Corte di Cassazione, sezioni unite civili, Ordinanza 27 gennaio 2020, n. 1720.
La massima estrapolata:
Le controversie relative alle condizioni di attribuzione e alla misura degli assegni vitalizi per gli ex parlamentari, avendo ad oggetto un istituto che – in quanto proiezione economica dell’indennità parlamentare per la vita successiva allo svolgimento del mandato – rientra nella normativa di “diritto singolare” prevista per il Parlamento e per i suoi membri a presidio della peculiare posizione di autonomia riconosciuta dagli artt. 64, comma 1, 66 e 68 Cost., sono devolute alla cognizione degli organi di autodichia, in relazione alla quale è, tuttavia, ammissibile il regolamento preventivo di giurisdizione, quale strumento di carattere non impugnatorio diretto a verificare il fondamento costituzionale per l’esercizio del potere decisorio da parte dei predetti organi e, quindi, ad accertare se esiste un giudice del rapporto controverso o se quel rapporto debba ricevere una definitiva regolamentazione domestica; tale rimedio può essere utilizzato dalla stessa parte che ha scelto il giudice, allorché, alla stregua della natura della controversia e delle deduzioni del convenuto, abbia un interesse giuridicamente rilevante ad una preventiva soluzione della questione da parte delle Sezioni Unite, in ragione dell’eventualità che il giudice adito possa declinare la giurisdizione, rendendo inutile l’attività processuale già svolta e frustrando l’attuazione del principio costituzionale della ragionevole durata del processo.
Ordinanza 27 gennaio 2020, n. 1720
Data udienza 3 dicembre 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CURZIO Pietro – Primo Presidente f.f.
Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente di Sez.
Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere
Dott. LOMBARDO Luigi – Consigliere
Dott. SAMBITO Maria G.C. – Consigliere
Dott. SCARANO Luigi A. – Consigliere
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere
Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere
Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 10652-2019 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
CAMERA DEI DEPUTATI, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;
– controricorrente –
per regolamento di giurisdizione in relazione al giudizio pendente n. 10321/2018 del TRIBUNALE di TARANTO.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 03/12/2019 dal Consigliere LUCIA TRIA;
lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale BASILE TOMMASO, il quale chiede dichiararsi la giurisdizione della Camera dei Deputati.
RITENUTO
che l’onorevole (OMISSIS) – titolare di assegno vitalizio maturato prima dell’1 gennaio 2012, per essere stato deputato continuativamente dalla settima alla decima legislatura con ricorso al Tribunale di Taranto, in funzione di giudice del lavoro, ha chiesto la disapplicazione della deliberazione 12 luglio 2018, n. 14 dell’Ufficio di Presidenza della Camera dei deputati, per effetto della quale e’ stata disposta la rideterminazione dell’assegno vitalizio del ricorrente, con decorrenza 1 gennaio 2019;
che il ricorrente riferisce che la Camera dei deputati, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, nella propria memoria difensiva ha eccepito il difetto assoluto di giurisdizione del giudice ordinario;
che, pertanto, il Dott. (OMISSIS), avendo un interesse immediato a definire la questione di giurisdizione, propone il presente ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione e chiede, in via principale, che venga confermata la giurisdizione del giudice ordinario, in quanto si discute del diritto di natura previdenziale all’erogazione dell’assegno vitalizio, che e’ prosecuzione dell’indennita’ parlamentare dopo la cessazione del mandato e il ricorrente non e’ legato da alcun rapporto di subordinazione con la Camera dei deputati;
che, in subordine, il ricorrente, chiede che venga sollevato conflitto di attribuzioni nei confronti della Camera dei deputati davanti alla Corte costituzionale, principalmente perche’ ne’ i diritti ne’ la tutela giurisdizionale dei deputati cessati dal mandato e dei loro superstiti possono essere “compressi” con lo strumento scelto – un regolamento parlamentare derivato, sottratto al controllo di costituzionalita’ – sicche’ l’adozione di tale forma di intervento si porrebbe in contrasto con gli articoli 3 e 24 Cost. e si risolverebbe nell’escludere il sindacato del giudice ordinario sui suddetti diritti soggettivi degli interessati;
che la Camera dei deputati, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, resiste, con controricorso, chiedendo che sia dichiarato il difetto assoluto di giurisdizione per essere la presente controversia devoluta agli organi di autodichia della Camera dei deputati e che sia dichiarata, di conseguenza, l’inammissibilita’ o comunque l’infondatezza della domanda subordinata dell’ (OMISSIS) volta alla proposizione del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato;
che il ricorso e’ stato avviato alla trattazione in camera di consiglio sulla base delle conclusioni scritte del pubblico ministero, ai sensi dell’articolo 380-ter c.p.c., il quale ha chiesto che sia dichiarata la sussistenza della giurisdizione domestica della Camera dei deputati;
che, in prossimita’ della camera di consiglio, il ricorrente ha depositato una memoria illustrativa nella quale, dopo aver contestato sia la tesi della Camera dei deputati controricorrente sull’inammissibilita’ del ricorso sia le conclusioni del pubblico ministero, ha ribadito le richieste di cui al proprio ricorso, arricchendole di ulteriori argomentazioni, sempre volte alla dichiarazione della sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario.
