Il rilascio del porto d’armi rientra tra le cosiddette autorizzazioni di polizia

Consiglio di Stato, Sezione terza, Sentenza 20 febbraio 2020, n. 1309.

La massima estrapolata:

Il rilascio del porto d’armi rientra tra le cosiddette autorizzazioni di polizia, disciplinate a livello generale dal Capo III del Titolo I del R.D. 18 giugno 1931, n. 773 (T.U.L.P.S.); il potere di rilasciare le autorizzazioni di polizia in generale, anche in ragione dell’originaria natura intuitu personae che connotava tale tipologia di licenze, si caratterizza per l’ampia discrezionalità dell’autorità competente, e così pure il potere di revoca e sospensione, esercitabile in qualsiasi momento, nel caso di abuso della persona autorizzata.

Sentenza 20 febbraio 2020, n. 1309

Data udienza 13 febbraio 2020

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1954 del 2017, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Ro. Bi. e An. Ga., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio del secondo, in Roma, piazzale (…);
contro
Ministero dell’Interno, Questura di Pordenone, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, entrambi rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via (…);

sul ricorso numero di registro generale 1955 del 2017, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Ro. Bi. e An. Ga., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio del secondo, in Roma, piazzale (…);
contro
Ministero dell’Interno, Questura di Pordenone, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, entrambi rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via (…);
per la riforma
quanto all’appello n. 1954 del 2017,
della sentenza del Tar Friuli Venezia Giulia -OMISSIS- del 27 ottobre 2016, notificata in data 28 dicembre 2016, con la quale è stato respinto il ricorso per l’annullamento del provvedimento di revoca della licenza di porto di fucile per uso caccia.
quanto all’appello n. 1955 del 2017,
della sentenza del Tar Friuli Venezia Giulia -OMISSIS- del 27 ottobre 2016, notificata in data 28 dicembre 2016, con la quale è stato respinto il ricorso per l’annullamento del provvedimento di revoca della licenza di porto di fucile per uso caccia;
Visti i ricorsi in appello nn. 1954 del 2017 e 1955 del 2017 e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione, nel giudizio n. 1954 del 2017, del Ministero dell’Interno e della Questura di Pordenone;
Visto l’atto di costituzione, nel giudizio n. 1955 del 2017, del Ministero dell’Interno e della Questura di Pordenone;
Viste le memorie depositate dalle parti costituite nei giudizi nn. 1954 del 2017 e 1955 del 2017;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 febbraio 2020 il Pres. Franco Frattini e uditi altresì i difensori presenti delle parti in causa, come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO

1. La vicenda oggetto del presente giudizio prende avvio dalla nota del Comando Stazione Carabinieri di -OMISSIS- (PN) del 14 ottobre 2014, con la quale è stato segnalato alla Questura di Pordenone che, in pari dati, a seguito di indagini, il sig. -OMISSIS- è stato denunciato in stato di libertà per violazione dell’art. 697 c.p. poiché, sebbene titolare di licenza di porto di fucile, deteneva armi e munizioni senza averne fatto denuncia all’Autorità di Pubblica Sicurezza e il sig. -OMISSIS- è stato denunciato in stato di libertà per violazione dell’art. 38 del r.d. n. 773 del 1931 e dell’art. 58 del regolamento di esecuzione del r.d. n. 635 del 1940, per aver omesso di denunciare immediatamente il trasferimento della detenzione delle armi – regolarmente denunciate in data 21 gennaio 2009 – in favore di -OMISSIS-.
Nella suddetta segnalazione dei Carabinieri del 14 ottobre 2014 viene riportato che, in data 30 settembre 2014, i Carabinieri di -OMISSIS- si sono recati presso -OMISSIS-, a seguito di una richiesta di intervento da parte di -OMISSIS-, il quale ha indicato che la propria compagna si fosse chiusa all’interno di una stanza con intenti suicidi. I militari hanno ispezionato il locale e hanno rinvenuto una serie di armi e munizioni, che sono state sequestrate, in quanto non risultavano denunciate a norma di legge.
Gli accertamenti eseguiti hanno consentito di stabilire che tali armi e munizioni fossero state cedute in data 21 gennaio 2009 da -OMISSIS- a -OMISSIS-. Quest’ultimo le avrebbe, poi, riconsegnate al signor -OMISSIS-, senza denunciare all’Autorità la cessione.
