Corte di Cassazione, sezione sesta penale, sentenza 22 gennaio 2018, n. 2685. In tema di peculato

segue pagina antecedente
[…]

In ordine alla utilizzabilità della documentazione acquisita, i rilievi non si correlano alla motivazione (la Corte di appello argomenta, pratica per pratica, la attribuibilità delle stesse al ricorrente), oltre ad essere intrinsecamente generici, quanto alle modalità di acquisizione.
Relativamente infine alla consistenza del compendio probatorio, le critiche sono anch’esse generiche e riprendono argomenti sui quali si è già detto.
3. Quanto al dolo, devono richiamarsi le osservazioni sopra avanzate in ordine alla dedotta esistenza di prassi.
In ogni caso, anche riconoscendo l’esistenza di una ‘prassi diffusa’ o, addirittura, di un ‘vero e proprio sistema’ che tollerasse l’attività oggetto di contestazione, deve ritenersi che si sia trattato di una prassi e di un sistema contra legem, a fronte dei quali il pubblico dipendente, o comunque la persona addetta ad un pubblico servizio, doveva astenersi dal porre in essere comportamenti dubbi ed acquisire le necessarie informazioni ed assicurazioni circa la legittimità dell’attività svolta (non essendo sufficiente, come deduce il ricorrente, che la prassi fosse ‘non contrastata o vietata da disposizioni verbali o scritte’), in modo da adempiere a quell’onere informativo che può rendere scusabile l’errore sulla legge penale (Sez. 3, n. 33039 del 04/11/2015, dep. 2016, Guardigni, Rv. 268120).
Le restanti critiche versate nel motivo si diffondono in argomentazioni di precluso merito, collocandosi pertanto al di fuori del perimetro del controllo di legittimità.
4. Quanto all’ultimo motivo, anche a voler tacere dell’assoluta genericità dell’appello sul punto (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822), la Corte di appello ha correttamente escluso l’uso momentaneo, posto che tale tesi non trovava alcun appiglio in fatto (quanto alle marche da bollo) sia in diritto (quanto al denaro, Sez. 6, n. 49474 del 04/12/2015, Stanca, Rv. 266242).
5. Sono all’evidenza infine non consentite le richieste finali del ricorrente per la rideterminazione della pena nei minimi edittali, con la concessione dei benefici di legge.
6. Alla declaratoria di inammissibilità segue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento a favore della cassa delle ammende della somma a titolo di sanzione pecuniaria, che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo quantificare nella misura di Euro 2.000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000 in favore della cassa delle ammende.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *