Corte di Cassazione, sezione sesta penale, sentenza 19 gennaio 2018, n. 2381. Violazione degli obblighi di assistenza familiare, l’obbligato non puo’ reputarsi automaticamente colpevole per il mancato svolgimento di attivita’ lavorativa in costanza del periodo di detenzione

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1. Il ricorso e’ fondato nei limiti e per le ragioni di seguito precisati.
2. Presupposto per la violazione dell’obbligo di assistenza familiare, con riguardo al profilo dell’omessa prestazione dei mezzi di sussistenza ai discendenti di eta’ minore, e’ la possibilita’ di adempiere.
Tuttavia, non osta alla configurabilita’ del reato in questione una situazione di indisponibilita’ economica colpevolmente determinata e perdurante nel periodo in cui si verifica l’inadempimento: significativamente, in giurisprudenza tende ad escludersi, in linea di principio, l’efficacia esimente sia dello stato di disoccupazione (cfr. tra le altre, Sez. 6, n. 5751 del 14/12/2010, dep. 2011, P., Rv. 249339, e Sez. 6, n. 10085 del 15/02/2005, Pegno, Rv. 231453), salvo a valutare la concreta situazione (Sez. 6, n. 7372 del 29/01/2013, S., Rv. 254515), sia, piu’ in generale, della indisponibilita’ dei mezzi necessari, quando questa sia dovuta, anche parzialmente, a colpa dell’obbligato (Sez. 6, n. 11696 del 03/03/2011, F., Rv. 249655). Inoltre, come precisano alcune decisioni, lâEuroËœindisponibilita’ da parte dell’obbligato dei mezzi economici necessari ad adempiere si configura come scriminante soltanto se perdura per tutto il periodo di tempo in cui sono maturate le inadempienze e non e’ dovuta, anche solo parzialmente, a colpa dell’obbligato (cosi’, in particolare, Sez. 6, n. 41697 del 15/09/2016, B., Rv. 268301, relativa ad un obbligato che aveva addotto come causa di impossibilita’ lo stato detentivo, protrattosi per pochi mesi rispetto ad un periodo di inadempimento perdurato per oltre cinque anni).
In questa prospettiva, risulta plausibile ritenere che lo stato di detenzione costituisce un limite alla rilevanza penale dell’inadempimento della prestazione dei mezzi di sussistenza quando coincide con il periodo dei mancati versamenti, sempre che l’obbligato non abbia percepito comunque redditi e non si sia attivato per procurarsi legittimamente dei proventi, in particolare mediante il lavoro all’interno o all’esterno del luogo di detenzione.
In altri termini, l’obbligato non puo’ reputarsi automaticamente colpevole per il mancato svolgimento di attivita’ lavorativa in costanza del periodo di detenzione: l’ammissione al lavoro nella struttura penitenziaria, e ancor piu’ all’esterno di essa, non e’ certo un diritto soggettivo incondizionato, ma e’ oggetto di concessione da parte dell’Amministrazione, all’esito di articolate valutazioni e sempre che ve ne sia la concreta possibilita’ fattuale, come conferma anche la L. 26 luglio 1975, n. 354, articolo 20, il quale prevede la formazione di apposite graduatorie. E’ ragionevole, quindi, concludere che, per non rispondere penalmente dell’inadempimento della prestazione dei mezzi di sussistenza, l’obbligato in stato di detenzione abbia l’onere di presentare domanda all’amministrazione penitenziaria per essere ammesso al lavoro; se, poi, la richiesta non e’ accolta, non potra’ essere addebitata allo stesso la mancata percezione di guadagni.
3. La decisione di secondo grado evidenzia innanzitutto che il ricorrente non ha mai versato alcunche’ alla moglie ed alle figlie minori dall’8 (OMISSIS), data di emissione dell’ordinanza con cui il giudice civile aveva imposto all’uomo di corrispondere un assegno mensile pari a 600,00 Euro, fino giugno 2011, data di pronuncia della sentenza penale di primo grado. Osserva, poi, muovendo dalla premessa secondo cui l’impossibilita’ di somministrazione dei mezzi di sussistenza deve essere incolpevole, che il lungo periodo di carcerazione sofferto “non limita la responsabilita’ dell’imputato, in quanto lo stesso anche durante il regime di detenzione inframuraria ben avrebbe potuto svolgere attivita’ lavorativa all’interno della struttura, effettuando almeno versamenti parziali della somma cui era tenuto (…)”.
Cosi’ argomentando, la Corte d’appello addebita al ricorrente la responsabilita’ per il reato di cui all’articolo 570 c.p., comma 2, n. 2, per avere il medesimo omesso di svolgere attivita’ lavorativa all’interno della struttura carceraria, senza pero’ verificare se questa circostanza sia il risultato di un’inerzia colpevole, o, invece, di una impossibilita’ per cause estranee alla volonta’ dell’imputato.
Di conseguenza, la Corte di merito, muovendo dalla petizione di principio secondo cui il mancato svolgimento di attivita’ lavorativa in carcere e’ di per se’ addebitabile alla colpevole inerzia del detenuto, illegittimamente ha ritenuto colpevole anche lâEuroËœindisponibilita’, da parte del ricorrente, del denaro necessario per prestare, almeno in parte, i necessari mezzi di sussistenza ai discendenti ed al coniuge.
4. La sentenza impugnata deve essere quindi annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli per nuovo giudizio.
Il nuovo giudizio dovra’ esaminare, innanzitutto, se il periodo di detenzione del ricorrente sia stato, o meno, coincidente con il periodo di inadempimento dell’obbligo di prestazione di assistenza in contestazione, e, poi, in caso di sovrapponibilita’ piena o significativamente prevalente tra gli stessi, se, durante il periodo di detenzione, l’imputato abbia colpevolmente omesso di attivarsi per svolgere un lavoro, o, invece, la mancata esecuzione di attivita’ lavorativa sia stata determinata da cause al medesimo non imputabili.
In ogni caso, inoltre, il giudice del rinvio provvedera’ a verificare se risulti che il ricorrente, nel periodo in contestazione, abbia fruito di altri redditi.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli.

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