Durante la redazione degli atti di Polizia Giudiziaria, i signori -OMISSIS- e -OMISSIS-, nonostante non fossero in grado di giustificare il possesso delle armi nelle mani del sig. -OMISSIS-, hanno chiesto più volte la possibilità di poter originare una dichiarazione di trasferimento dei fucili con data antecedente ai fatti in parola.
In data 1° ottobre 2014, i signori -OMISSIS- e -OMISSIS- si sono recati presso il Comando dei Carabinieri di -OMISSIS- con un atto di comodato d’uso stipulato tra loro, datato 29 settembre 2014, attestante il passaggio delle armi.
In conseguenza di ciò, in data 24 novembre 2014, con decreto della Questura di Pordenone n. Cat. -OMISSIS-, è stata revocata al signor -OMISSIS- la licenza di porto di fucile per uso caccia e, allo stesso modo, in data 24 novembre 2014, con decreto della Questura di Pordenone n. Cat. -OMISSIS-, è stata revocata al signor -OMISSIS- la licenza di porto di fucile per uso caccia.
2. Con ricorso (r.g. -OMISSIS- del 2015) proposto innanzi al Tar Friuli Venezia Giulia, il signor -OMISSIS- ha impugnato il provvedimento questorile con il quale gli è stato revocato il porto di fucile per uso caccia.
Allo stesso modo, con ricorso (r.g. -OMISSIS- del 2015) proposto innanzi al Tar Friuli Venezia Giulia, il signor -OMISSIS- ha impugnato il provvedimento questorile con il quale gli è stato revocato il porto di fucile per uso caccia.
In particolare, i ricorrenti, nei rispettivi ricorsi, hanno dedotto che l’Amministrazione non avrebbe provato l’esistenza di una condotta sintomatica dell’abuso delle armi; la cessione della detenzione delle armi sarebbe stata formalizzata con contratto di comodato d’uso del 29 settembre 2014, e con la relativa denuncia del 1° ottobre 2014, che non sarebbero mai stati contestati nella loro veridicità ed efficacia; le cartucce rinvenute sarebbero state acquistate dallo stesso sig. -OMISSIS- nel 2003 e regolarmente denunciate alla stazione dei Carabinieri di -OMISSIS- lo stesso anno; la nota interna dei Carabinieri sarebbe atto interno irrilevante ed inutilizzabile, che riporterebbe presunte asserzioni dei ricorrenti non formalizzate.
3. Con sentenza -OMISSIS- del 27 ottobre 2016, il Tar Friuli Venezia Giulia ha respinto il ricorso r.g. -OMISSIS- del 2015.
Con sentenza -OMISSIS- del 27 ottobre 2016, il Tar Friuli Venezia Giulia ha respinto il ricorso r.g. -OMISSIS- del 2015.
In particolare, il Tar, nelle rispettive sentenze ha rilevato che la condotta negligente da parte di tutti e due i soggetti coinvolti risulterebbe sufficiente a sorreggere i provvedimenti di revoca avversati; la natura preventiva e precauzionale della revoca del porto d’armi consentirebbe di disporla ogni volta che vi siano indizi in grado di far dubitare dell’affidabilità del soggetto; i comportamenti del sig. -OMISSIS- e del sig. -OMISSIS- sarebbero negligenti, in quanto solamente in data successiva rispetto alla ispezione dei Carabinieri del 30 settembre 2014, avrebbero comunicato la cessione dei fucili; indipendentemente dai dubbi espressi nella nota interna dei Carabinieri e dalla certezza della data del contratto di comodato, il cambiamento di detenzione dei fucili risalente al 2009 non sarebbe mai stato comunicato all’Amministrazione.
4. La sentenza -OMISSIS- del 27 ottobre 2016 è stata impugnata dal sig. -OMISSIS- con appello notificato il 24 febbraio 2017 e depositato il successivo 20 marzo.
La sentenza -OMISSIS- del 27 ottobre 2016 è stata impugnata dal sig. -OMISSIS- con appello notificato il 24 febbraio 2017 e depositato il successivo 20 marzo.
Gli appellanti, nei rispettivi ricorsi, hanno riprodotto sostanzialmente le cesure non accolte e assorbite in primo grado, ponendole in chiave critica rispetto alla sentenza avversata.
