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Ci si duole pertanto dell’erronea applicazione della regola di giudizio di cui all’articolo 425 c.p.p. e del fatto che il giudice abbia esorbitato dai propri poteri, procedendo come detto ad una valutazione di merito ed esprimendo un giudizio circa la colpevolezza degli imputati, anziche’ limitarsi ad accertare la sostenibilita’ dell’accusa in dibattimento.
Tale approccio metodologico errato si evincerebbe anche dalle espressioni utilizzate dal giudice a quo, che evocano per l’appunto la valutazione definitiva delle responsabilita’ degli imputati.
Il PG ricorrente, peraltro, rievocati in ricorso i principi fissati dalla giurisprudenza sulla posizione di garanzia rivestita, rispettivamente, dal legate rappresentante delle residenze sanitarie per anziani, dal direttore sanitario, dal responsabile infermieristico, dagli operatori socio-sanitari, con particolare riferimento agli obblighi di cui all’articolo 40 cpv. c.p., comma 2, rileva come il legale rappresentante di (OMISSIS) S.p.A., (OMISSIS), cosi come i due operatori socio-sanitari di turno al plano in cui era ospitata la (OMISSIS) al momento dei fatti, (OMISSIS) e (OMISSIS), rivestissero una posizione di garanzia rispetto alla anziana ospite deceduta.
Ebbene, ci si duole, rispetto a questo punto, della mancata valutazione da parte del GUP dell’esistenza di tale posizione di garanzia, con conseguente assoluta non menzione nella motivazione, di due documenti essenziali ai fini del decidere presenti in atti, totalmente trascurati dal decidente: 1. il contratto di spedalita’ tra la struttura (OMISSIS) S.p.A. e (OMISSIS) (per conto della di lui anziana madre), contratto che, tra le “condizioni di soggiorno”, prevedeva a carico della struttura una “assistenza tutelare diurna e notturna che consiste nella cura della persona e nel fornire supporto ed assistenza nello svolgimento delle attivita’ quotidiane ed aiuto nell’assunzione dei pasti”; 2. un documento interno della struttura (prodotto con memoria difensiva dal difensore dei due operatori) dal quale si ricava, senza dubbio alcuno, che i tre imputati erano a conoscenza della non autosufficienza motoria della (OMISSIS).
Di tutto cio’ – si lamenta – il GUP non ha dato conto nella motivazione.
Si evidenzia che il (OMISSIS), per stessa ammissione dell’operatore (OMISSIS), la signora (OMISSIS) fu lasciata da sola sul terrazzo perlomeno per il tempo di 20 minuti, di per se’ sufficiente alla concretizzazione del pericolo che sarebbe dovuto essere ben prevedibile da coloro che rivestivano una posizione di garanzia e che ben erano a conoscenza della necessita’ di una specifica protezione (di derivazione anche contrattuale) di quella non autosufficienza.
Appare opportuno per il PG ricorrente richiamare, a riprova della manifesta illogicita’ della motivazione, taluni brevi ma significativi passaggi, relativi a circostanze che avrebbero dovuto convincere il decidente circa l’opportunita’ della rimessione della vicenda alla fase dibattimentale, con la formazione della prova improntata al principio del contraddittorio, come costituzionalmente garantito:
1. “… Non e’ del resto trascurabile che all’origine della vicenda sia stata proprio l’esigenza rappresentata dalla (OMISSIS), ed assecondata dai familiari, di poter uscire in terrazzo anche per fumare…” (pag. 3 sentenza, sub 8).
2. “… e’ emerso che l’accompagnamento della anziana ospite sul terrazzo avveniva su espressa domanda della stessa e dei suoi familiari, tanto e’ vero che era stata richiesta la disponibilita’ di una camera singola prospiciente il terrazzo dove la (OMISSIS) si tratteneva” (pag. 4 sentenza, sub 9).
3. “… E’ innegabile che tale richiesta esuli dal contenuto tipico dell’assistenza e delle sue modalita’ concrete di esercizio, essendo intuibile che, a differenza di quanto accade nella stanza dove e’ disponibile il campanello per le emergenze, tale dispositivo non e’ presente nel terrazzo, ne’ e’ previsto che debba essere cola’ installato…” (pag. 4 sentenza, sub 9).
4. “… Cio’ posto, resta da chiarire se l’accompagnamento della signora fatto, si ripete, di per se’ consentito e anzi richiesto dalla stessa ospite che sotto questo profilo era idonea ad esprimere un valido consenso – sia stato attuato con modalita’ incongrue ovvero per un periodo tale da poter oggettivamente concretizzare uno stato di abbandono” (pag. 4 sentenza, sub 10).
