Contravvenzione di cui all’art. 659 comma primo cod.pen.

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 2 luglio 2019, n. 28570.

La massima estrapolata:

La contravvenzione di cui all’art. 659, comma primo, cod.pen., è reato solo eventualmente permanente, che si può consumare anche con un’unica condotta rumorosa o di schiamazzo recante, in determinate circostanze, un effettivo disturbo alle occupazioni o al riposo delle persone, in quanto non è necessaria la prova che il rumore abbia concretamente molestato una platea più diffusa di persone, essendo sufficiente l’idoneità del fatto a disturbare un numero indeterminato di individui. Sicchè la ricerca di una platea più diffusa di persone che possano essere state effettivamente disturbate riguarda l’intensità e la diffusività del danno, non la sussistenza del reato. Nella specie, i rumori avevano una potenzialità diffusa, ancorché solamente alcune persone se ne potessero lamentare in concreto, anche a prescindere comunque dal fatto che la sussistenza degli elementi costitutivi del reato era fornita dalla stessa costituzione di un comitato di cittadini della zona e dalle segnalazioni degli abitanti. 

Sentenza 2 luglio 2019, n. 28570

Data udienza 9 maggio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAPALORCIA Grazia – Presidente

Dott. DI NICOLA Vito – Consigliere

Dott. MICCOLI Grazia – Consigliere

Dott. CERRONI Claudio – rel. Consigliere

Dott. NOVIELLO Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1. (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
2. (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 03/07/2018 del Tribunale di Firenze;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. CERRONI Claudio;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CUOMO Luigi, che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 3 luglio 2018 il Tribunale di Firenze ha condannato (OMISSIS) e (OMISSIS) alla pena di Euro 309 di ammenda, altresi’ condannando gli imputati al risarcimento del danno ed al pagamento delle spese di lite in favore della parte civile costituita, per il reato di cui agli articoli 110, 81 cpv. c.p. e articolo 659 c.p., comma 1.
2. Avverso il predetto provvedimento sono stati proposti ricorsi per cassazione con quattro motivi di impugnazione.
2.1. Col primo motivo i ricorrenti hanno censurato la decisione del Tribunale circa la dichiarata tardivita’ della richiesta di oblazione a norma dell’articolo 162-bis c.p., atteso che detta istanza, gia’ presentata in corso di giudizio, avrebbe potuto essere ripresentata, come era avvenuto, in sede di discussione finale.
2.2. Col secondo motivo, invocando violazione di legge e vizio motivazionale, i ricorrenti hanno osservato che agli stessi era contestata tanto la diffusione di musica in mancanza di adeguata insonorizzazione quanto il mancato impedimento di assembramenti rumorosi di persone.
Cio’ posto, dalla compiuta istruttoria era emersa l’insussistenza del turbamento della tranquillita’ pubblica, atteso che dall’esterno del locale non si percepiva la musica, ne’ erano state riscontrate anomalie degne di rilievo, se non proprio per coloro che, come la denunciante, si trovavano immediatamente al di sopra del locale.
2.3. Col terzo motivo e’ stato rilevato che, quanto al contestato omesso impedimento degli schiamazzi all’esterno del locale, non vi era in merito alcun potere di vigilanza ne’ di intervento, per cui semmai avrebbero dovuto essere puntualmente individuati gli eventi idonei a scongiurare l’evento costituito, appunto, da tali intemperanze degli avventori.
2.4. Col quarto motivo infine e’ stata censurata la mancata motivazione in ordine alla quantificazione del danno ai fini della determinazione della provvisionale.
3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso dell’inammissibilita’ dei ricorsi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. I ricorsi sono inammissibili.
4.1. In relazione al primo motivo di censura, questa Corte condivide quanto e’ gia’ stato osservato, secondo cui l’istanza di oblazione gia’ respinta puo’ essere riproposta sino all’inizio della discussione finale del dibattimento di primo grado, sicche’ e’ tardiva la richiesta formulata dall’imputato successivamente alle conclusioni del pubblico ministero (Sez. 3, n. 43770 del 11/10/2012, Bua e altri, Rv. 253608).
Va infatti ribadito che la lettura dell’articolo 523 c.p.p., comma 1, e dell’intero articolo di legge rende evidente che la discussione inizia con l’intervento del Pubblico ministero e prosegue con l’intervento delle altre parti processuali. Del resto, la disposizione di legge nel prevedere che la richiesta di obiezione debba essere avanzata prima dell’inizio dell’intervento del Pubblico ministero risponde alla logica del sistema processuale e a ragioni di buona gestione dell’udienza e di economia processuale, non essendovi ragione di concludere che il Pubblico ministero al termine dell’istruzione dibattimentale possa prendere la parola e concludere nel merito senza avere contezza di una richiesta dell’imputato potenzialmente decisiva.
Ne’ puo’ negarsi la stessa evidente copertura costituzionale di cui all’articolo 111 Cost., comma 2, quanto alla durata ragionevole del processo.
4.2. Per quanto riguarda il secondo motivo di impugnazione, esso e’ palesemente infondato.