In particolare, il Tar avrebbe errato nel travisare i fatti e nel ritenere che il provvedimento questorile si fondasse su una idonea istruttoria e motivazione.
Al contrario, nel 2009, il cambio di detenzione dei fucili sarebbe stato denunciato al Comando dei Carabinieri di -OMISSIS- e, nel 2014, sarebbe stato stipulato un contratto di comodato d’uso, regolarmente denunciato nelle successive 72 ore. Nello specifico, in relazione al contratto di comodato del 2014, non sarebbe stata necessaria l’attestazione notarile per avere la data certa dello stesso, il quale, peraltro, non sarebbe mai stato contestato nella sua validità .
5. Si sono costituiti nel giudizio n. 1954 del 2017 il Ministero dell’Interno e la Questura di Pordenone, sostenendo l’infondatezza dell’appello.
6. Si sono costituiti nel giudizio n. 1955 del 2017 il Ministero dell’Interno e la Questura di Pordenone, senza espletare alcuna difesa.
7. Alla pubblica udienza del 13 febbraio 2020, le cause nn. 1954 del 2017 e 1955 del 2017 sono state trattenute in decisione.

DIRITTO

1. Preliminarmente il Collegio dispone la riunione degli appelli nn. 1954 del 2017 e 1955 del 2017 per connessione atteso che, pur essendo volti alla riforma di due diverse sentenze della sez. I del Tar Friuli Venezia Giulia (-OMISSIS- del 27 ottobre 2016 e -OMISSIS- del 27 ottobre 2016), sottendono la medesima questione di fatto, che coinvolge entrambi gli odierni appellanti.
2. Altresì, in via preliminare, il Collegio rileva che gli appellanti hanno depositato, unitamente ai rispettivi ricorsi, un nuovo documento, avente ad oggetto la denuncia del trasferimento dei fucili risalente al 21 gennaio 2009. L’omessa produzione in primo grado sarebbe stata giustificata dal fatto che la presenza e la regolarità di tale documento sarebbe stata pacifica tra le parti.
L’art. 104, co. 2, c.p.a. statuisce che non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che il collegio li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa, ovvero che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile.
Come già statuito da questo Giudice, il giudice può e deve ammettere tutti quei documenti che non sono semplicemente “rilevanti” ai fini del decidere, bensì appaiono dotati di quella speciale efficacia dimostrativa che si traduce nella capacità di fornire un contributo decisivo all’accertamento della verità materiale, conducendo ad un esito, per così dire, “necessario” della controversia (Cons. St., sez. VI, n. 3435 del 17 luglio 2018).
L’accertamento della verità materiale, fine ultimo e vera mè ta di ogni giusto processo, impone pertanto l’acquisizione di tutti quei documenti indispensabili per la decisione, senza i quali tale decisione, seppure per il mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte interessata in primo grado, si fonderebbe irrimediabilmente su una incompleta conoscenza di fatti assolutamente necessari per la cognizione del giudice. La produzione di documenti decisivi in appello, indipendentemente dalla diligenza della parte onerata, è necessaria a tale irrinunciabile fine, che vede nel processo non solo una garanzia delle parti, come esso deve anzitutto essere, ma uno strumento di verità e, quindi, come mezzo per il perseguimento di tale irrinunciabile valore (Cons. St., sez. III, n. 183 dell’8 gennaio 2019).
Di qui, per le ragioni vedute, l’ammissibilità della produzione documentale effettuata dal sig. -OMISSIS- risulta indispensabile al fine di chiarire se la cessione dei fucili, avvenuta nel 2009 dal sig. -OMISSIS- al sig. -OMISSIS-, sia stata regolarmente denunciata. In tal modo si elimina ogni incertezza circa la ricostruzione fattuale delle pronunce qui gravate, le quali hanno ritenuto assente la predetta denuncia.
3. Venendo alle questioni di merito, due premesse sono necessarie al fine di decidere, la prima in punto di fatto, la seconda in diritto.
In punto di fatto occorre rilevare l’individuazione degli eventi che hanno determinato la decisione del Questore di Pordenone, assunta con i decreti del 24 novembre 2014, con i quali sono state revocate ai signori -OMISSIS- e -OMISSIS- le rispettive licenze di porto di fucile per uso caccia.
