenza e’ stato proposto l’odierno ricorso affidato a due motivi, supportati da memoria ex articolo 380 bis c.p.c., comma 1.

La parte intimata si e’ difesa con controricorso.

Considerato in diritto che:

– Con il primo motivo, richiamando l’articolo 360 c.p.c., n. 5, il ricorrente deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti: assume, al riguardo, che erroneamente non era stato dato ingresso alla rinnovata richiesta di ammissione delle prove testimoniali dedotte e volte a dimostrare l’intenzione sua e della moglie di interrompere la gravidanza, ove fossero stati tempestivamente messi al corrente che l’intervento di raschiamento non era riuscito; assumeva che, se dette prove fossero state ammesse, l’esito della controversia sarebbe stato diverso. Censurava altresi’, in relazione a tale omissione, l’argomentazione (svolta nelle pagg. 2 e 3 della sentenza impugnata e definita “assurda”) secondo cui “la riprova del fatto che la stessa ( (OMISSIS)) non avesse intenzione di fare ricorso ad una interruzione volontaria di gravidanza e’ riscontrabile proprio nel fatto che la figlia e’ poi nata” e riconduceva detta affermazione ad una motivazione apparente.

– Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, dell’articolo 2697 c.c. in relazione all’articolo 167 c.p.c.; lamenta, inoltre, l’assenza di motivazione su un fatto decisivo della controversia in ordine al quale vi e’ stata discussione fra le parti: si duole, sotto il primo profilo, del fatto che la Corte torinese aveva omesso di considerare che l’AON aveva incentrato la sua difesa principalmente sull’eccezione di prescrizione (poi rigettata) omettendo del tutto di prendere posizione sulle allegazioni da lui specificamente prospettate in ordine alla volonta’ di interrompere la gravidanza; censura, rispetto al secondo profilo, il fatto che la Corte non aveva affatto valutato, in motivazione, la circostanza che la stessa AON aveva fornito la prova documentale della transazione che era seguita al giudizio intentato dalla moglie per il medesimo fatto, conclusosi con il pagamento in suo favore di Euro 125.000,00 a titolo di risarcimento del danno, non assegnando alcun ragionevole significato a tale evento e alla mancata contestazione della convenuta in ordine alle allegazioni concernenti la manifestazione dell’intenzione di abortire.

I motivi devono essere esaminati congiuntamente in quanto le censure in essi contenute sono strettamente connesse e riguardano, nel complesso, la sostanziale “apparenza” della motivazione che il ricorrente assume essere stata resa attraverso un percorso logico che non ha dato realmente conto dei motivi del rigetto della domanda: ha dedotto, al riguardo, che non erano state affatto esaminatele rinnovate richieste istruttorie (riportate nel ricorso) mancando del tutto argomentazioni logicamente comprensibili e giuridicamente idonee a sostenere la reiezione delle relative istanze; ha aggiunto, infine, che non erano state osservate le norme preposte a regolare la ripartizione degli oneri probatori fra le parti senza alcuna plausibile motivazione.

Sintetizzati come sopra i motivi del ricorso, una corretta qualificazione di essi rispetto alle censure prospettate (cfr. al riguardo Cass. 1370/2013; Cass. 24553/2013 e Cass. 23381/2017 secondo cui “Ai fini dell’ammissibilita’ del ricorso per cassazione, non costituisce condizione necessaria la corretta menzione dell’ipotesi appropriata, tra quelle in cui e’ consentito adire il giudice di legittimita’, purche’ si faccia valere un vizio della decisione astrattamente idoneo a inficiare la pronuncia; ne consegue che e’ ammissibile il ricorso per cassazione che lamenti la violazione di una norma processuale, ancorche’ la censura sia prospettata sotto il profilo della violazione di norma sostanziale ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, anziche’ sotto il profilo dell'”error in procedendo”, di cui all’articolo 360 cit., n. 4″) consente alla Corte di ricondurre entrambi nell’alveo dell’articolo 360, n. 4, concernente le ipotesi di nullita’ della sentenza, fra le quali devono essere ricomprese quelle riferibili ad una motivazione inesistente, resa, cioe’, attraverso una mera apparenza argomentativa.

In tal modo riqualificati, i motivi sono manifestamente fondati.

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