La controversia in cui si contesta l’elezione a una carica sociale di una federazione

Consiglio di Stato, Sezione quinta, Sentenza 7 aprile 2020, n. 2320.

La massima estrapolata:

La controversia in cui si contesta l’elezione a una carica sociale di una federazione sportiva per ineleggibilità, incandidabilità o incompatibilità, non è riservata agli organi di giustizia sportiva e dà accesso alla giurisdizione statale; infatti non si discute del corretto risultato di una competizione e, dunque, dell’applicazione di una regola tecnica, si discute piuttosto della legittima investitura di organi interni di quella speciale associazione.

Sentenza 7 aprile 2020, n. 2320

Data udienza 16 gennaio 2020

Tag – parola chiave: Sport – Associazione sportiva dilettantistica – Rinnovo cariche sociali – Controversia – Sussistenza di rapporto di lavoro subordinato come causa di ineleggibilità e di incompatibilità – Giurisdizione – Controversie riservate alla giustizia sportiva – Fattispecie – Giurisdizione statale – Art. 133, comma 1, lett. z), c.p.a. – Giurisdizione del giudice amministrativo

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 5807 del 2019, proposto da
Si. Ma., rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Li. e Ma. Be. Mi., con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Ma. Be. Mi. in Palermo, via (…);
contro
C.O.N.I. – Comitato Olimpico Nazionale Italiano, in persona del Presidente in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Na. e Gi. Ve., con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Gi. Ve. in Roma, piazza (…);
Un. It. ti. a se., non costituita in giudizio;
nei confronti
Ca. Gu., non costituito in giudizio;
per l’annullamento
della sentenza breve del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio Sezione Prima n. 4077/2019, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
visto l’atto di costituzione in giudizio del C.O.N.I. – Comitato Olimpico Nazionale Italiano;
viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
visti tutti gli atti della causa;
visti gli artt. 105, comma 2 e 87, comma 3, Cod. proc. amm.;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 16 gennaio 2020 il Cons. Federico Di Matteo e uditi per le parti gli avvocati Gi. Li. e Gi. Na.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1. Il 4 e 5 agosto 2017 l’assemblea dei soci dell’Associazione sportiva dilettantistica Ti. a se. na. – Sezione di Pa., riunita in sessione elettorale, procedeva al rinnovo delle cariche sociali. All’esito della procedura elettorale, il signor Ma. Si., odierno appellante, risultava eletto tra i consiglieri.
1.1. Il signor Gu. Ca. contestava l’elezione del (omissis) con reclamo all’U.I.T.S. – Un. It. ti. a se.. Il commissario straordinario dell’U.I.T.S., con provvedimento 21 novembre 2017, n. 17, allo scopo di assicurare la celere definizione delle controversie e, al tempo stesso, il rispetto del principio collegiale nella decisione, delegava alla Commissione di disciplina dell’Unione “la decisione dei ricorsi in materia elettorale per il rinnovo degli organi sociali delle Sezioni TSN e sulle controversie in merito alla presentazione delle candidature, al riconoscimento e all’esercizio del diritto di voto nelle Assemblee”.
1.2. La Commissione di disciplina decideva il reclamo con provvedimento 23 marzo 2018, prot. n. 2592/18, senza previa fissazione di un’udienza. Il reclamo veniva accolto e l’elezione del (omissis) non convalidata per la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato con la Sezione T.S.N. di Pa., causa di ineleggibilità e di incompatibilità .
1.3. Il signor Ma. Si. impugnava la decisione alla Commissione di disciplina di appello ai sensi dell’art. 34, comma 4, dello Statuto dell’U.I.T.S.. Nessuna decisione seguiva, fino a quanto, su istanza 11 settembre 2018 diretta a sollecitare la fissazione di un’udienza, veniva adottato il provvedimento 2 ottobre 2018, del Presidente della Corte federale d’appello della U.I.T.S., dichiarativo dell’inammissibilità del ricorso.
