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1.1. – Il ricorso principale espone quattro motivi, che possono essere come di seguito riassunti.
Con il primo motivo, il ricorrente denunzia la violazione dell’articolo 163 c.p.c., comma 3, n. 4 e articolo 164 c.p.c., comma 5, per non avere la sentenza impugnata rilevato come egli avesse, sin dall’atto di citazione, richiesto la liquidazione del danno di immagine per Euro 7.510.000,00, oltre ad Euro 185.924,48 per lucro cessante, in relazione a compensi non percepiti, onde non vi era stata nessuna domanda tardiva. Il primo importo, in seguito, era stato precisato anche con riguardo alla perdita di chance e al danno esistenziale, trattandosi per definizione di eventi individuabili nella loro effettiva entita’ successivamente all’introduzione del giudizio.
Con il secondo motivo, deduce la violazione dell’articolo 161 c.p.c., comma 1, e articolo 164 c.p.c., comma 5, dato che il giudice di primo grado non aveva ordinato la rinnovazione della citazione, in tal modo emanando una pronuncia implicita di validita’ dell’atto: onde la mancata proposizione dell’appello sul punto ha sanato il vizio, ove pure esistente, mentre l’attore aveva diritto di procedere ad integrare l’atto di citazione in sede di comparsa conclusionale, allorche’ l’entita’ del danno si era manifestata in tutta la sua consistenza; inoltre, anche nel giudizio di rinvio vige l’articolo 1226 c.c. ed il giudice procede in via equitativa alla liquidazione del pregiudizio.
Con il terzo motivo, denunzia la violazione dell’articolo 345 c.p.c., perche’ anche nel giudizio di rinvio si possono palesare i danni patiti, nella specie innegabili, secondo i conteggi riportati in ricorso.
Con il quarto motivo, censura la violazione degli articoli 2043 e 2227 (ma 2727, come emerge dal corpo del motivo) c.c. e articolo 115 c.p.c., per avere la corte del merito preteso la prova del nesso causale tra l’illegittima condotta dell'(OMISSIS) s.p.a. e il danno, mentre tale nesso sussiste, sulla base di nozioni di fatto rientranti nella comune esperienza, essendo comunque le presunzioni l’unico possibile mezzo di prova in tali evenienze; inoltre, la corte ha mancato di distinguere tra i pregiudizi allegati dall’attore, di cui quello all’immagine e’ prodromico agli altri due, la perdita di chance e il danno esistenziale, essendo chiaro che la revoca del consiglio di amministrazione, dopo i noti eventi occorsi nell’aeroporto di (OMISSIS), costitui’ un evidente segno di riprovazione del suo operato e di sfiducia da parte della societa’; ne’ da un top manager puo’ pretendersi che egli provi di aver presentato, come un qualsiasi impiegato, domande di assunzione, per dimostrare il danno patito.
1.2. – Col primo motivo del ricorso incidentale, (OMISSIS) s.p.a. deduce la violazione dell’articolo 183 c.p.c., perche’ la convenuta sin dalla comparsa di risposta in primo grado aveva enunciato le ragioni della revoca del consiglio di amministrazione, che avevano riguardo alle dichiarazioni rese dal prof. (OMISSIS) innanzi alle commissioni parlamentari sulla ritenuta incapacita’ dell’ente di garantire la sicurezza dei voli dopo il passaggio al sistema RVSM, all’affidamento dell’attivita’ di radiomisure ad una joint venture costituita con una societa’ terza contro il disposto normativo, all’omessa vigilanza sulle attivita’ aziendali, all’eccessiva dialettica interna al consiglio. La corte del merito, tuttavia, ha esaminato solo quest’ultima, reputando fondata l’eccezione di inammissibile introduzione in giudizio delle altre ragioni, sebbene, invece, controparte non avesse mai formulato l’eccezione di tardiva deduzione dei motivi di giusta causa di revoca, ne’ tantomeno allegato l’invalidita’ della deliberazione assembleare per la mancata enunciazione delle ragioni integranti la giusta causa: in tal modo, la corte d’appello si e’ sostituita alla parte, introducendo tale motivo di invalidita’ della deliberazione, ben oltre il termine di decadenza di tre mesi, di cui all’articolo 2377 c.c., ne’ trattandosi di deliberazione nulla ex articolo 2379 c.c.. Infine, e’ stato violato l’articolo 183 c.p.c., nel testo all’epoca vigente, anteriore alla riforma di cui al Decreto Legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito dalla L. 14 maggio 2005, n. 80, quanto ai termini di decadenza dalla facolta’ di sollevare le eccezioni, mentre il rilievo d’ufficio, anche prima dell’entrata in vigore del nuovo articolo 101 c.p.c., comma 2, per giurisprudenza costante avrebbe dovuto essere preceduto dalla fissazione di un termine alle parti per instaurare il contraddittorio sul punto. E la Cassazione, nella sentenza di rinvio del 2013, aveva richiesto l’analisi di tutte le ragioni dedotte da (OMISSIS) s.p.a. da parte del giudice del rinvio.
