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Il potere di revoca e’ concesso dalla legge con notevole ampiezza, alla luce dell’essenziale funzione svolta dall’amministratore di societa’ per azioni, al fine del perseguimento degli scopi di questa: gli amministratori, in sostanza, sono la societa’ (cfr. ora l’articolo 2380-bis c.c.).
Trattandosi di facolta’ di recesso attribuita ex lege, la societa’ gode sul punto di una forma di autotutela privata, non avendo essa, per sciogliere il rapporto gestorio pure in mancanza di espressa pattuizione ex articolo 1373 c.c., necessita’ di ricorrere al giudice, ma potendo senz’altro porre in essere la deliberazione ad effetto estintivo del rapporto di amministrazione; in seconda battuta, il controllo sulla revoca spetta al giudice, ai soli fini della liquidazione dell’eventuale risarcimento. Il potere discende dall’esercizio dell’autonomia privata; tale esercizio e’ libero; il confine di questa liberta’ e’ nella giusta causa della revoca.
Al riguardo, puo’ parlarsi “non gia’ di un potere illimitato dell’assemblea, ma di una facolta’ discrezionale e controllata, che e’ limitata, ovviamente, non gia’ in vista del conseguimento degli interessi e degli obiettivi societari ma solo in considerazione del rispetto della posizione sociale ed economica dell’amministratore di societa’. Ossia in ragione della dignita’ e del sacrificio economico imposto alle persone che rivestono la carica amministrativa e che, in ragione dell’atto di revoca, vedono sacrificata, in una misura piu’ o meno ampia, la propria posizione” (Cass. 15 aprile 2016, n. 7587, in motivazione).
La facolta’ di revocare a propria discrezione gli amministratori trova, pertanto, un limite nel presupposto della “giusta causa”: non, pero’, nel senso che questa sia condizione di efficacia della deliberazione di revoca, la quale resta in ogni caso ferma e non caducabile (salvi eventuali vizi suoi propri), assumendo, invece, la giusta causa il piu’ limitato ruolo di escludere in radice l’obbligo risarcitorio, altrimenti previsto a carico della societa’ per il fatto stesso del recesso anticipato dal rapporto prima della sua scadenza naturale, come stabilita all’atto della nomina.
Puo’ dirsi che la responsabilita’ per i danni costituisca la tutela di tipo obbligatorio che la legge appresta per l’amministratore revocato senza giusta causa, cui non spetta, invece, la tutela reale: si’ da ricondurre la fattispecie alla medesima ratio di altre, in cui il legislatore esclude l’azione caducatoria della deliberazione (accanto alla decadenza dall’impugnazione tempestivamente eccepita dalla societa’, si pensi alla mancanza della percentuale di azioni sufficiente ad impugnare la delibera, alla titolarita’ di azioni prive del diritto di voto, alla vendita della partecipazione in corso di causa, alla sanatoria della nullita’ ex articolo 2379-bis c.c., commi 1 e 2, e articolo 2379-ter c.c., all’iscrizione nel registro delle imprese dell’atto di trasformazione, fusione o scissione, all’approvazione del bilancio relativo all’esercizio successivo ex articolo 2434-bis c.c. e cosi’ via).
In tali casi, e’ precluso l’annullamento o la declaratoria di nullita’ della deliberazione – in una parola, la sua caducazione – che, dunque, permane nel mondo giuridico e produce per intero i suoi effetti: nella specie, l’estinzione del rapporto di amministrazione. La deliberazione di revoca non viene posta in discussione, tutto risolvendosi sul piano patrimoniale, la continuita’ della vita sociale fondando le esigenze di certezza e di stabilita’ degli atti; a tale ratio – comune alle fattispecie ricordate – si aggiunge qui l’intento di presidiare la volonta’ assembleare che, come e’ libera di scegliere i gestori, cosi’ deve poterli revocare in ogni tempo, qualunque sia il motivo di quella scelta.
2.2. – Con riguardo all’esigenza di illustrare la giusta causa, dunque, la deliberazione di revoca dovra’ esporre le ragioni che la giustificano.
E’ noto come, nel diritto societario, costituiscano un numero limitato le deliberazioni degli organi sociali soggette per legge all’obbligo di motivazione (cfr. articoli 2391 e 2391-bis c.c., articolo 2441 c.c., comma 5, articolo 2497-ter c.c.), restando di regola i soci liberi di determinarsi senza necessariamente esternare le ragioni delle proprie decisioni.
Accanto alle ipotesi in cui le deliberazioni societarie debbano essere motivate per esplicito dettato normativo, altre possono essere individuate in via interpretativa.