In particolare, i provvedimenti avversati si fondano sulla nota dei Carabinieri di -OMISSIS- del 14 ottobre 2014, che ha comunicato la notizia di reato nei confronti del sig. -OMISSIS- (per detenzione abusiva di armi) e nei confronti del sig. -OMISSIS- (per omessa denuncia immediata di trasferimento delle armi regolarmente denunciate). In essa si rileva che, in data 30 settembre 2014, i Carabinieri di -OMISSIS- si sono recati presso -OMISSIS-, a seguito di una richiesta di intervento da parte di -OMISSIS-. I militari hanno ispezionato il locale e hanno rinvenuto una serie di armi e munizioni. Al riguardo, il sig. -OMISSIS- ha dichiarato che le stesse fossero di sua proprietà, fornendo una denuncia delle armi all’autorità di P.S. datata 5 giugno 2006. Sono stati così effettuati accertamenti che, al contrario, hanno consentito di stabilire che tali armi e munizioni fossero state cedute in data 21 gennaio 2009 dal sig. -OMISSIS- al sig. -OMISSIS-. Smentito quanto detto dal sig. -OMISSIS-, questo ha riferito che le armi gli fossero state prestate a titolo di cortesia dal sig. -OMISSIS- per una battuta di caccia. Durante la redazione degli atti di Polizia Giudiziari, i signori -OMISSIS- e -OMISSIS-, nonostante non fossero in grado di giustificare il possesso delle armi nelle mani del sig. -OMISSIS-, hanno chiesto più volte agli scriventi la possibilità di poter originare nell’immediatezza una dichiarazione di trasferimento dei fucili con data antecedente ai fatti in parola. La compagna del sig. -OMISSIS- ha poi riferito che i fucili fossero custoditi nell’armadio da ufficio da diverso tempo ma di non essere in grado di quantificare uno specifico periodo. In data 1° ottobre 2014, i signori -OMISSIS- e -OMISSIS- si sono recati presso il Comando dei Carabinieri di -OMISSIS- con un atto di comodato d’uso stipulato con il sig. -OMISSIS-, datato 29 settembre 2014, attestante il passaggio delle armi.
A fronte di tali circostanze, il Questore di Pordenone ha deciso che sussistevano i presupposti per revocare, ad entrambi gli attuali appellanti, le rispettive licenze di porto di fucile per uso caccia.
4. La seconda precisazione, questa volta in diritto, è sulla natura della revoca del porto d’armi e sulle condizioni necessarie per la sua adozione.
La oramai univoca giurisprudenza ha accertato l’insussistenza di una posizione di diritto soggettivo assoluto in relazione all’ottenimento ed alla conservazione del permesso di detenzione e porto di armi in deroga al generale divieto di cui all’art. 699 c.p. e di cui all’art. 4, comma 1, l. 18 aprile 1970, n. 110 (Corte cost. n. 440 del 1993; Cons. Stato, sez. III, n. 2974 del 2018; n. 3502 del 2018) e secondo la quale, ai sensi degli artt. 11, 39 e 43 del Tulps, l’Amministrazione può legittimamente fondare il giudizio di “non affidabilità ” del titolare del porto d’armi valorizzando il verificarsi di situazioni genericamente non ascrivibili alla “buona condotta” dell’interessato, non rendendosi necessario al riguardo né un giudizio di pericolosità sociale del soggetto né un comprovato abuso nell’utilizzo delle armi (Cons. Stato, sez. III, n. 2987 del 2014; n. 4121 del 2014; n. 4518 del 2016; sez. VI, n. 107 del 2017; sez. III, n. 2404 del 2017; n. 4955 del 2018; n. 6812 del 2018) in quanto, ai fini della revoca della licenza, l’Autorità di pubblica sicurezza può apprezzare discrezionalmente, quali indici rivelatori della possibilità d’abuso delle armi, fatti o episodi anche privi di rilievo penale, indipendentemente dalla riconducibilità degli stessi alla responsabilità dell’interessato, purché l’apprezzamento non sia irrazionale e sia motivato in modo congruo (Cons. Stato, sez. VI, n. 107 del 2017; sez. III, n. 2974 del 2018; n. 3502 del 2018), trattandosi di un provvedimento, privo di intento sanzionatorio o punitivo, avente natura cautelare al fine di prevenire possibili abusi nell’uso delle armi a tutela delle esigenze di incolumità di tutti i consociati (Cons. Stato, sez. III, n. 2974 del 2018).