Considerazioni, quelle da ultimo trascritte, che il PG ricorrente afferma essere in aperto conflitto con le risultanze delle indagini svolte dal competente nucleo specializzato (il richiamo e’ alle informative in data 11/12/2015 ed in data 4/3/2016 dei N.A.S. di Bologna).
Il GUP – si lamenta in ricorso – si esprime circa l’idoneita’ dell’anziana donna ad esprimere “un valido consenso”, quasi a voler evidenziare un evento di natura eccezionale, al di fuori di una normale prassi di vita quotidiana di una struttura per anziani, come se chiedere di potersi spostare una o due volte al giorno sul terrazzo, per giunta in periodo estivo, potesse dare luogo a prestazione estranea al contratto di spedalita’.
A fronte delle responsabilita’ gravanti sul legale rappresentante e sugli operatori socio-sanitari della struttura, di certo al corrente della non autosufficienza motoria della anziana ospite, appare inequivoco per il ricorrente l’obbligo della sorveglianza (cosi come da contratto) per tutto il tempo durante il quale non era imprevedibile che la donna medesima potesse avere delle necessita’ ed essere bisognosa di tutela, quando, appunto, era sul balcone senza campanello e mentre iniziava a scatenarsi un temporale estivo.
La mancanza, contraddittorieta’ e illogicita’ della motivazione e la non corrispondenza degli argomenti svolti in sentenza ai criteri imposti dagli articoli 125 e 425 c.p.p. imporrebbero, percio’, l’annullamento del provvedimento impugnato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I motivi sopra illustrati sono fondati e, pertanto, la sentenza impugnata va annullata con rinvio al Tribunale di Bologna per l’ulteriore corso.
Ed invero, come lamenta il ricorrente, la sentenza impugnata non appare essere stata emessa nel rispetto della regola di giudizio di cui all’articolo 425 c.p.p..
Fondato, in altri termini, e’ il rilievo che il giudice dell’udienza preliminare abbia esorbitato dai propri poteri, procedendo ad una valutazione di merito ed esprimendo, di fatto, un giudizio circa la colpevolezza degli imputati, anziche’ limitarsi ad accertare la sostenibilita’ dell’accusa in dibattimento.
2. Va ricordato, sul punto, il costante dictum di questa Corte di legittimita’ secondo cui il giudice dell’udienza preliminare nel pronunciare sentenza di non luogo a procedere, a norma dell’articolo 425 c.p.p., comma 3, deve valutare, sotto il solo profilo processuale, se gli elementi acquisiti risultino insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio, non potendo procedere a valutazioni di merito del materiale probatorio ed esprimere, quindi, un giudizio di colpevolezza dell’imputato ed essendogli inibito il proscioglimento in tutti i casi in cui le fonti di prova si prestino a soluzioni alternative e aperte o, comunque, ad essere diversamente rivalutate (Sez. 2, n. 48831 del 14/11/2013, Maida, Rv. 257645; cfr. anche, sez. 4 n. 26410 del 18/4/2007, Giganti ed altri, Rv. 236800; Sez. 3, n. 39401 del 21/3/2013, Narducci e altri, Rv. 256848; Sez. 6, n. 5049 del 27/11/2012 dep. il 2013, Cappello e altri, Rv. 254241; Sez. 5 n. 22864 del 15/5/2009, Giacomin, Rv. 244202).
Non pare condivisibile il dictum di altre pronunce, costituenti recente e minoritario orientamento, come Sez. 6 n. 33763/2015, che, pur cercando di rimanere nell’alveo della previsione normativa, ma non riuscendovi del tutto, hanno ritenuto di accentuare il potere del giudice dell’udienza preliminare ritenendo che lo stesso sia chiamato ad una valutazione di “effettiva consistenza del materiale probatorio posto a fondamento dell’accusa”, eventualmente avvalendosi dei suoi poteri di integrazione delle indagini, e, all’esito, ove ritenga l’esistenza di una minima possibilita’ di colpevolezza dell’imputato, deve disporre il rinvio a giudizio dell’imputato, salvo che vi siano concrete ragioni per ritenere che il materiale individuato, o ragionevolmente acquisibile in dibattimento, non consenta in alcun modo di provare la sua colpevolezza (Sez. 6, n. 33763 del 30/04/2015, P.M. in proc. Quintavalle, Rv. 264427; conf. Sez. 6, n. 3726 del 29/09/2015 dep. il 2016, P.M. in Proc. Di Gaetano, Rv. 266132).
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