Con il secondo motivo, censura l’omesso esame di fatti decisivi, consistenti nelle altre ragioni della revoca, dichiarate da (OMISSIS) s.p.a., ma non prese in esame dalla corte d’appello, che si e’ limitata ad esaminare la sola situazione di dialettica interna. In particolare, il giudice del rinvio avrebbe dovuto considerare tutti i fatti gia’ ravvisati dal giudice di primo grado, ossia la constatata incapacita’ del consiglio d’amministrazione di assicurare l’efficiente gestione col raggiungimento del delicatissimo scopo sociale, nonche’ la sussistenza, tra i componenti del consiglio, e segnatamente tra presidente ed amministratore delegato, di gravi dissidi interni e di un’esasperata contrapposizione, tradottasi in una poco tempestiva ed impropria amministrazione della societa’, ed, infine, l’inidoneita’ dell’organo collegiale ad assolvere al suo mandato ed attuare la vigilanza sui delegati.
2. – Giova dapprima considerare, per ragioni di priorita’ logico-giuridica, i due motivi del ricorso incidentale, da esaminare congiuntamente in quanto intimamente connessi.
Essi sono infondati.
2.1. – Occorre ricordare come, a norma dell’articolo 2383 c.c., comma 3, l’assemblea puo’ revocare gli amministratori “in qualunque tempo”, ossia durante tutta la durata del rapporto, indipendentemente dagli esercizi stabiliti in origine per la carica, con disposizione rimasta invariata dopo la riforma del diritto societario (nella specie, la deliberazione assembleare e’ anteriore).
La “giusta causa” di revoca e’ nozione distinta sia dal mero “inadempimento”, sia dalle “gravi irregolarita’” di cui all’articolo 2409 c.c.: essa riguarda circostanze sopravvenute, anche non integranti inadempimento, provocate o no dall’amministratore stesso, che pero’ pregiudicano l’affidamento dei soci nelle sue attitudini e capacita’: in una parola, il rapporto fiduciario tra le parti (cfr., in tal senso, Cass. 23 marzo 2017, n. 7475; 15 ottobre 2013, n. 23381; 14 maggio 2012, n. 7425; 5 agosto 2005, n. 16526; 7 agosto 2004, n. 15322; 21 novembre 1998, n. 11801; 22 giugno 1985, n. 3768).
Il legame di fiducia con la societa’, e, per essa, con i soci fonda infatti il rapporto di amministrazione, donde la giusta causa e’ integrata da ogni fatto che sia idoneo a comprometterlo. Proprio l’ampiezza dei poteri attribuiti all’organo amministrativo presuppone, invero, un’alta intensita’ di tale fiducia: onde giocoforza e’ “piu’ ampio lo spazio aperto ai fatti idonei a scuoterla, e, conseguentemente, alla giustificatezza”, mentre la proporzionalita’ della revoca ai fatti imputati all’amministratore si risolve nella valutazione della idoneita’ di questi ultimi a turbare il rapporto di fiducia (cosi’, in tema di dirigente aziendale, Cass. 7 agosto 2004, n. 15322).
Nonostante l’espressione tradizionale – la stessa degli articoli 2259 e 2476 c.c. – si tratta, peraltro, di un potere di recesso ex lege, ponendo fine ex nunc al rapporto giuridico sorto dal contratto, non investendo invece l’atto di nomina. Ma, essendo l’espressione radicata nel linguaggio del legislatore (v. articoli 2319 e 2364 c.c., articolo 2373 c.c., comma 2, articolo 2390 c.c., comma 2, articolo 2393 c.c., comma 5, articoli 2449, 2456 e 2487 c.c.; Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, articoli 104-bis e 105; Decreto Legislativo 19 agosto 2016, n. 175, articolo 21, comma 3; ecc.), ad essa si continuera’ a fare riferimento.
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