Contrariamente ai rilievi contenuti nei ricorsi, e’ stato dato conto degli accertamenti compiuti dagli operanti, che nel mese di novembre 2013 davano atto che l’esito delle rilevazioni, contro il limite previsto di 3 decibel, registravano un andamento da 6 a 8 decibel, con sorgenti rumorose individuate di pari livello tra la musica prodotta dal locale, il parlato degli avventori e quello proveniente dalle persone presenti davanti all’esercizio, e con un picco di 30,05 decibel alle 23,45. Mentre nei mesi successivi il rientro nei limiti avveniva indicativamente dopo il mese di maggio 2014, laddove il disturbo era stato nel frattempo arrecato dagli avventori nell’orario immediatamente successivo alla mezzanotte.
4.2.1. Cio’ posto, la contravvenzione di cui all’articolo 659 c.p., comma 1, e’ reato solo eventualmente permanente, che si puo’ consumare anche con un’unica condotta rumorosa o di schiamazzo recante, in determinate circostanze, un effettivo disturbo alle occupazioni o al riposo delle persone, in quanto non e’ necessaria la prova che il rumore abbia concretamente molestato una platea piu’ diffusa di persone, essendo sufficiente l’idoneita’ del fatto a disturbare un numero indeterminato di individui (Sez. 3, n. 8351 del 24/06/2014, dep. 2015, Calvarese, Rv. 262510). In definitiva, quindi, per l’integrazione del reato e’ sufficiente l’idoneita’ della condotta ad arrecare disturbo ad un numero indeterminato di persone, non occorrendo l’effettivo disturbo alle stesse (in specie e’ stata cosi’ ritenuta integrata la fattispecie a carico del proprietario di cani, tenuti in un giardino recintato, che non aveva impedito il loro continuo abbaiare, tale da arrecare disturbo al riposo delle persone dimoranti in abitazioni contigue)(Sez. 1, n. 7748 del 24/01/2012, Giacomasso e altro, Rv. 252075). Si’ che la ricerca di una platea piu’ diffusa di persone che possano essere state effettivamente disturbate riguarda l’intensita’ e la diffusivita’ del danno, non la sussistenza del reato (cosi’, in motivazione, Sez. 3, n. 8351 cit.).
In proposito la sentenza ha cosi’ correttamente osservato che i rumori avevano una potenzialita’ diffusa, ancorche’ solamente alcune persone se ne potessero lamentare in concreto, anche a prescindere comunque dal fatto che la sussistenza degli elementi costitutivi del reato era fornita dalla stessa costituzione di un comitato di cittadini della zona e dalle segnalazioni degli abitanti.
4.3. In ordine al terzo motivo di censura, vero e’ che risponde del reato di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone il gestore di un pubblico esercizio (in specie, un locale di intrattenimento) che non impedisca i continui schiamazzi provocati degli avventori in sosta davanti al locale anche nelle ore notturne, poiche’ al gestore e’ imposto l’obbligo giuridico di controllare, anche con ricorso allo ius excludendi o all’autorita’, che la frequenza del locale da parte degli utenti non sfoci in condotte contrastanti con le norme poste a tutela dell’ordine e della tranquillita’ pubblica (Sez. F, n. 34283 del 28/07/2015, Gallo, Rv. 264501; Sez. 1, n. 48122 del 03/12/2008, Baruffaldi, Rv. 242808). Infatti la qualita’ di titolare della gestione dell’esercizio pubblico comporta l’assunzione dell’obbligo giuridico di controllare che la frequentazione del locale da parte dei clienti non sfoci in condotte contrastanti con le norme concernenti la polizia di sicurezza (Sez. 1, n. 16686 del 28/03/2003, Massazza, Rv. 224802).
Non puo’ pertanto essere censurato il provvedimento, laddove in effetti e’ stato fatto carico ai gestori dell’esercizio commerciale di non avere fatto alcunche’ (o quantomeno nulla e’ stato neppure allegato in tal senso) per eliminare le fonti di disturbo, mai risultando ad es. una richiesta di intervento delle Autorita’ di polizia per limitare coloro che, in definitiva, cola’ si riunivano solamente per la presenza del locale pubblico. I cui gestori, per i quali la presenza degli avventori rappresentava ovviamente un guadagno, erano comunque tenuti appunto quantomeno in ossequio alla regola generalissima, in forza della quale cuius commoda, eius et incommoda.
4.4. In relazione infine all’ultimo motivo di censura, il provvedimento con il quale il giudice di merito, nel pronunciare condanna generica al risarcimento del danno, assegna alla parte civile una somma da imputarsi nella liquidazione definitiva non e’ impugnabile per cassazione, in quanto per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinato ad essere travolto dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento (Sez. 6, n. 50746 del 14/10/2014, G., Rv. 261536). In proposito, anzi, non e’ impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata (Sez. 3, n. 18663 del 27/01/2015, D.G., Rv. 263486).
4.4.1. L’omessa motivazione, quindi, non assume in specie i connotati del vizio rilevante in sede di legittimita’.
5. La complessiva manifesta infondatezza dei ricorsi ne comporta inevitabilmente la loro inammissibilita’.
Tenuto infine conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’”, alla declaratoria dell’inammissibilita’ medesima consegue, a norma dell’articolo 616 c.p.p. ed a carico di ciascun ricorrente, l’onere delle spese del procedimento nonche’ quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata in Euro 2.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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