Corte di Cassazione, sezione terza civile, ordinanza 31 gennaio 2018, n. 2320. La soluzione di fare rinvio per la sommaria esposizione del fatto (anche) all’impugnata sentenza non esime in ogni caso il ricorrente dall’osservanza del requisito -richiesto a pena di inammissibilita’- ex articolo 366 c.p.c., coma 1, n. 6

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[…]

Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso – apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione (v. Cass., 21/8/1997, n. 7851).
Deve ulteriormente osservarsi, con particolare riferimento all’evocata distinzione tra azione di classe e azione collettiva, che non risulta dalla ricorrente idoneamente censurate le affermazioni contenute nell’impugnata sentenza secondo cui, pur non essendo stata la “posizione di consumatore in capo alla sig.ra (OMISSIS)… ulteriormente discussa dal Collegio di primo grado a seguito di quanto gia’ statuito nell’ordinanza di ammissibilita’” in quanto ritenuta “assorbita”, dopo aver premesso di non potersi esimere “dal rilevare che l’ordinanza di ammissibilita’ prevista dall’articolo 140-bis cod. cons. rappresenta una valutazione preliminare della controversia al fine di escludere tutte quelle azioni siano manifestamente infondate o in conflitto di interessi o che difettino dei presupposti minimi per proseguire il giudizio come l’adeguata cura degli interessi di una classe, nonche’ l’omogeneita’ degli interessi tutelabili”, avendo “necessariamente un carattere preliminare rispetto al giudizio di merito”, ne’ potendo “in alcun modo acquistare efficacia di giudicato all’interno del giudizio stessa” in quanto “soggetta al regime ordinario delle ordinanze ex articolo 279 c.p.c.”, la “sig.ra (OMISSIS), in sede inammissibilita’, e’ stata riconosciuta idonea a tutelare gli interessi della classe di consumatori potenziali acquirenti del prodotto distribuito da (OMISSIS)”, atteso che “in questo tipo di azioni la valutazione attinente la singola condotta concreta nonche’ le singole finalita’ di ogni appartenente alla classe devono necessariamente lasciare lo spazio ad una valutazione avente ad oggetto il diritto omogeneo fatto valere in giudizio”, la “finalita’ dello strumento processuale dell’azione di classe introdotta dal legislatore nel 2009” essendo “evidentemente quella di tutelare i consumatori di fronte a condotte illegittime che esplicano i propri effetti, in maniera analoga, su una pluralita’ di individui”; e che “nel caso di specie… il messaggio reclamizzato sulla confezione del prodotto, unito alle spiegazioni fornite con il foglietto illustrativo, era senza dubbio idoneo a ingenerare nel consumatore medio la convinzione di acquistare un prodotto sicuro e capace di diagnosticare la presenza dell’influenza c.d. suina con una probabilita’ di successo (sensitivita’ e specificita’) prossima al 100%”.
A fronte dei suindicati argomenti l’odierna ricorrente si limita invero a ribadire le censure in ordine all’omogeneita’ della condizione degli appartenenti alla classe dei consumatori gia’ sottoposte al giudice del gravame e dal medesimo espressamente rigettate, formulando apodittiche, generiche e non ben comprensibili doglianze del tutto prescindenti dal suindicato accertamento di merito, che a tale stregua si risolvono in un’inammissibile contrapposizione della propria tesi agli assunti dell’impugnata decisione, senza che risultino sviluppati argomenti in diritto con i contenuti richiesti dal combinato disposto dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 4, ne’ operata alcuna distinzione tra questioni di fatto e di diritto, sicche’ risulta “difficoltosa anche soltanto l’individuazione delle questioni poste” (v., in tali termini, Cass., 17/3/2017, n. 7009), e quanto dedotto si risolve nella proposizione in realta’ di “non motivi” (cfr. Cass., 8/7/2016, n. 1274; Cass., 8/7/2014, n. 15475; Cass., 1/10/2012, n. 17318; Cass., 17/1/2012, n. 537).
Del pari dicasi con riferimento alle dedotte doglianze circa la mancanza di specificita’ dei motivi dell’appello di controparte.
Emerge evidente, a tale stregua, come lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni della ricorrente, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in realta’ si risolvono nella mera doglianza circa la dedotta erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).
Per tale via in realta’ sollecita, cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimita’, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimita’ non e’ un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte Suprema di Cassazione elementi di fatto gia’ considerati dai giudici di merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Non e’ viceversa a farsi luogo a pronunzia in favore dell’altro intimato, non avendo il medesimo svolto attivita’ difensiva.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile, il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento in favore della parte resistente delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 1.200,00, di cui Euro 1.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.

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