Tra di esse vi sono appunto, sia pure con connotati fra loro parzialmente diversi, le deliberazioni di interruzione del rapporto sociale (articoli 2287, 2473-bis e 2533 c.c.), gestorio (articolo 2259, 2383 e 2409-duodecies c.c.) o sindacale (articolo 2400 c.c.), dove la necessita’ di verificare la sussistenza della giusta causa, o della fattispecie statutaria, impone di motivare la deliberazione al momento in cui essa viene assunta.
Pertanto, se e’ vero che il legislatore ha previsto un potere di recesso ex lege in capo alla societa’, tanto che la giusta causa non si pone come requisito di efficacia dell’atto, la condizione della sussistenza di ragioni integranti la medesima e’, tuttavia, da verificare per impedire la nascita del diritto al risarcimento del danno.
Secondo alcuni, peraltro, la mancata esplicitazione a verbale delle ragioni della revoca, che potrebbero allora rimanere inespresse, non ne impedirebbe la successiva enunciazione, ad opera della societa’, nel corso del giudizio risarcitorio intrapreso dall’amministratore revocato: sempre che, tuttavia, sul piano sostanziale preesistessero alla revoca, che abbiano storicamente concorso a fondare (mentre altri reputano debba tenersi conto anche delle ragioni sopravvenute: ma se queste possano integrare la giusta causa, magari mediante una successiva deliberazione che rinnovi la prima, non e’ questione di cui sia dato occuparsi in questa sede, essendo estranea al thema decidendum). In tal caso, tutto si ridurrebbe al profilo dell’onere probatorio in giudizio: posto che ben piu’ complesso ed impegnativo e’ provare l’esistenza di motivi, pure effettivi, non espressamente indicati nel verbale assembleare, laddove la consacrazione all’interno del medesimo costituisce un’indubbia agevolazione probatoria.
E’, tuttavia, preferibile ritenere che le ragioni della revoca debbano essere enunciate espressamente nella deliberazione, e non restare meramente implicite, senza dunque facolta’ di integrazione in sede giudiziale.
Argomenti relativi alla celerita’ dell’agire societario, efficienza imprenditoriale, certezza delle situazioni giuridiche, deflazione del contenzioso, buona fede nei rapporti societari e (pur relativo) formalismo degli atti societari inducono a tale conclusione.
La questione e’ stata gia’ esaminata da questa Corte, che l’ha decisa in tal senso, affermando il condivisibile principio secondo cui l’indicazione delle ragioni nella delibera e’ imposta dalla circostanza che la revoca e’ atto dell’assemblea ed in seno ad essa le ragioni della revoca trovano la loro ponderazione e valutazione (Cass. 12 settembre 2008, n. 23557; v. pure, in tema di esclusione del socio da societa’ personale, Cass. 16 giugno 1989, n. 2887).
In conclusione, occorre l’enunciazione esplicita a verbale in ordine alle ragioni di revoca, che devono presentare i caratteri di effettivita’ ed essere ivi riportate in modo adeguatamente specifico; mentre la deduzione in sede giudiziaria di ragioni ulteriori non e’ ammessa, restando esse ormai quelle indicate nella deliberazione.
2.3. – Ma se, in ipotesi di controversia, le ragioni enunciate nella deliberazione di revoca sono le sole che possono e debbono essere allegate e provate dalla societa’, la quale non puo’ dedurne (o lo fara’ in modo irrilevante) ulteriori o diverse, ne deriva che alla societa’ compete la posizione di attore sostanziale in giudizio.
Si pensi al caso similare dell’esclusione del socio, di cui all’articolo 2287 c.c. (ma anche articoli 24, 2473-bis e 2533 c.c.), dove, nel cd. giudizio di opposizione all’esclusione (li’, con tutela reale), la situazione sostanziale di attore e’ in capo alla societa’, sebbene questa sia convenuta in senso formale. Cio’ vuol dire che la societa’, nel giudizio di opposizione, e’ onerata di provare i fatti costitutivi della fattispecie di esclusione, come previsti dalla legge o dall’atto costitutivo.
Analogamente, quando l’amministratore revocato agisce in giudizio, contestando la sussistenza della giusta causa e facendo valere il diritto al risarcimento del danno, la posizione sostanziale di attore spetta alla societa’, onerata della prova della giusta causa di revoca, secondo i caratteri avanti indicati, mentre l’amministratore e’ il convenuto sostanziale.
La giusta causa e’ fatto costitutivo della facolta’ della societa’ di recedere senza conseguenze risarcitorie; di contro, la deduzione secondo cui la deliberazione non reca le ragioni (idonee ed enunciate a verbale) integranti giusta causa di revoca costituisce una mera difesa, quale negazione della sussistenza del fatto costitutivo predetto.
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