Proprio la natura cautelare del provvedimento fa sì che lo stesso si fondi su considerazioni probabilistiche, basate su circostanze di fatto assistite da sufficiente fumus al momento della loro adozione (Cons. Stato, sez. III, n. 3979 del 2013; n. 5398 del 2014; n. 2404 del 2017; n. 6812 del 2018).
5. Nella specie, il Questore di Pordenone ha correttamente ritenuto sufficienti ed assorbenti i rilievi in fatto e diritto effettuati dai Carabinieri di -OMISSIS-.
Ed invero, per ottenere il rilascio del porto d’armi non bisogna solo essere esenti da determinate condanne penali, ma anche godere del requisito della buona condotta, tale da giustificare una prognosi di affidabilità circa il corretto utilizzo e custodia dell’arma. Il rilascio del porto d’armi, come la costante giurisprudenza della Sezione ha avuto modo di chiarire (v., ex plurimis, Cons. St., sez. III, 1° luglio 2019, n. 4511), rientra tra le cosiddette autorizzazioni di polizia, disciplinate a livello generale dal Capo III del Titolo I del R.D. 18 giugno 1931, n. 773 (T.U.L.P.S.). Il potere di rilasciare le autorizzazioni di polizia in generale, anche in ragione dell’originaria natura intuitu personae che connotava tale tipologia di licenze, si caratterizza per l’ampia discrezionalità dell’autorità competente, e così pure il potere di revoca e sospensione, esercitabile in qualsiasi momento, nel caso di abuso della persona autorizzata (art. 10). L’art. 11, concernente i cosiddetti requisiti morali, condiziona il rilascio delle autorizzazioni di polizia alla verifica della mancata sussistenza di alcuni requisiti necessariamente ostativi (la condanna per tipologie di reati tassativamente individuati), ovvero ne facoltizza il diniego sulla base di altri, tra i quali, oltre a meno gravi fattispecie penali, rientra ancora genericamente la cosiddetta buona condotta (Cons. St., sez. III, n. 8368 del 6 dicembre 2019).
Al contrario, non possono essere condivise le censure proposte dagli appellanti relative al contratto di comodato d’uso, stipulato in data 29 settembre 2014.
Ed infatti, tale atto non risulta avere una data certa e, come tale, non può essere opposto all’Amministrazione. Così statuisce l’art. 2704 c.c., secondo cui “la data della scrittura privata della quale non è autenticata la sottoscrizione non è certa e computabile riguardo ai terzi, se non dal giorno in cui la scrittura è stata registrata o dal giorno della morte o della sopravvenuta impossibilità fisica di colui o di uno di coloro che l’hanno sottoscritta o dal giorno in cui il contenuto della scrittura è riprodotto in atti pubblici o, infine, dal giorno in cui si verifica un altro fatto che stabilisca in modo egualmente certo l’anteriorità della formazione del documento”. Nel caso di specie, tale contratto ha acquisito una data certa solo il 1° ottobre 2014, quando è stato riprodotto in atto pubblico e, dunque, in un momento posteriore rispetto all’ispezione e alla relativa richiesta dei Carabinieri di fornire la documentazione necessaria a provare l’effettiva regolarità della presenza delle armi presso il sig. -OMISSIS-.
La mancanza di data certa dell’atto di comodato non consente al Collegio di avere la sicurezza che lo stesso sia stato stipulato precedentemente all’ispezione effettuata dai Carabinieri. Al contrario, gli elementi di fatto posti a sostegno dei provvedimenti avversati fanno presumere, secondo la logica del più probabile che non, che l’atto di comodato sia stato stipulato posteriormente alla suddetta ispezione.
Ed invero, il signor -OMISSIS- non ha mostrato nell’immediatezza il contratto di comandato – cosa che, sola, avrebbe permesso di dare prova certa di quanto in questa sede semplicemente asserito – ma, al contrario, ha dichiarato che le armi rinvenute dai Carabinieri fossero di sua proprietà, fornendo una denuncia delle stesse all’autorità di P.S. datata 5 giugno 2006.
