Corte di Cassazione, sezione prima civile, ordinanza 14 febbraio 2018, n. 3599. Passivo fallimentare, compenso del commercialista che stabilisce il valore di un’azienda

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Con il secondo motivo, censura il vizio di motivazione omessa, insufficiente o contraddittoria, in quanto il tribunale ha ritenuto congruo l’importo richiesto, affermando che il professionista ha applicato uno sconto e che esso e’ corretto, in rapporto ai compensi liquidati nella stessa procedura ad altri professionisti, mentre nessuno sconto in realta’ e’ stato applicato.
1.2. – Il ricorrente incidentale lamenta la violazione o falsa applicazione della L. Fall., articoli 95, 98, 99, articolo 112 c.p.c. e articolo 2233 c.c., perche’ gli onorari erano stati preconcordati nel senso di corrispondere alla lettera a) precitata, e la questione era stata proposta dalla L. Fall., ex articoli 95 e 98.
2. – Il primo motivo del ricorso principale e’ fondato.
E’ noto come la questione sorga a causa dello sfasamento temporale tra il momento di predisposizione delle tariffe dei dottori commercialisti, di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 10 ottobre 1994, n. 645, rispetto all’introduzione della relazione di cui alla L. Fall., articolo 161, comma 3. La prima considerazione e’, dunque, che, pur non prevedendo espressamente la tariffa professionale detta relazione per ragioni temporali, la medesima va ricondotta alla previsione piu’ adeguata.
Occorre inoltre considerare in generale che, come e’ stato da tempo osservato, il professionista riveste, nelle procedure della crisi come quella in esame, un ruolo di rilievo, che finisce per incidere anche sulla posizione dei terzi; onde poi anche la determinazione del compenso al professionista dovrebbe permettere di ridurre al minimo i rischi di condotte lesive della sua terzieta’. Al riguardo, di recente questa Corte ha chiarito che la L. Fall., articolo 161, comma 3 (gia’ nel testo in vigore prima delle modifiche apportate dal d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134) richiede che l’attestatore sia in posizione di terzieta’ ed indipendenza rispetto al debitore, avendo il legislatore sotteso “una netta opzione di indipendenza qualificata, professionalita’ tecnica e mancanza di conflitto d’interessi”.
L’articolo 31 del citato D.P.R., nel fissare gli onorari da corrispondere, distingue: a) le perizie, i motivati pareri e le consulenze, prendendo a parametro il “valore della pratica”; b) la valutazione di singoli beni e diritti, ove il parametro e’ invece costituito dall'”ammontare dei valori”; c) la valutazione di aziende, rami di azienda e patrimoni, dove si guarda all'”ammontare complessivo delle attivita’ e delle passivita’”; d) la valutazione di partecipazioni sociali non quotate, cui estende pro quota il criterio precedente; e) le relazioni di stima di cui agli articoli 2343, 2343-bis, 2501-quinquies c.c., per le quali parimenti la norma rinvia ai criteri individuati sopra, a seconda che si tratti di stimare beni, diritti, aziende, partecipazioni sociali.
Non trattandosi di previsioni tassative, ma di elenchi dovuti alla diversa conformazione e natura della prestazione, non vi e’ dubbio che occorra individuare quella piu’ affine.
Reputa il collegio che la norma applicabile fosse quella prevista alla lettera e) dell’articolo 31 del citato D.P.R., per affinita’ con le altre relazioni ivi previste e non escludendo affatto, quindi, la norma un apporto cognitivo ulteriore al mero conteggio da parte del tecnico.
In tal senso depone, quale mera indicazione razionale, anche il nuovo Decreto Ministeriale 2 settembre 2010, n. 169, regolamento recante la disciplina degli onorari, delle indennita’ e dei criteri di rimborso delle spese per le prestazioni professionali dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, il cui articolo 31, dedicato alle “perizie, valutazioni e pareri”, ha ben distinto “le perizie, i motivati pareri e le consulenze tecniche di parte” dalla “valutazione di singoli beni, di diritti, di aziende o rami di azienda, di patrimoni, di partecipazioni sociali non quotate e relazioni di stima previste dalla legge”.
D’altro canto nel caso in esame, come risulta dallo stesso controricorso, la prestazione riguardo’ in buona parte la determinazione del valore dell’azienda, dell’immobile e di beni conferiti nella societa’.
3. – Il secondo motivo resta assorbito.
4. – Il ricorso incidentale condizionato e’ inammissibile.
Esso ripete la tesi della previa pattuizione del compenso alla stregua del Decreto del Presidente della Repubblica n. 645 del 1994, articolo 31, lettera a), senza adeguatamente attaccare la decisione del tribunale sul punto, che ha reputato di non affrontare la questione in quanto estranea al thema decidendum.
Pertanto, posto che l’omessa pronuncia su un motivo integra la violazione dell’articolo 112 c.p.c., in quanto esso costituisce la specifica domanda sottesa alla proposizione dell’impugnazione, che deve essere fatta valere esclusivamente ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, che consente alla parte di chiedere – e al giudice di legittimita’ di effettuare – l’esame degli atti del giudizio di merito, nonche’, specificamente, dell’atto di appello, ove il vizio sia dedotto come violazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 o 5, il ricorso sul punto deve essere dichiarato inammissibile (e multis, Cass., ord. 16 marzo 2017, n. 6835; 27 ottobre 2014, n. 22759; 12 dicembre 2014, n. 26155).
5. – In accoglimento del primo motivo, pertanto, il ricorso va accolto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa puo’ essere decisa nel merito ex articolo 384 c.p.c., con il rigetto dell’opposizione allo stato passivo.
6. – Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo e dichiarato inammissibile il ricorso incidentale; cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, rigetta l’opposizione; condanna il controricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della ricorrente, che liquida, per il grado di merito, in Euro 4.000,00 complessivi, di cui Euro 200,00 per spese, e, per il giudizio di legittimita’, in Euro 4.200,00 complessivi, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie al 15% ed agli accessori di legge.

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