Corte di Cassazione, sezione prima civile, ordinanza 19 gennaio 2018, n. 1430. L’accertamento di concreti fatti materiali di concorrenza sleale

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La Corte ha confermato infine l’infondatezza della domanda di risarcimento del danno all’immagine proposta dalle convenute, rilevando che l’accordo raggiunto nel corso del giudizio di primo grado, con cui le attrici avevano rinunciato alla pubblicazione del provvedimento cautelare ottenuto nei confronti delle controparti, non si estendeva alla divulgazione di notizie sulla vicenda giudiziaria e sul provvedimento cautelare.

3. Avverso la predetta sentenza la (OMISSIS) e la (OMISSIS) hanno proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, illustrati anche con memoria. L’ (OMISSIS) ha resistito con controricorso, proponendo ricorso incidentale, affidato ad un solo motivo, anch’esso illustrato con memoria. Le altre intimate non hanno svolto attivita’ difensiva.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Prioritario, rispetto all’esame del ricorso principale, e’ quello del ricorso incidentale, con cui l’ (OMISSIS) denuncia la violazione dell’articolo 112 c.p.c. e la nullita’ della sentenza impugnata, per aver ritenuto raggiunta la prova degli atti di concorrenza sleale sulla base degl’interrogatori resi in sede penale, della sentenza penale emessa ai sensi dell’articolo 444 c.p.c., degli atti dei procedimenti cautelari e delle deposizioni rese dai testi escussi in primo grado.

Sostiene infatti la controricorrente che gli atti delprocedimento penale, allegati al secondo ricorso cautelare proposto in corso di causa, non sono mai stati formalmente acquisiti al giudizio di merito, nonostante l’intervenuta rinuncia al procedimento cautelare, e dovevano comunque considerarsi tardivamente prodotti, essendo all’epoca ormai decorsi i termini di cui allo articolo 183 c.p.c. e non essendo stata proposta istanza di rimessione in termini. La sentenza di patteggiamento, oltre a non spiegare efficacia nei giudizi civili ed amministrativi, era stata emessa nei confronti degli amministratori delle altre societa’, in un giudizio al quale essa controricorrente non aveva partecipato, mentre gl’interrogatori dei predetti amministratori avevano valore di meri indizi, ai quali la Corte di merito ha immotivatamente riconosciuto caratteri di gravita’, precisione e concordanza. Nell’attribuire valenza probatoria ai documenti allegati al primo ricorso cautelare, la sentenza impugnata non solo non ha tenuto conto della loro inutilizzabilita’, in conseguenza della mancata produzione nel giudizio di merito, ma non si e’ neppure fatta carico di argomentare in senso contrario alla decisione di rigetto dell’istanza cautelare, fondata proprio sull’insufficienza dei documenti prodotti. Le testimonianze assunte in primo grado non costituivano infine prova sufficiente della condotta anticoncorrenziale per il periodo successivo al 2006, avuto riguardo al numero dei testimoni ed alla valenza probatoria delle loro deposizioni.

1.1. Il motivo e’ inammissibile.

Ai fini dell’accertamento della condotta anticoncorrenziale, la sentenza impugnata ha fatto riferimento a una pluralita’ di elementi, comprendenti non solo gli atti del procedimento penale ed i documenti prodotti nei procedimenti cautelari, ma anche gli adempimenti istruttori compiuti in primo grado, in particolare le deposizioni rese dai testimoni e l’ulteriore documentazione richiamata dalla sentenza di primo grado, la cui valutazione globale ha indotto la Corte distrettuale a ritenere provato l’accaparramento della clientela, posto in essere dalle societa’ appellate dapprima attraverso la collusione con il personale ospedaliero ed in seguito attraverso la gestione diretta delle camere mortuarie da parte dell’ILT. In quanto inerente alla ricostruzione dei fatti, rimessa in via esclusiva al giudice di merito, il predetto apprezzamento e’ censurabile in sede di legittimita’ soltanto ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella specie neppure espressamente menzionato, essendosi la controricorrente limitata a richiamare i nn. 3 e 4 medesima disposizione, accomunando ai vizi di nullita’ della sentenza impugnata ed ultrapetizione censure riguardanti la valutazione dei mezzi di prova.

Nella parte riflettente l’erronea attribuzione di valore probatorio alle deposizioni dei testi ed agli elementi risultanti dai documenti acquisiti, le predette doglianze non possono d’altronde trovare ingresso in questa sede, risolvendosi nella sollecitazione di un nuovo apprezzamento dei fatti, non consentito a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di verificare la correttezza giuridica della decisione impugnata, nonche’ la coerenza logica della stessa, nei limiti in cui quest’ultima e’ ancora censurabile in sede di legittimita’, ai sensi dello articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nel testo, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, risultante dalle modifiche introdotte dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134: tale disposizione, circoscrivendo l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimita’ ai soli casi in cui il vizio si converte in violazione di legge, per mancanza del requisito di cui all’articolo 132 c.p.c., n. 4, esclude infatti la possibilita’ di estendere l’ambito di applicabilita’ dello articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 al di fuori delle ipotesi, nella specie non ricorrenti, in cui la motivazione manchi del tutto sotto l’aspetto materiale e grafico, oppure formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere d’individuarla, cioe’ di riconoscerla come giustificazione del decisum, e tale vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053 e 8054; Cass., Sez. 6, 8 ottobre 2014, n. 21257).

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