Corte di Cassazione, sezione prima civile, ordinanza 19 gennaio 2018, n. 1430. L’accertamento di concreti fatti materiali di concorrenza sleale

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Nella parte concernente l’irrituale acquisizione della sentenza penale, in quanto emessa in un giudizio al quale la controricorrente non aveva partecipato, e dei documenti relativi al procedimento cautelare estintosi per rinunzia, in quanto inefficaci e comunque tardivamente prodotti, le censure risultano invece prive di specificita’, non essendo accompagnate dall’indicazione di quali, tra gli elementi presi in considerazione dalla sentenza impugnata, siano stati desunti dai predetti atti e della misura in cui la valutazione degli stessi abbia inciso sulla decisione adottata, con la conseguenza che risulta impossibile qualsiasi verifica in ordine alla portata determinante della loro utilizzazione ed agli effetti concretamente prodotti dai vizi lamentati. La parte che propone ricorso per cassazione, deducendo la nullita’ della sentenza per un vizio di attivita’ del giudice, lesivo del proprio diritto di difesa, ha infatti l’onere di indicare il concreto pregiudizio che ne e’ derivato, dal momento che l’impugnazione non tutela l’astratta regolarita’ dell’attivita’ giudiziaria, ma mira ad eliminare il concreto pregiudizio subito dalla parte, sicche’, nel rispetto dell’interesse ad agire e dei principi di economia processuale e ragionevole durata del processo, l’annullamento della sentenza impugnata si rende necessario soltanto se nel successivo giudizio di rinvio il ricorrente possa ottenere una pronuncia diversa e piu’ favorevole a quella cassata (cfr. Cass., Sez. 5, 18/12/2014, n. 26831; Cass., Sez. 3, 12/12/2014, n. 26157; Cass., Sez. lav., 19/03/2014, n. 6330).

2. Con il primo motivo del ricorso principale, la (OMISSIS) e la (OMISSIS) denunciano la nullita’ della sentenza impugnata e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto non provato il danno cagionato dalla condotta anticoncorrenziale e per averne negato la liquidazione in via equitativa. Premesso infatti di aver individuato, quale parametro di riferimento, l’utile netto tratto da ogni singolo servizio funebre effettuato, quantificato in Euro 1.000,00 e non contestato, nonche’ il numero di servizi sottratti dalle convenute, affermano che a tal fine si sarebbe potuto tenere conto anche delle somme da queste ultime corrisposte per l’attivita’ di promozione svolta in loro favore dagl’infermieri di turno presso le camere mortuarie. Aggiungono che, nel porre a loro carico le conseguenze della mancata acquisizione della necessaria documentazione contabile, la Corte di merito non ha tenuto conto dell’esito negativo dell’ordinanza a tal fine emessa nei confronti delle strutture sanitarie e della falsificazione dei registri delle camere mortuarie emersa nel corso del procedimento penale, delle ammissioni compiute dalla difesa dell’ (OMISSIS) in comparsa conclusionale e del ruolo svolto dall’ILT nella realizzazione della condotta anticoncorrenziale. Precisano infine di avere puntualmente consegnato la documentazione richiesta dal c.t.u., rilevando che, nell’individuare il gruppo d’imprese autrici dell’illecito, quest’ultimo ha omesso d’includervi anche la (OMISSIS) S.r.l., la (OMISSIS) S.r.l. e la (OMISSIS) S.r.l.

3. Con il secondo motivo, le ricorrenti deducono la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 1226 c.c. e la nullita’ della sentenza impugnata per insufficienza e contraddittorieta’ della motivazione, osservando che, nel negare la possibilita’ di procedere alla liquidazione equitativa del danno, la sentenza impugnata da un lato e’ caduta in contraddizione, avendo precedentemente accertato la durata novennale della condotta illecita, dall’altro ha omesso di tener conto dell’accertata difficolta’ di fornirne la prova, della disponibilita’ di elementi idonei a consentirne la quantificazione e della possibilita’ di ricorrere ad elementi presuntivi.

4. I predetti motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto riflettenti profili diversi della medesima questione, sono in parte inammissibili, in parte infondati.

L’esclusione della possibilita’ di procedere alla liquidazione equitativa del danno trova infatti conforto nell’orientamento della giurisprudenza di legittimita’, secondo cui l’esercizio del potere discrezionale conferito al giudice dall’articolo 1226 c.c. presuppone che sia provata l’esistenza di danni risarcibili e che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile provare il danno nel suo preciso ammontare: grava pertanto sulla parte interessata l’onere di provare non solo l’an debeatur del diritto al risarcimento, ove sia stato contestato o non debba ritenersi in re ipsa, ma anche ogni altro elemento di fatto utile alla quantificazione del danno e di cui possa ragionevolmente disporre nonostante la riconosciuta difficolta’, si’ da consentire al giudice il concreto esercizio del potere in questione, avente la sola funzione di colmare le lacune insuperabili ai fini della precisa determinazione del danno (cfr. Cass., Sez. 3, 17/10/2016, n. 20889; 8/01/2016, n. 127; Cass., Sez. 2, 11/07/2007, n. 15585). Tale principio, costantemente ribadito da questa Corte, trova applicazione anche in materia di concorrenza sleale, il cui accertamento, sulla base della condotta materialmente posta in essere dall’imprenditore, comporta, ai sensi dell’articolo 2600 c.c., una presunzione di colpa che pone a carico dell’autore l’onere di dimostrare l’assenza dell’elemento soggettivo, ai fini dell’esclusione della sua responsabilita’, ma non dispensa il danneggiato da quello di provare il pregiudizio subito: quest’ultimo, infatti, non puo’ considerarsi in re ipsa, ma, quale conseguenza diversa ed ulteriore rispetto alla distorsione delle regole della concorrenza, necessita di prova secondo i principi generali che regolano il risarcimento da fatto illecito, con la conseguenza che solo la dimostrazione della sua esistenza consente l’utilizzo del criterio equitativo per la relativa liquidazione (cfr. Cass., Sez. 1, 23/12/2015, n. 25921; 26/03/2009, n. 7306).

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