CONSIDERATO
che con il ricorso si sostiene, in sintesi, che ritenere che la presente controversia rientri nell’autodichia della Camera dei deputati integrerebbe la contestuale violazione di molteplici disposizioni della Costituzione, come si evince anche dalle sentenze della Corte costituzionale n. 120 del 2014 e n. 262 del 2017, le quali hanno delineato una nozione di autodichia ristretta, riferibile soltanto ai rapporti dei dipendenti delle Camere e non comprensiva di controversie che riguardino direttamente o indirettamente “soggetti terzi”, fra i quali rientrerebbe anche il ricorrente che non e’ piu’ parlamentare da anni;
che, peraltro, l’autodichia e’ di carattere eccezionale rispetto alla giurisdizione e, diversamente da quel che si afferma nel parere del Consiglio di Stato 3 agosto 2018, n. 2016 reso sulla presente riforma della disciplina dei cosiddetti “vitalizi” spettanti ai parlamentari cessati dal mandato, ad avviso del ricorrente l’intervento sui vitalizi avrebbe dovuto essere effettuato con una legge;
che, secondo il ricorrente, anche alla luce della recente ordinanza di queste Sezioni Unite 8 luglio 2019, n. 18265, la soluzione prescelta – cioe’ l’utilizzo di un regolamento parlamentare derivato, sottratto al controllo di costituzionalita’ – comporta una incostituzionale compressione dei diritti e della tutela giurisdizionale dei deputati cessati dal mandato e dei loro superstiti e determina una disparita’ di disciplina delle controversie relative all’indennita’ parlamentare (che sarebbero devolute alla giurisdizione del giudice ordinario) rispetto a quelle relative ai vitalizi;
che si sostiene che il giudizio instaurato davanti al Tribunale ordinario di Taranto non rientra nell’ambito di applicazione dell’autodichia come sopra delineato, in quanto ha ad oggetto l’impugnazione della Delib. dell’Ufficio di Presidenza della Camera dei deputati con la quale e’ stata impropriamente disposta la rideterminazione (con decorrenza 1 gennaio 2019) dell’assegno vitalizio di propria spettanza, cosi’ incidendosi sul correlativo diritto di natura previdenziale all’erogazione dell’assegno stesso, che rappresenta la prosecuzione dell’indennita’ parlamentare dopo la cessazione del mandato;
che, passando all’esame del presente ricorso, deve essere in primo luogo ricordato che la giurisprudenza di queste Sezioni Unite ha precisato che per autodichia si intende, comunemente, la capacita’ di una istituzione – ed in particolar modo degli organi costituzionali che siano gia’ muniti di autonomia organizzativa e contabile – di decidere direttamente, con giudizio dei propri organi, ogni controversia attinente all’esercizio delle proprie funzioni senza che istituzioni giurisdizionali esterne possano esercitare sui relativi atti controlli e sindacati di sorta, applicando la disciplina normativa che gli stessi organi si sono dati nelle materie trattate (vedi, per tutte: Cass. SU 17 marzo 2010, n. 6529; Cass. SU 8 luglio 2019, n. 18265 e n. 18266);
che, come sottolineato nelle sentenze della Corte costituzionale n. 120 del 2014 e n. 262 del 2017, l’autodichia costituisce manifestazione tradizionale della sfera di autonomia riconosciuta agli organi costituzionali, a quest’ultima strettamente legata nella concreta esperienza costituzionale;
che, come gia’ rilevato da questa Corte (vedi, per tutte: Cass. SU 4 maggio 2018, n. 10775 nonche’ Cass. SU n. 18265 e n. 18266 del 2019 citt.) nella richiamata sentenza della Corte costituzionale n. 262 del 2017 sono altresi’ contenute le seguenti significative precisazioni:
a) i collegi dell’autodichia, benche’ siano “interni” all’organo costituzionale di appartenenza e quindi estranei all’organizzazione della giurisdizione, tuttavia sono tenuti al rispetto della “grande regola” del diritto al giudice e alla tutela giurisdizionale effettiva dei propri diritti, essendo questa una scelta che appartiene ai grandi principi di civilta’ del tempo presente, che non puo’ conoscere eccezioni (Corte Cost., sentenza n. 238 del 2014);