Nel provvedimento, il Presidente della Corte federale d’appello premetteva, per quanto di interesse nel presente giudizio, che:
– in ragione della delega ricevuta dal commissario straordinario, la Commissione di disciplina aveva agito “nell’adozione della decisione di non convalida dell’elezione del signor Ma. Si., quale Organo della UITS in sostituzione del Consiglio di Presidenza nella specifica materia elettorale che non prevede fasi successive di impugnazione delle decisioni assunte e non quindi come Organo di Giustizia di primo grado”;
– lo Statuto delle Sezioni TSN e, in particolare, l’art. 23 rubricato “Adempimenti ai fini della formazione del Consiglio Direttivo” al comma 4, prevedeva che “in merito a qualsivoglia controversia insorta alla presentazione di candidature e all’esercizio di voto, è ammesso reclamo secondo quanto stabilito dallo Statuto dell’UITS”
– l’art. 34, comma 4, dello Statuto U.I.T.S. disponeva che “La Commissione di disciplina d’appello decide, altresì, in unico grado in merito a qualsiasi controversia insorta in relazione alla presentazione delle candidature, al riconoscimento e all’esercizio del diritto di voto nelle Assemblee nazionali e Periferiche ed è competente per i ricorsi avverso la validità delle Assemblee nazionali secondo le modalità e nei termini fissati dal Regolamento di Giustizia”;
– la natura del procedimento era immutata sebbene la decisione fosse assunta dal diverso organo designato dal Commissario straordinario.
Il Presidente della Corte federale concludeva che la Commissione di disciplina, chiamata a decidere il ricorso presentato da Ca. per la delega commissariale, aveva deciso la questione elettorale controversa in unico grado: da qui l’inammissibilità dell’impugnazione proposta avverso la sua decisione.
1.4. Il signor Ma. Si. impugnava il provvedimento del Presidente della Corte federale d’appello al Collegio di Garanzia dello Sport. Questo, con decisione 14 gennaio 2019, n. 1, dichiarava inammissibile il ricorso.
Il Collegio, premesso di esaminare la controversia alla luce del mutamento della disciplina intervenuto in corso di causa, rilevava che, all’epoca del reclamo proposto dal Ca. avverso l’elezione del (omissis), l’organo giustiziale competente a decidere tali controversie era la Corte federale d’appello in unico grado; tuttavia, il Commissario straordinario aveva trasferito alla Commissione di disciplina la competenza a decidere sulle controversie in materia elettorale e “tale delibera era da intendersi nel senso che quella medesima competenza, che il previgente Statuto U.I.T.S. attribuiva in unico grado alla Corte federale d’appello, veniva trasferita, sempre in unico grado, alla Commissione di Disciplina”.
Ne derivava che la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, adottata dalla Corte federale d’appello, era corretta poiché, per le disposizioni federali dell’epoca della decisione della Commissione di disciplina, quest’ultima era competente a decidere la controversia in unico grado, senza possibilità di impugnazione nel merito.
Di nessun rilievo era poi la circostanza che, medio tempore, fosse stato pubblicato il nuovo Statuto dell’U. It. ti. a se., che aveva nuovamente assegnato alla Corte federale d’appello la competenza a decidere, in unico grado, le controversie sulla presentazione delle candidature, tale trasferimento della competenza spiegando effetti solo dopo la delibera della Commissione di disciplina, ed essendo così inapplicabile alla vicenda in esame.
D’altronde, il (omissis) avrebbe potuto impugnare la decisione della Commissione di disciplina, per motivi di legittimità, presso il Collegio di garanzia dello sport, ma nei termini perentori imposti dal Codice della Giustizia sportiva del CONI. Non avendo a ciò provveduto, egli aveva consumato il potere di impugnazione. Non si poteva poi fare applicazione del principio di conservazione degli atti processuali dell’art. 156 Cod. proc. civ., da intendersi estensivamente per consentire la conversione dell’atto di appello in ricorso al Collegio di garanzia dello sport, poiché nell’appello erano stati sollevati solo vizi di merito, la cui cognizione è preclusa al Collegio.
2. Il signor (omissis) impugnava la decisione del Collegio di Garanzia dello Sport al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio con cinque motivi con cui lamentava: a) che la competenza a decidere sul reclamo avverso i risultati elettorali era della Commissione di disciplina d’appello e la delega commissariale alla Commissione di disciplina di primo grado era limitata alle funzioni del Consiglio direttivo in materia elettorale e non comprendeva anche le funzioni della Commissione d’appello che, pertanto, avrebbe dovuto decidere il reclamo; b) che il Commissario straordinario non avrebbe potuto modificare le competenze della Commissione di Disciplina d’appello; c) che il procedimento di adozione della decisione sul reclamo si era svolto senza rispettare le garanzie processuali e del contraddittorio ex art. 2 del Codice di Giustizia sportiva del CONI; d) la mancata applicazione dell’art. 156 Cod. proc. civ., per aver il Collegio di Garanzia male ritenuto che il ricorso riguardasse solo vizi di merito; e) nel merito, che il rapporto di lavoro esistente con la Sezione TNS di Palermo non era qualificabile come lavoro subordinato, ma come collaborazione coordinata e continuativa e non poteva dar luogo a causa di incandidabilità e ineleggibilità .