In aggiunta, contrariamente alla versione dei fatti proposta dagli appellanti, risulta dalla nota dei Carabinieri del 14 ottobre 2014 e dal verbale di annotazione di P.G. del 30 settembre 2014 che i signori -OMISSIS- e -OMISSIS- non fossero in grado di giustificare la detenzione delle armi presso il sig. -OMISSIS- e che avessero chiesto di poter originare nell’immediatezza una dichiarazione di trasferimento delle armi con data antecedente ai fatti in argomento. Risulta, altresì, che la compagna del sig. -OMISSIS- avesse riferito che i fucili fossero custoditi nell’armadio da ufficio da diverso tempo.
Il verbale dei Carabinieri è un atto che gode di fede privilegiata per ciò che riguarda le dichiarazioni rese alla presenza dei verbalizzanti, ai sensi dell’art. 2700 c.c.. Tale prova non può essere disattesa se non in forza di querela di falso, mai proposta dagli appellanti.
Ritiene il Collegio che i fatti così esposti hanno correttamente ingenerato nell’Amministrazione un dubbio circa il non corretto utilizzo e custodia delle armi da parte dei signori -OMISSIS- e -OMISSIS-, tale da non renderli meritevoli di mantenere la licenza di porto d’armi.
Il rilascio di siffatta licenza postula che, nella valutazione discrezionale dell’Amministrazione, il soggetto risulti indenne da mende e osservi una condotta di vita improntata all’osservanza delle norme penali e di tutela dell’ordine pubblico, nonché delle comuni regole di buona convivenza civile: elementi dai quali può essere dato trarre la ragionevole convinzione che non siano ravvisabili sintomi e sospetti di utilizzo improprio dell’arma. Siffatta valutazione amministrativa – che cautela l’interesse pubblico mediante un giudizio prognostico che, “ex ante”, sia tale da portare ad escludere la possibilità di un abuso – è per sua natura di lata discrezionalità e il suo esercizio è suscettibile di sindacato solo riguardo all’eventuale uso distorto (Cons. St., sez. VI, n. 901 dell’11 febbraio 2011).
Vanno, invece, riformate le sentenze qui avversate nella parte in cui hanno affermato che il cambiamento di detenzione dei fucili, risalente al 2009, non fosse mai stato comunicato all’Amministrazione. Tale assunto non corrisponde al vero, come certificato dagli stessi appellanti tramite deposito della relativa denuncia effettuata presso il Comando Stazione dei Carabinieri di -OMISSIS- in data 29 gennaio 2009. Tale dato, peraltro, era anche in primo grado, incontestato tra le parti. La stessa Amministrazione, nel provvedimento avversato dal signor -OMISSIS-, ha evidenziato che, in data 21 gennaio 2009, il trasferimento delle armi fosse stato regolarmente denunciato presso il Comando Stazione Carabinieri.
6. Le questioni vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c.. Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati, infatti, dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e, comunque, inidonei a supportare una conclusione di segno diverso.
In conclusione, per i suesposti motivi, gli appelli nn. 1954 del 2017 e 1955 del 2017 vanno respinti nei limiti di cui in motivazione e, dunque, vanno parzialmente modificate le motivazioni delle sentenze del Tar Friuli Venezia Giulia n-OMISSIS- e -OMISSIS- 27 ottobre 2016, che hanno respinto i rispettivi ricorsi di primo grado.
Sussistono giusti motivi, stante la particolarità della vicenda esaminata, per compensare tra le parti in causa le spese di entrambi i giudizi di appello.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sugli appelli nn. 1954 del 2017 e 1955 del 2017, come in epigrafe proposti: a) li riunisce; b) li respinge con le precisazioni di cui in motivazione e, per l’effetto, integra e modifica parzialmente, quanto al ricorso n. 1954 del 2017, la sentenza del Tar Friuli Venezia Giulia -OMISSIS- del 27 ottobre 2016 e, quanto al ricorso n. 1955 del 2017, la sentenza del Tar Friuli Venezia Giulia -OMISSIS- del 27 ottobre 2016.
Compensa tra le parti in causa le spese e gli onorari di entrambi i giudizi di appello.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità degli appellanti e di tutti i riferimenti che rendono possibile la riconducibilità allo stesso.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 febbraio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Franco Frattini – Presidente, Estensore
Giulio Veltri – Consigliere
Massimiliano Noccelli – Consigliere
Giulia Ferrari – Consigliere
Raffaello Sestini – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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