b) infatti, i suddetti collegi oggi, in seguito alle ultime modifiche, risultano costituiti secondo regole volte a garantire la loro indipendenza ed imparzialita’ e sono quindi chiamati a svolgere funzioni obiettivamente giurisdizionali per la decisione delle controversie loro attribuite come del resto, in relazione alla funzione del giudicare, impongono i principi costituzionali ricavabili dagli articoli 3, 24, 101 e 111 Cost. e come ha richiesto la Corte Europea dei diritti dell’uomo, in particolare nella sentenza 28 aprile 2009, Savino e altri contro Italia;
c) in particolare, presso la Camera dei Deputati – e presso il Senato della Repubblica – le controversie in argomento si svolgono, in primo e in secondo grado, secondo moduli procedimentali di natura sostanzialmente giurisdizionale, idonei a garantire il diritto di difesa e un effettivo contraddittorio;
d) e’ da escludere, quindi, che tali collegi siano stati configurati quali giudici speciali ex articolo 102 Cost., sicche’ avverso le loro decisioni non e’ neppure ipotizzabile il ricorso ex articolo 111 Cost., comma 7, essendo la sottrazione delle decisioni stesse al controllo della giurisdizione comune, in definitiva, un riflesso dell’autonomia degli organi costituzionali in cui sono inseriti;
e) ma il carattere oggettivamente giurisdizionale dell’attivita’ degli organi di autodichia, posti in posizione d’indipendenza, li rende giudici ai fini della loro legittimazione a sollevare questioni di legittimita’ costituzionale delle norme di legge cui le fonti di autonomia effettuino rinvio (sentenza n. 213 del 2017; in precedenza, per la qualificazione di situazioni analoghe, sentenze n. 376 del 2001 e n. 12 del 1971);
che, alla luce delle suddette osservazioni e della giurisprudenza di queste Sezioni Unite, ancorche’ la normativa di base applicata dai suindicati collegi – regolamenti parlamentari “maggiori” e “minori”, integrati da atti ad essi equiparati, come le delibere dell’Ufficio di Presidenza (Cass. SU 16 aprile 2018, n. 9337) – sia sottratta al sindacato di legittimita’ costituzionale e le decisioni ivi assunte siano del pari immuni rispetto al sindacato di legittimita’ previsto dall’articolo 111 Cost., comma 7, (trattandosi di decisioni rese al di fuori di alcuna giurisdizione speciale, vedi Cass. SU 19 giugno 2018, n. 16153 e n. 16155), tuttavia non puo’ ipotizzarsi la sottrazione anche alla verifica che compete per intero a queste Sezioni Unite in sede di regolamento preventivo di giurisdizione;
che, invero, tale verifica riguarda il fondamento costituzionale per l’esercizio del potere decisorio degli organi di autodichia ed e’ finalizzata ad accertare se esiste un giudice del rapporto controverso o se quel rapporto debba ricevere una definitiva regolamentazione domestica, anche alla luce del “confine” entro il quale legittimamente possono essere previste l’autonomia normativa degli organi costituzionali e l’attribuzione della decisione di eventuali controversie agli organi di autodichia, quale delineato nella sentenza della Corte costituzionale nella sentenza n. 262 del 2017 cit. (vedi, in tal senso: Cass. SU 17 marzo 2010, n. 6529 cit.; nonche’ Cass. SU 29 dicembre 2014, n. 27396);
che una simile verifica e’ diretta ad accertare se gli organi di autodichia (nella specie della Camera dei Deputati) possano essere considerati, in relazione alle singole fattispecie evidenziate volta per volta nei ricorsi, una sede decisoria “bensi’ peculiare ma non estranea alle linee che la Costituzione detta per la tutela dei diritti” (vedi Cass. SU n. 6529 del 2010 cit.);