2.1. Si costituivano in giudizio il CONI e l’U.I.T.S., che eccepivano il difetto di giurisdizione, il mancato rispetto del vincolo della pregiudiziale sportiva, e nel merito concludevano per il rigetto del ricorso.
Il giudizio di primo grado era concluso dalla sentenza del Tribunale amministrativo, sez. I-ter, 27 marzo 2019, n. 4077, di inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione.
La sentenza dichiarava il difetto di giurisdizione in applicazione della regola di riparto che traeva dagli articoli 1, 2 e 3 d.-l. 19 agosto 2003, n. 220 conv. dalla l. 17 ottobre 2003, n. 280 per come interpretati dalla sentenza della Corte costituzionale 11 febbraio 2011, n. 49 (per cui la giustizia sportiva è strumento di tutela riconosciuto dall’ordinamento per le ipotesi in cui si discute dell’applicazione delle “regole sportive”, mentre alla giustizia statale sono demandate le controversie rilevanti per l’ordinamento generale, che hanno ad oggetto la violazione di diritti soggettivi o interessi legittimi).
Per la sentenza, dunque, la controversia sull’osservanza delle norme regolamentari, organizzative e statutarie delle federazioni sportive nell’elezione dei componenti degli organi sociali ricadeva nel primo caso, trattandosi di questione di regolazione dell’assetto organizzativo territoriale delle federazioni sportive ai fini dello svolgimento delle competizioni sportive, e non aveva rilevanza esterna all’ordinamento sportivo: ciò anche in ragione della natura di associazioni con personalità giuridica di diritto privato delle federazioni sportive: le quali dunque, nel governare le loro articolazioni territoriali, esercitano facoltà di diritto privato.
3. Propone appello il signor Ma. Si.. Il CONI ha concluso per il rigetto dell’appello. Alla camera di consiglio del 16 gennaio 2020, la causa è stata assunta in decisione.
3.1. Con unico motivo di appello la sentenza è censurata per “erronea declaratoria di difetto di giurisdizione – violazione di legge – falsa applicazione dell’art. 2 l. 280/2003. Contraddittorietà della motivazione”. Per l’appellante, la controversia non rientra in alcuno dei due ambiti in cui è comunemente ripartita la giustizia sportiva, quello tecnico e quello disciplinare. Nella specie non vi è impugnazione di una sanzione disciplinare, né la controversia rientra nell’ambito tecnico, perché pur essendo oggetto del giudizio una violazione di norme regolamentari, organizzative e statutarie, le norme di cui si assume la violazione non sono finalizzate al “corretto svolgimento delle attività sportive”, come espressamente richiesto dall’art. 2, comma 1, lett. b), d.-l. n. 280 del 2003 per identificare la competenza del giudice sportivo.
Inoltre, per l’appello, l’assunto della sentenza porterebbe a considerare di competenza della giustizia sportiva tutte le controversie tra tesserati o affiliati, poiché vi si discute sempre di esatta applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie delle federazioni sportive: il che sarebbe in contrasto anche con con la vicenda del decreto-legge in questione: nell’originaria formulazione del decreto-legge, intatti, all’art. 2 era prevista la riserva di giustizia sportiva anche per le controversie su “l’ammissione e l’affiliazione alle federazioni sportive di società, associazioni sportive e di singoli tesserati” (come pure “l’organizzazione e lo svolgimento delle attività agonistiche non programmate ed a programma illimitato e la ammissione alle stesse delle squadre ed atleti”), che poi venne eliminata in sede di conversione per portare ogni controversia non strettamente attinente alla competizione sportiva nell’ambito della giurisdizione statale.
4. Il motivo di appello è fondato e va accolto.
4.1. L’atto d’appello pone la questione se sia riservata al giudice sportivo, ovvero sia della giurisdizione dello Stato, una controversia sull’ineleggibilità, l’incandidabilità o l’incompatibilità a componente di un organo (di un’articolazione territoriale) di una federazione sportiva.
4.1.1. Occorre muovere dalla considerazione che il decreto-legge 19 agosto 2003, n. 220 (Disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva), convertito dalla legge 17 ottobre 2003, n. 280, all’art. 1 dispone: “La Repubblica riconosce e favorisce l’autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale, quale articolazione dell’ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato Olimpico Internazionale” e che “i rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento della Repubblica sono regolati in base al principio di autonomia, salvi i casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo”.
Le controversie riservate agli organi della giustizia sportiva, istituiti ed organizzati da ciascuna federazione sportiva sotto l’egida del CONI, sono indicate dall’art. 2 (Autonomia dell’ordinamento sportivo), comma 1, d.-l. 19 agosto 2003, n. 220 (Disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva) conv. con modd. dalla l. 17 ottobre 2003, n. 280, a tenore del quale: “In applicazione dei princì pi di cui all’articolo 1, è riservata all’ordinamento sportivo la disciplina delle questioni aventi ad oggetto: a) l’osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell’ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive; b) i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive”.
Questa riserva consiste, per il comma 2, in ciò : “Nelle materie di cui al comma 1, le società, le associazioni, gli affiliati ed i tesserati hanno l’onere di adire, secondo le previsioni degli statuti e regolamenti del Comitato olimpico nazionale italiano e delle Federazioni sportive di cui gli articoli 15 e 16 del decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, gli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo”.
Rileva inoltre sul riparto delle controversie l’art. 3 del medesimo decreto-legge n. 220 del 2003, il quale nel testo in vigore al tempo degli atti in contestazione prevedeva: “Esauriti i gradi della giustizia sportiva e ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario sui rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti, ogni altra controversia avente ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive non riservata agli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo ai sensi dell’articolo 2, è disciplinata dal codice del processo amministrativo. In ogni caso è fatto salvo quanto eventualmente stabilito dalle clausole compromissorie previste dagli statuti e dai regolamenti del Comitato olimpico nazionale italiano e delle Federazioni sportive di cui all’articolo 2, comma 2, nonché quelle inserite nei contratti di cui all’articolo 4 della legge 23 marzo 1981, n. 91”.
4.1.2. La giurisprudenza, anche costituzionale, ha rilevato che sono riservate alla giustizia sportiva: a) le controversie in cui si discute dell’osservanza e dell’applicazione delle regole tecniche, riguardanti il corretto svolgimento della prestazione agonistica o la regolarità della competizione, per tali dovendosi intendere le “norme regolamentari, organizzative e statutarie finalizzate a garantire il corretto svolgimento delle attività sportive”;
b) le controversie su provvedimenti disciplinari adottati dagli organi sportivi disciplinari, riguardanti l’irrogazione di provvedimenti punitivi nei confronti di atleti, tesserati e compagini sportive (cfr. Cass., SS.UU., 13 dicembre 2018, n. 32358).
4.1.3. Vi è non pacifica giurisprudenza sul fondamento della riserva di giustizia sportiva, sebbene la conclusione sia comunque che è la giustizia sportiva la sede della tutela giustiziale quando si controverte dell’applicazione delle regole sportive (anche ai fini disciplinari), posto che sono questioni senza rilevanza per l’ordinamento generale.
Non pare avere rilievo particolare la questione se ciò sia perché alle regole sportive non sono collegate situazioni soggettive meritevoli di tutela dal punto di vita dell’ordinamento generale, né come diritti soggettivi né come interessi legittimi (Corte cost., 11 febbraio 2011, n. 49 precisa che comunque le decisioni degli organi sportivi di natura tecnico-disciplinare possono dar luogo ad effetti patrimoniali, nel che la possibilità che la situazione soggettiva venga a rilievo per l’ordinamento statale, come diritto soggettivo o come interesse legittimo e riceva tutela dal giudice statale, ove ne sussistano i presupposti concreti, sub specie di risarcimento del danno; v. anche, Cons. Stato, V, 22 agosto 2018, n. 5019; V, 22 giugno 2017, n. 3065; Cass., SS.UU., 4 agosto 2010, n. 18052), ovvero se questo avvenga per la configurazione costituzionale del rapporto tra l’ordinamento generale e gli ordinamenti particolari come quello sportivo. (es. Corte cost., 25 giugno 2019, n. 160 che, analogamente a Corte cost., n. 49 del 2011, precisa: “nel quadro della struttura pluralistica della Costituzione, orientata all’apertura dell’ordinamento dello Stato ad altri ordinamenti, anche il sistema dell’organizzazione sportiva, in quanto tale e nelle sue diverse articolazioni organizzative e funzionali, trova protezione nelle previsioni costituzionali che garantiscono i diritti dell’individuo, non solo come singolo, ma anche nelle formazioni sociali in cui si esprime la sua personalità (art. 2 Cost.) e che assicurano il diritto di associarsi liberamente per fini che non sono vietati al singolo dalla legge penale (art. 18 Cost.). Con la conseguenza che eventuali collegamenti con l’ordinamento statale, allorchè i due ordinamenti entrino reciprocamente in contatto per intervento del legislatore statale, devono essere disciplinati tenendo conto dell’autonomia di quello sportivo e delle previsioni costituzionali in cui essa trova radice”). Rileva piuttosto solo il dato che, per i loro effetti, tali controversie restino, dal punto di vista statale, irrilevanti (cfr. Corte cost. n. 49 del 2011).
4.1.4. Consegue da quanto sopra che la controversia in cui si contesta l’elezione a una carica sociale di una federazione sportiva per ineleggibilità, incandidabilità o incompatibilità, non è riservata agli organi di giustizia sportiva e dà accesso alla giurisdizione statale. Infatti non si discute del corretto risultato di una competizione e, dunque, dell’applicazione di una regola tecnica. Si discute piuttosto della legittima investitura di organi interni di quella speciale associazione.
Non si tratta di controversie irrilevanti dal punto di vista giuridico generale, perché l’ordinamento ritiene rilevanti le vicende strutturali interne delle formazioni sociali (cfr. artt. 14 e ss. Cod. civ.): il fatto che siano espressioni del principio di libertà associativa non impedisce invero che singoli loro atti possano restringere ultra vires sia l’effettiva capacità di concorrere alla vita associativa dei singoli (specialmente quando questa possa produrre effetti esterni sulla loro capacità di relazione), sia la distribuzione di responsabilità esterne, dirette o indirette, anche degli individui che vi si associano o riferiscono.
4.2. Escluso dunque che spetti alla sola giustizia sportiva l’odierna controversia, resta da stabilire quale sia la giurisdizione dello Stato che ne ha la spettanza: se quella ordinaria ovvero quella amministrativa.
In base all’art. 3, comma 1, d.- l. n. 220 del 2003, si individuano tre distinte forme di tutela: la rammentata tutela giustiziale interna; la tutela davanti al giudice ordinario “sui rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti”; la tutela, residuale, relativa a “ogni altra controversia avente ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive”, secondo il Codice del processo amministrativo (così a seguito della modifica apportata all’art. 3 (Ulteriori norma di coordinamento), comma 13, dell’allegato 4 (Norme di coordinamento e abrogazioni) al Codice del processo amministrativo stesso: a tenore del quale “Nell’articolo 3, comma 1, del decreto-legge 19 agosto 2003, n. 220, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 ottobre 2003, n. 280, le parole: “è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo” sono sostituite dalle seguenti: “è disciplinata dal codice del processo amministrativo”.”.
Per l’art. 133, comma 1, lett. z), Cod. proc. amm. “Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo […] le controversie aventi ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive non riservate agli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo ed escluse quelle inerenti i rapporti patrimoniali tra società, associazioni o atleti”; per l’art. 133, comma 1, lett. z-sexies) [aggiunta dall’art. 1, comma 649, lett. b), l. 30 dicembre 2018, n. 145, a decorrere dal 1° gennaio 2019] “le controversie relative ai provvedimenti di ammissione ed esclusione dalle competizioni professionistiche delle società o associazioni sportive professionistiche, o comunque incidenti sulla partecipazione a competizioni professionistiche”.
In virtù della detta previsione l’art. 133, comma 1, lett. z), la controversia presente appartiene alla giurisdizione esclusiva amministrativa perché si tratta di “atti […] delle Federazioni sportive”. In termini effettuali, per quanto riguarda il presente caso la portata dell’attuale precetto normativo non lo discosta dal previgente, in virtù del quale “ogni altra controversia avente ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive non riservata agli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo ai sensi dell’articolo 2, è disciplinata dal codice del processo amministrativo”
La scelta legislativa – di assegnare alla giurisdizione esclusiva amministrativa la residuale tutela avverso gli “atti” delle Federazioni sportive non appare incoerente con la funzione del giudice amministrativo come giudice del pubblico potere (Corte cost. 6 luglio 2004, n. 204). Infatti – anche se le “federazioni sportive nazionali”, hanno, per espressa affermazione dell’art. 15, comma 2, d.lgs. 23 luglio 1999, n. 242 (Riordino del Comitato olimpico nazionale italiano – C.O.N.I., a norma dell’articolo 11 della l. 15 marzo 1997, n. 59) “natura di associazione con personalità giuridica di diritto privato” e sono dichiarate “soggette, per quanto non espressamente previsto” dallo stesso decreto, “alla disciplina del codice civile e delle relative disposizioni di attuazione” – sta di fatto che il loro assetto organizzativo (di un atto del quale qui si verte) si integra necessariamente e bilateralmente con quello del C.O.N.I., ente pubblico che confedera le federazioni sportive: dunque, in quanto fenomeno che concorre all’organizzazione complessiva dell’attività sportiva, ha rilievo indiretto, di ordine pubblicistico, per l’ordinamento generale (cfr. Cons. Stato, VI, 22 giugno 2017 n. 3065; cfr. altresì Cons. Stato, V, 12 febbraio 2019, n. 1007, che rimette alla Corte di Giustizia dell’Unione europea la questione pregiudiziale se la Federazione Italiana Giuoco Calcio vada qualificata un organismo di diritto pubblico, dove si evidenziano gli elementi di intensa compenetrazione tra federazioni sportive e C.O.N.I. e l’attribuzione ex lege di compiti di valenza pubblicistica).
4.3. Il CONI a questi riguardi ripropone l’eccezione, già sollevata in primo grado, di inammissibilità del ricorso per mancato rispetto della pregiudizialità sportiva in relazione al provvedimento del Commissario straordinario che aveva delegato alla Commissione di disciplina la decisione sul reclamo del (omissis). L’interessato, in sostanza, non avrebbe potuto censurare per la prima volta dinanzi al giudice amministrativo quella delega, ma preliminarmente avrebbe dovuto impugnarlo dinanzi agli organi della giustizia sportiva.
4.4. L’eccezione è infondata: l’odierno thema decidendum è costituito dalla (in)capacità di assumere una carica sociale per ineleggibilità, incandidabilità e incompatibilità dell’eletto; di ciò dovrà decidere il giudice di primo grado — sebbene la domanda introduttiva di questo giudizio sia stata articolata come azione di impugnazione della decisione del Collegio di Garanzia dello Sport del 14 gennaio 2019, n. 1 e degli atti presupposti, tra cui il provvedimento del Commissario straordinario che aveva delegato alla Commissione di disciplina la decisione sul reclamo del (omissis) – e le ragioni per le quali si è fuori dall’area riservata alla giustizia sportiva sono state già esposte.
D’altronde, l’atto (che qui nega la convalida dell’elezione) assunto da un organo associativo all’esito di reclami interni previsti per gli associati dagli Statuti delle Federazioni (come, qui, l’atto adottato ai sensi del ratione temporis vigente art. 34, comma 4, dello Statuto dell’U.I.T.S.), appartiene alla procedura elettiva e non è, invece, esercizio di funzione giustiziale.
5. In conclusione, l’appello va accolto e la sentenza di primo grado riformata per essere il giudice amministrativo competente a conoscere l’odierna controversia.
Ai sensi dell’art. 105, comma 1, Cod. proc. amm., la causa va rimessa al giudice di primo grado.
6. La conclusione in rito della controversia giustifica la compensazione tra le parti in causa delle spese del doppio grado del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio n. 4077/2019, con rinvio al primo giudice.
Compensa tra tutte le parti in causa le spese del doppio grado del giudizio.
Ordina che la pubblica amministrazione dia esecuzione alla presente decisione.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 gennaio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini – Presidente
Raffaele Prosperi – Consigliere
Federico Di Matteo – Consigliere, Estensore
Stefano Fantini – Consigliere
Alberto Urso – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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