Corte di Cassazione, sezione terza civile, ordinanza 23 gennaio 2018, n. 1572. Il sistema processuale impone che non si condanni mai alla rifusione delle spese chi è stato costretto a innescare la lite in modo fondato anche solo in parte.

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Con il secondo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 91 c.p.c., poiche’ la corte di appello aveva erroneamente confermato la condanna a due terzi delle spese in prime cure, laddove l’opposizione, almeno nella parte relativa all’i.v.a., era risultata fondata.

2. Il primo motivo di ricorso e’ infondato.

Parte ricorrente richiama, a sostegno della sua tesi, i principi della decisione di Cass. 20/08/2002 n. 12270, sia pure riferita alla disciplina delle T.P. del 1994, osservando che il differente arresto di Cass. 20/06/2011, n. 13482, menzionato dalla decisione di appello qui gravata ed esplicitamente afferente al regime normativo del 2004, era stato di nuovo superato da Cass. 29/07/2014, n. 17224.

Osserva il Collegio che, come pure rilevato dal pubblico ministero, sebbene la decisione del 2014 citata appaia riferirsi al Decreto Ministeriale 8 aprile 2004, n. 127 (punto 3 della motivazione, nell’esposizione dei motivi), essa si pronuncia (punto 4 della motivazione) con riguardo alla disciplina del Decreto Ministeriale 5 ottobre 1994, n. 585, come desumibile dalla menzione delle “voci tariffarie n. 20 (consultazioni con il cliente) e 21 (corrispondenza informativa)”, indicandole come non ripetibili in relazione alla tabella B, parte 1. Numeri che sono quelli della tabella A del 1994, mentre nella corrispondente tabella del 2004 si tratta dei numeri 21 e 22.

Si tratta, quindi, di un precedente che non puo’ dirsi aver mutato la giurisprudenza che si e’ esplicitamente pronunciata sulle previsioni qui applicabili, avviata da Cass., n. 13482 del 2011. Giurisprudenza, quest’ultima, condivisibile e cui va dato seguito.

Nella suddetta decisione si e’ osservato che: 1) nel 2004 risulta venuta meno la specificazione – presente nella parte 1 della tabella B approvata con il Decreto Ministeriale 5 ottobre 1994, n. 585, dopo il punto n. 45 – secondo cui le voci in questione erano dovute “anche dopo ogni sentenza non definitiva, dopo ogni ordinanza collegiale, dopo ogni riassunzione del processo e fissazione di nuova udienza”: questo era l’argomento testuale dal quale la precedente nomofilachia, esemplificata da Cass. n. 12270 del 2002, aveva evinto che le voci in parola non potevano liquidarsi dopo la non menzionata sentenza definitiva; 2) il principio generale della successiva tariffa, riferito espressamente agli onorari ma logicamente estensibile anche ai diritti, risulta espresso nell’articolo 5, comma 6, del testo normativo del “premesso” alla tariffa stessa, a mente del quale “la liquidazione… deve essere fatta in relazione a tutte le prestazioni effettivamente occorse ogni volta che vi sia stata una decisione anche se espressa con ordinanza collegiale o con sentenza non definitiva”, essendo evidente che “decisione” e’, a maggior ragione, anche la sentenza definitiva; 3) proprio dopo la sentenza definitiva, in base a nozioni di comune esperienza, l’avvocato consulta il cliente sulle successive opportunita’ di tutela, inerenti alla fase esecutiva e alle attivita’ ad essa prodromiche; 4) il mandato alla lite conferito per la fase di cognizione si estende normalmente, salvo che non consti una contraria o diversa volonta’ del mandante, anche alla fase di esecuzione, che della prima e’ la naturale prosecuzione e costituisce anzi quella in cui effettivamente l’ordinamento assicura a chi ha ragione il conseguimento del bene della vita riconosciutogli dovuto: sicche’ la mera facoltativita’ della redazione del precetto non elide il diritto al compenso per un’attivita’ usualmente riconducibile alla prestazione del difensore e che sia, in concreto, posta in essere; 5) per la fase di esecuzione la tariffa medesima prevede, al punto 74 della parte 2 della tabella B, che “per ogni altra prestazione concernente il processo di esecuzione… non prevista nel presente paragrafo…, sono dovuti gli onorari e i diritti stabiliti nel paragrafo concernente le corrispondenti prestazioni”, il che fonda, anche dal punto di vista testuale, l’astratta ammissibilita’, al riguardo, delle voci “consultazioni con il cliente” e “corrispondenza informativa”.

Resta ferma la necessita’ di prova in caso di contestazione, come ricorda, oltre che l’arresto appena richiamato, anche la parte ricorrente (pag. 10 del ricorso) senza pero’ farne, in tesi, profilo del motivo d’impugnazione.

Dal che deriva che la decisione impugnata e’ sul punto immune da errori.

2.1. Il secondo motivo di ricorso e’ fondato.

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