che, infatti, la finalizzazione dell’autodichia a garantire meglio la speciale autonomia che la Costituzione riconosce agli organi costituzionali comporta che sia riconosciuta l’utilizzabilita’ di uno strumento – peraltro non impugnatorio, quale e’ il regolamento preventivo di giurisdizione – idoneo a stabilire se la regolamentazione e la decisione delle controversie sui diritti attribuite agli organi di “giurisdizione domestica o interna” risultino conformi all’articolo 2 Cost., comma 1 e all’articolo 3 Cost. (anche, ad esempio, con riguardo al rispetto al suindicato “confine” di attribuzione), oltre che all’articolo 6 della CEDU, come interpretato dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, in particolare nella sentenza 28 aprile 2009, Savino e altri contro Italia;
che, d’altra parte, la diversita’ di sfera applicativa rispettivamente dell’articolo 41 c.p.c. e dell’articolo 111 Cost., comma 7, e’ del tutto fisiologica al sistema e deriva dall’essere il regolamento preventivo di giurisdizione un rimedio non impugnatorio diretto ad una pronuncia con efficacia panprocessuale, al quale non si applicano le preclusioni previste per l’altro mezzo (vedi, per tutte: Cass. SU 20 ottobre 2016, n. 21260);
che, com’e’ noto, il regolamento preventivo di giurisdizione costituisce uno strumento preventivo (e facoltativo) diretto all’immediata e definitiva soluzione delle questioni attinenti alla giurisdizione, il quale, in linea teorica, e’ utilizzabile anche dallo stesso soggetto che ha scelto il giudice della cui giurisdizione abbia poi avuto motivo di dubitare a seguito delle contestazioni dell’altra parte, ovvero di un proprio spontaneo ripensamento (vedi, per tutte: Cass. SU 15 dicembre 1977, n. 5466);
che, infatti, per costante giurisprudenza di queste Sezioni Unite – in ragione della posizione istituzionale della Suprema Corte, della forza esterna della sua pronuncia e dello specifico impatto che essa esercita sulla ragionevole durata del processo – la proposizione del regolamento preventivo di giurisdizione e’ consentita a ciascuna parte, e quindi anche all’attore nel giudizio di merito, ma non ad libitum;
che tale facolta’ puo’ essere esercitata da chi ha introdotto il giudizio di merito e scelto il giudice cui rivolgersi soltanto in presenza di dubbi ragionevoli sui limiti esterni della giurisdizione del giudice adito e, quindi, di un interesse concreto ed immediato ad una risoluzione della questione da parte delle Sezioni Unite, in via definitiva ed immodificabile, al fine di evitare che la relativa risoluzione in sede di merito possa incorrere in successive modifiche nel corso del giudizio, cosi’ ritardando la definizione della causa e frustando l’attuazione del principio costituzionale della ragionevole durata del processo (Cass. SU 21 settembre 2006, n. 20504; Cass. SU 27 gennaio 2011, n. 1876; Cass. SU 12 luglio 2011, n. 15237; Cass. SU 16 dicembre 2013, n. 27990; Cass. SU 2 febbraio 2016, n. 1918; Cass. SU 20 ottobre 2016, n. 21260; Cass. SU 18 dicembre 2018, n. 32727);
che, nella specie, tali requisiti sono, in astratto, presenti;
che, tuttavia, dato l’oggetto della controversia, l’attribuzione della decisione sulla presente controversia agli organi di autodichia del Parlamento – e, in particolare, al Consiglio di Giurisdizione della Camera dei deputati – deve considerarsi pacifica, tanto piu’ alla luce dei recenti sviluppi della giurisprudenza costituzionale (spec. sentenza n. 262 del 2017 cit.);
che, come risulta confermato anche dal parere del Consiglio di Stato 3 agosto 2018, n. 2016 reso sulla presente riforma della disciplina dei cosiddetti “vitalizi” spettanti ai parlamentari cessati dal mandato, gli assegni vitalizi dovuti, in dipendenza della cessazione dalla carica, a favore dei parlamentari si collegano all’indennita’ di carica goduta in relazione all’esercizio di un mandato pubblico;
che tale indennita’, nei suoi presupposti e nelle sue finalita’, ha sempre assunto, nella disciplina costituzionale e ordinaria, connotazioni distinte da quelle proprie della retribuzione connessa al rapporto di pubblico impiego (Corte Cost., sentenza n. 289 del 1994 e, nello stesso senso: Cass. 1 ottobre 2010, n. 20538; Cass. 20 giugno 2012, n. 10177; Cass. 10 febbraio 2017, n. 3589), essendosi sottolineato che la sua attribuzione ai membri del Parlamento, a norma dell’articolo 69 Cost., e’ finalizzata a garantire il libero svolgimento del mandato;
che, in particolare, si e’ rilevato che il principio enunciato dall’articolo 69 Cost. – “I membri del Parlamento ricevono una indennita’ stabilita dalla legge” – che rappresenta un ribaltamento della formula adottata dallo Statuto albertino, deve essere considerato come una delle garanzie di effettivita’ per i collegati principi della liberta’ di scelta dei propri rappresentati da parte degli elettori (articolo 48 Cost.), dell’accesso dei cittadini alle cariche elettive in condizioni di uguaglianza (articolo 51 Cost.) e del libero esercizio delle funzioni del parlamentare senza vincolo di manbdato (articolo 67 Cost.);
che, in altre parole, dal suddetto collegamento tra indennita’ parlamentare e assegno vitalizio si desume che cosi’ come l’assenza di emolumento disincentiverebbe l’accesso al mandato parlamentare o il suo pieno e libero svolgimento, rispetto all’esercizio di altra attivita’ lavorativa remunerativa; allo stesso modo l’assenza di un riconoscimento economico per il periodo successivo alla cessazione del mandato parlamentare varrebbe quale disincentivo, rispetto al trattamento previdenziale ottenibile per un’attivita’ lavorativa che fosse stata intrapresa per il medesimo lasso temporale;
che, pertanto, se il c.d. vitalizio rappresenta la proiezione economica dell’indennita’ parlamentare per la parentesi di vita successiva allo svolgimento del mandato – sebbene esso non trovi specifica menzione nella Costituzione, a differenza dell’indennita’ prevista nell’articolo 69 Cost. – puo’ dirsi che la sua corresponsione sia sorretta dalla medesima ratio di sterilizzazione degli impedimenti economici all’accesso alla cariche di rappresentanza democratica del Paese e di garanzia dell’attribuzione ai parlamentari, rappresentanti del popolo sovrano, di un trattamento economico adeguato ad assicurarne l’indipendenza, come del resto accade in tutti gli ordinamenti ispirati alla concezione democratica dello Stato;
che anche se la rispettiva disciplina sostanziale dei due istituti e’ rinvenibile in fonti differenti, visto che solo per l’indennita’ e’ prevista la riserva di legge (che tuttora trova riscontro nella L. 31 ottobre 1965, n. 1261), e’ indubbio che entrambi gli istituti rientrino nell’ambito della normativa “da qualificare come di diritto singolare” che si riferisce al Parlamento nazionale o ai suoi membri, a presidio della posizione costituzionale del tutto peculiare loro riconosciuta dall’articolo 64 Cost., comma 1 e articoli 66 e 68 Cost. (Corte Cost., sentenze n. 66 del 1964 e n. 24 del 1968 nonche’ sentenza n. 379 del 1996);
che alla medesima logica risponde – a contrario – anche la Delib. dell’Ufficio di Presidenza della Camera attualmente impugnata 12 luglio 2018, n. 14 per effetto della quale e’ stata disposta la rideterminazione dell’assegno vitalizio del ricorrente, con decorrenza 1 gennaio 2019;
che l’anzidetta derivazione dell’assegno vitalizio dall’indennita’ parlamentare esclude che, rispetto alle controversie relative al diritto all’assegno vitalizio dell’ex parlamentare e alla relativa entita’, l’ex parlamentare possa essere considerato “soggetto terzo” solo perche’ la sua carica e’ cessata;
