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[…]
2.3. Ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), deduce la mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione della ordinanza. Evidenzia come il Tribunale del riesame abbia preso in considerazione l’aspetto collegato all’associazione mafiosa in poco piu’ di quattro pagine, mentre la parte relativa al ricorrente e’ composta da poche righe insufficienti a fondare una imputazione cosi’ grave quale quella di reggente della cosca. Le argomentazioni del Tribunale sono anche contraddittorie poiche’ afferma che il (OMISSIS) sarebbe colui che avrebbe curato l’approvvigionamento delle risorse finanziarie, risultando dalle indagine che egli curasse il solo finanziamento, confondendo il ruolo di (OMISSIS) con quello di (OMISSIS), reo confesso in ordine a tale operazione. Altra contraddizione interessa la parte della motivazione in cui (OMISSIS) e’ considerato l’esponente che intrattiene i rapporti con la cosca (OMISSIS), mentre dalle indagini emerge la scarsa considerazione di (OMISSIS) nei confronti del (OMISSIS) a tal punto che, per dirimere una vicenda sentimentale che aveva coinvolto due soggetti delle rispettive famiglie, era stato richiesto l’intervento di due distinti componenti della famiglia (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), piu’ anziani di (OMISSIS) ed in liberta’, a conferma che anche il ruolo di reggente assegnato a (OMISSIS), dalla motivazione collegato alla detenzione di altri appartenenti alla famiglia, non e’ coerente con le premesse. Le dichiarazioni di (OMISSIS), ancora, avevano fatto emergere, contrariamente a quanto affermato nella ordinanza, un ruolo di scarso rilievo di (OMISSIS), incompatibile con i rapporti diretti della cosca (OMISSIS) coi i narcos (OMISSIS). Anche le dichiarazioni di (OMISSIS), soggetto intraneo alla cosca (OMISSIS), denotano la contraddittorieta’ della ordinanza li’ dove utilizza dichiarazioni di un soggetto che afferma fatti di cui non puo’ essere a conoscenza, tanto da contraddirsi nell’ambito delle stesse dichiarazioni in cui dapprima afferma di offese che (OMISSIS) avrebbe ricevuto da (OMISSIS), a dimostrazione dello scarso rilievo del (OMISSIS), e dall’altra riferisce del ruolo di (OMISSIS) quale reggente della cosca in quanto unico soggetto in liberta’, in tal modo fondando quanto sostenuto su un automatismo deduttivo.
3. Dagli atti del procedimento emerge che (OMISSIS), con sentenza del 12 ottobre 2017 emessa dal G.u.p. del Tribunale di Reggio Calabria, a seguito di rito abbreviato, e’ stato condannato alla pena di anni 20 di reclusione per tutti i reati di cui alla presente misura cautelare, con la sola eccezione della non ritenuta aggravante di cui al Decreto Legge 13 maggio 1991, n. 152, articolo 7 (conv. con L. 9 luglio 1991, n. 203).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La intervenuta condanna del ricorrente per tutti i reati di cui alla misura cautelare impugnata, eccetto che per la aggravante di cui al Decreto Legge 13 maggio 1991, n. 152, articolo 7 (conv. con L. 9 luglio 1991, n. 203), in attesa del deposito delle motivazioni, essendo agli atti il solo dispositivo, costituisce motivo sufficiente per ritenere ormai superata la fase connessa alla valutazione degli indizi della ordinanza, dovendosi fare ora riferimento alla statuizione del giudice di primo grado che, nella pienezza dei poteri decisori, ha potuto valutare complessivamente tutti gli atti del procedimento, inclusi quelli ulteriori fatti acquisire dalle parti.
Da tanto discende che il profilo connesso al richiesto sindacato di legittimita’ di questa Corte sui vizi di violazione di legge e circa la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza enunciati dal ricorrente con i tre motivi di cui sopra, motivi attinenti unicamente all’articolo 416-bis c.p., commi 1, 2, 3, 4 e 5 (capo D) relativo alla reggenza della cosca (OMISSIS), sono certamente superati dal giudizio sulla responsabilita’ penale definito con condanna.
2. Deve osservarsi, infatti, che questa Corte ha avuto modo di chiarire che e’ sempre necessaria la verifica della attualita’ e concretezza dell’interesse alla decisione, secondo quanto previsto dall’articolo 568 c.p.p., comma 4, norma applicabile anche ai provvedimenti de libertate e secondo cui e’ requisito fondante di ogni impugnazione la persistenza di un interesse effettivo e attuale, finalisticamente diretto alla rimozione di un pregiudizio reale e specifico che la parte affermi di aver subito per effetto del provvedimento impugnato, senza che l’interesse alla decisione del ricorso possa tradursi in una astratta pretesa ad una rituale esattezza teorica del provvedimento impugnato, destituita di effetti pratici sull’economia del procedimento o sui suoi futuri sviluppi (arg., a contrario, da: Sez. 6, n. 9943 del 15/11/2006 dep. 2007, Campodonico, rv. 235887; Sez. 6, n. 2210 06/12/2007, dep. 2008, Magazzu’, rv. 238632). Ne discende che la sopravvenuta pronuncia di una sentenza di condanna, ancorche’ non definitiva, fa venir meno l’interesse dell’imputato alla procedura di riesame finalizzata alla verifica della originaria sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, salvo che risultino dedotti elementi di prova nuovi, suscettibili di dare ingresso ad una possibile diversa lettura degli indizi al momento dell’adozione della misura cautelare (Sez. 6, n. 41104 del 19/06/2008, Scozia, Rv. 241483). Seppure detto principio sia stato espresso con riferimento alla sussistente di un interesse alla impugnazione nel procedimento di riesame, e’ significativo che un’eventuale pronuncia in questa sede in ordine agli stessi indizi risulterebbe inutile poiche’, un ipotetico annullamento, imporrebbe la declaratoria di inammissibilita’ sopravvenuta per il giudice dell’appello incidentale de libertate, in assenza di una diversa contestazione del fatto addebitato e di nuovi elementi di fatto. Cio’ anche, come nel caso di specie, non ancora depositate le motivazioni, si sia in presenza del solo dispositivo, elemento sufficiente per ritenere superata la fase della sussistenza indiziaria a sostegno della misura cautelare, avendo riguardato la decisione un complessiva valutazione dell’apporto probatorio (Sez. 3, n. 6780 del 27/01/2012, P., Rv. 251990).
3. Da tanto discende la inammissibilita’ del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse cui consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000,00 in favore della cassa delle ammende, secondo quanto previsto dall’articolo 616 c.p.p., comma 1.
4. L’attuale stato cautelare cui e’ sottoposto il ricorrente impone, ai sensi dell’articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 3-ter, la trasmissione del presente provvedimento a cura della cancelleria al direttore dell’istituto penitenziario per gli adempimenti di cui all’articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1-bis.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000,00 in favore della cassa delle ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.
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