Corte di Cassazione, sezione seconda penale, sentenza 22 gennaio 2018, n. 2668. L’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito

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Il Tribunale annullava l’ordinanza in relazione ai delitti sub 1 e 8 e sostituiva la misura di massimo grado con quella degli arresti domiciliari, confermando la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari per il reato continuato di estorsione consumata.
2. Propone ricorso (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore di fiducia, chiedendo l’annullamento dell’ordinanza per mancanza e manifesta illogicita’ della motivazione e violazione di legge (in relazione all’articolo 629 c.p. e articolo 628 c.p., comma 3, n. 3, Decreto Legge 13 maggio 1991, n. 152, articolo 7 e articoli 192 e 374, 274 cod. proc. pen.).
Erroneamente il Tribunale ha ritenuto sussistente nel caso di specie la c.d. estorsione ambientale, considerato che per il ricorrente e’ venuta meno la gravita’ indiziaria per il reato associativo, con conseguente esclusione anche dell’aggravante ex articolo 628 c.p.p., comma 3, n. 3.
Dalle conversazioni intercettate, richiamate dal Tribunale, si evince che il macellaio (OMISSIS) consegno’ a (OMISSIS) la carne praticando uno sconto e non gia’ senza ricevere alcun corrispettivo.
La carne era poi diretta a soddisfare i bisogni del solo (OMISSIS) e non dell’intero sodalizio del quale il ricorrente non faceva parte, cosicche’ non sussiste neppure l’aggravante Decreto Legge 13 maggio 1991, n. 152, ex articolo 7 convertito con modificazioni, dalla L. 12 luglio 1991, n. 203, anche perche’ nella fattispecie manca “il quid pluris che qualifichi quella condotta nei termini della mafiosita’”.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi proposti, dovendosi preliminarmente ricordare che, secondo la consolidata giurisprudenza, il controllo di legittimita’ relativo ai provvedimenti de libertate e’ circoscritto all’esame del contenuto dell’atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e, dall’altro, l’assenza di illogicita’ evidenti, ossia la congruita’ delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento.
La insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex articolo 273 cod. proc. pen., pertanto, e’ rilevabile in Cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge o in mancanza o manifesta illogicita’ della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato ed il controllo di legittimita’, in particolare, non puo’ riguardare ne’ la ricostruzione dei fatti ne’ l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilita’ delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori, per cui non sono consentite le censure, che pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito.
Le doglianze esposte dal ricorrente riguardano esclusivamente la ritenuta sussistenza della gravita’ indiziaria in ordine all’unico delitto per il quale lo stesso e’ rimasto cautelato a seguito del parziale annullamento dell’ordinanza genetica.
Il mero richiamo all’erronea applicazione (anche) dell’articolo 274 cod. proc. pen. non e’ ovviamente idoneo a consentire l’esame del profilo inerente alle esigenze cautelari.
2. La difesa fornisce una lettura delle conversazioni intercettate all’interno dell’autovettura con a bordo (OMISSIS) e (OMISSIS) diversa da quella del Tribunale; la doglianza contrasta con il principio consolidato in giurisprudenza, secondo il quale l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, non puo’ essere sindacata in sede di legittimita’ se non nei limiti della manifesta illogicita’ ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Sez. U., n. 22471 del 26/2/2015, Sebbar, Rv. 263715; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, D’Andrea, Rv. 268389; Sez. 3, n. 35593 del 17/05/2016, Folino, Rv. 267650).
Il Tribunale ha riportato nell’ordinanza ampi stralci delle conversazioni (pagg. 4-5), evincendo che la carne, destinata in larga parte ai “carcerati”, non fu pagata; sul punto (pag. 10-11) la motivazione non e’ affatto illogica, anche laddove richiama il ruolo di (OMISSIS), appartenente al nuovo sodalizio con una posizione di vertice nato in continuita’ con la “cosca (OMISSIS)”.
Quest’ultima circostanza e’ stata completamente trascurata dal ricorrente ed e’ invece essenziale per inserire la condotta contestata, commessa in concorso dai due, nel contesto di operativita’ dell’associazione di tipo mafioso, anche se nella stessa non era stabilmente inserito (OMISSIS), secondo quanto ritenuto dal Tribunale.
E’ legittimo, dunque, anche per il delitto di cui si tratta, evocare il fenomeno della estorsione ambientale, che non implica necessariamente che la vittima debba conoscere l’estorsore ed il clan di appartenenza (cosa peraltro verificatasi nella fattispecie, secondo quanto rilevato nell’ordinanza, che sul punto richiama le dichiarazioni della persona offesa): cio’ che rileva e’ la modalita’ della richiesta estorsiva, quando questa sia attuata in una zona, come quella di Lamezia Terme, che si trovi sotto l’influsso di notori ed agguerriti clan mafiosi (in questo senso, da ultimo, v. Sez. 2, n. 22976 del 13/04/2017, Neri, Rv. 270175).
Priva di pregio e’ anche la doglianza in ordine alla insussistenza della circostanza aggravante prevista dall’articolo 628 c.p., comma 3, n. 3, la quale non richiede che tutti gli agenti appartengano all’associazione di tipo mafioso: essa si estende anche ai concorrenti nel reato, trattandosi di circostanza che, ancorche’ soggettiva, attiene alla qualita’ personale del colpevole. (cfr., proprio in tema di estorsione, Sez. 5, n. 9429 del 13/10/2016, dep. 2017, Mancuso, Rv. 269365; Sez. 6, n. 41514 del 25/09/2012, Adamo, Rv. 253807; Sez. 1, n. 5639 del 03/11/2005, dep. 2006, Calabrese, Rv. 233839).
E’ manifestamente infondata anche la deduzione inerente all’aggravante Decreto Legge n. 152 del 1991, ex articolo 7 in quanto, nella motivata ricostruzione operata dal Tribunale (con riferimento, ad esempio, ai “carcerati”), la carne che la persona offesa dovette consegnare non era affatto destinata a soddisfare i bisogni del solo (OMISSIS). Per il resto la censura e’ inammissibile per genericita’ del motivo (manca “il quid pluris che qualifichi quella condotta nei termini della mafiosita’”).
4. Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento nonche’, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’, al versamento in favore della cassa delle ammende della somma di Euro 2.000, cosi’ equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della cassa delle ammende.

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