che, da quanto si e’ detto, deriva che – diversamente da quel che sostiene il ricorrente – le controversie relative alle condizioni di attribuzione e alla misura dell’indennita’ parlamentare e/o degli assegni vitalizi per gli ex parlamentari non possono che essere decise dagli stessi organi dell’autodichia, la cui previsione risponde alla medesima finalita’ di garantire la particolare autonomia del Parlamento e quindi rientra nell’ambito della suindicata normativa di “diritto singolare”, la cui applicazione consente il superamento anche del principio dell’unicita’ della giurisdizione, in base al quale il giudice ordinario e’ dotato della giurisdizione generale e i giudici speciali previsti dalla Costituzione operano in via meramente derogatoria e sulla base di previsioni legislative (principio che, invece, trova applicazione ad esempio per le controversie originate dalla rimodulazione in riduzione dell’assegno vitalizio erogato a consiglieri regionali cessati dalla carica; vedi Cass. SU 20 luglio 2016, n. 14920);
che, del resto, come sottolineato dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n. 262 del 2017 gli organi di giurisdizione domestica del Parlamento non sono giudici speciali e, peraltro, neppure rappresentato l’unica eccezione prevista nel nostro ordinamento al fondamentale principio della indefettibilita’ della tutela giurisdizionale davanti ai giudici comuni (ordinari ed amministrativi);
che, ad esempio, una ipotesi di autodichia che trova diretto fondamento nella Costituzione cui si accompagna la speculare carenza assoluta di giurisdizione dei giudici ordinari ed amministrativi (vedi Cass. SU n. 8119 del 2006; n. 9151 del 2008; n. 6529 del 2010) e’ quella prevista dall’articolo 66 della Carta in base al quale ciascuna Camera ha il potere di giudicare dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilita’ e di incompatibilita’;
che per altre forme di autodichia il fondamento nella Costituzione e’ solo indiretto, come accade per la giurisdizione domestica nelle controversie di impiego dei dipendenti del Parlamento, della quale entrambe le Camere si sono munite nell’esercizio del potere regolamentare loro attribuito dall’articolo 64 Cost., comma 1, adottando per il funzionamento di tale giurisdizione interna regolamenti minori (Cass. SU n. 6529 del 2010 cit. nonche’ Corte Cost., sentenza n. 262 del 2017 cit.);
che la previsione dell’autodichia per le controversie relative alle condizioni di attribuzione e alla misura dell’indennita’ parlamentare
e/o degli assegni vitalizi per gli ex parlamentari, come si e’ detto, trova fondamento nella normativa “da qualificare come di diritto singolare” che si riferisce al Parlamento nazionale o ai suoi membri, a presidio della posizione costituzionale del tutto peculiare di indipendenza e autonomia loro riconosciuta dall’articolo 64 Cost., comma 1 e articoli 66 e 68 Cost.;
che, peraltro, l’esistenza di una sfera di autonomia speciale garantita alle Camere in cui va inserita anche l’autodichia in oggetto, non esclude, in linea teorica, l’utilizzabilita’ del regolamento preventivo di giurisdizione – nei limiti e per le finalita’ dianzi precisati – ne’ esclude la legittimazione degli organi di autodichia a sollevare questioni di legittimita’ costituzionale delle norme di legge cui le fonti di autonomia effettuino rinvio (Corte Cost., sentenza n. 213 del 2017; in precedenza, per la qualificazione di situazioni analoghe, sentenze n. 376 del 2001 e n. 12 del 1971);
che, nella specie, i dubbi del ricorrente in merito alla mancanza di indipendenza e imparzialita’ degli organi dell’autodichia non appaiono tali da smentire quanto affermato da questa Corte (Cass. SU 17 marzo 2010, n. 6529 cit.), secondo cui a partire dai Decreti Presidenziali n. 81 e n. 89 del 1996 la Camera dei deputati si e’ dotata di una struttura decisionale di autodichia che assicura il rispetto dei principi di precostituzione, imparzialita’ e indipendenza dei collegi previsti per la risoluzione delle controversie, in conformita’ con quanto previsto dagli articoli 25, 104, 107 e 108 Cost. e dall’articolo 6 CEDU, come interpretato nella sentenza della Corte EDU resa nel caso Savino e altri contro Italia;
che, come sottolineato dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n. 262 del 2017, tutto questo “ulteriormente conferma che la deroga alla giurisdizione qui in discussione, di cui costituisce riflesso la connessa limitazione del diritto al giudice, non si risolve in un’assenza di tutela”, in quanto tale limitazione “risulta compensata dall’esistenza di rimedi interni affidati ad organi che, pur inseriti nell’ambito delle amministrazioni in causa, garantiscono, quanto a modalita’ di nomina e competenze, che la decisione delle controversie in parola sia assunta nel rispetto del principio d’imparzialita’, e al tempo stesso assicurano una competenza specializzata nella decisione di controversie che presentano significativi elementi di specialita’”;
che, di conseguenza, la verifica spettante a questa Corte sulla effettivita’ e congruita’ della autodichia della Camera dei deputati, condotta al fine di accertare o negare la giurisdizione del giudice ordinario sulla controversia introdotta dal ricorrente innanzi al Tribunale di Taranto, non puo’ che concludersi con l’affermazione per la quale su detta controversia sussiste carenza assoluta di giurisdizione;
che, pertanto, dandosi seguito alle citate pronunce di queste Sezioni Unite 8 luglio 2019, n. 18265 e n. 18266 – relative a fattispecie analoghe a quella qui esaminata – va affermato il seguente principio di diritto:
“le controversie relative alle condizioni di attribuzione e alla misura degli assegni vitalizi per gli ex parlamentari – istituto riconducibile alla normativa di “diritto singolare” che si riferisce al Parlamento e ai suoi membri a presidio della peculiare posizione di autonomia riconosciuta dall’articolo 64 Cost., comma 1 e articoli 66 e 68 Cost. spettano alla cognizione degli organi di autodichia, i quali, pur essendo “interni” all’organo costituzionale di appartenenza ed estranei all’organizzazione della giurisdizione (sicche’ non rientrano provvedimenti non sono soggetti al sindacato di legittimita’ previsto dall’articolo 111 Cost., comma 7), tuttavia svolgono un’attivita’ obiettivamente giurisdizionale, che, per un verso, li legittima a sollevare questioni di legittimita’ costituzionale della norme di legge cui le fonti di autonomia effettuino rinvio, mentre, per altro verso, comporta l’ammissibilita’ di uno strumento di carattere non impugnatorio qual e’ il regolamento preventivo di giurisdizione; tale strumento puo’ essere utilizzato dalla stessa parte che ha scelto il giudice allorche’, alla stregua della natura della controversia e delle deduzioni del convenuto, abbia un interesse giuridicamente rilevante ad una preventiva soluzione della questione da parte delle Sezioni Unite in ragione dell’eventualita’ che il giudice adito possa declinare la giurisdizione, rendendo inutile l’attivita’ processuale gia’ svolta e frustrando l’attuazione del principio costituzionale della ragionevole durata del processo. In applicazione dell’enunciato principio, pur essendo il presente regolamento preventivo di giurisdizione in astratto ammissibile, tuttavia deve essere dichiarato il difetto assoluto di giurisdizione del giudice ordinario adito, per essere la controversia devoluta alla cognizione dell’organo di autodichia”;
che la complessita’ delle questioni alla base della istanza di regolamento preventivo di giurisdizione e la recente formazione su di esse del richiamato orientamento giurisprudenziale costituiscono idonee ragioni per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese del presente regolamento.
P.Q.M.
La Corte, a Sezioni Unite, dichiara il difetto assoluto di giurisdizione. Spese compensate.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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