La consumazione del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 28 gennaio 2019, n. 3966.

La massima estrapolata:

La consumazione del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, non si richiede che il diritto che si e’ inteso tutelare (nella specie, il pieno diritto di dominio non limitato da una dedotta servitu’) sia insussistente in concreto, poiche’ la legge punisce il modo antigiuridico con il quale tale diritto e’ stato fatto valere, astraendo dalla sua effettiva esistenza.
Il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni sussiste non solo quando la pretesa sia tale da far credere all’agente in buona fede di poterla legittimamente realizzare (apparentia juris), ma anche nel caso in cui si voglia far valere un diritto realmente esistente sempre che l’arbitrio personale si sostituisca al potere giurisdizionale statale

Sentenza 28 gennaio 2019, n. 3966

Data udienza 21 settembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CERVADORO Mirella – Presidente

Dott. DI NICOLA Vito – rel. Consigliere

Dott. ACETO Aldo – Consigliere

Dott. REYNAUD Gianni F. – Consigliere

Dott. MENGONI Enrico – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 13-11-2017 della Corte di appello di Messina;
sentita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Vito Di Nicola;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Pietro Gaeta che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso;
sentito per la parte civile l’avv. (OMISSIS) che ha concluso per il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese del grado sostenute dalla parte civile.

RITENUTO IN FATTO

1. E’ impugnata la sentenza con la quale la Corte di appello di Messina, in riforma della sentenza emessa dal tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto ed appellata dalla parte privata, ha condannato, per quanto qui interessa ed ai solo effetti civili, (OMISSIS) al risarcimento dei danni cagionati alla parte civile, da liquidarsi in separata sede, in relazione i reati di esercizio arbitrario delle prove ragioni e di violazione paesaggistica per i quali l’imputato era stato assolto dal tribunale per insussistenza dei fatti.
All’imputato si contestava il reato (capo a) previsto e punito dall’articolo 392 c.p., poiche’, potendo ricorrere al giudice, al fine di esercitare il preteso diritto di proprieta’ sul fondo sito in (OMISSIS), ed escludere la servitu’ di passaggio a favore di (OMISSIS), si faceva arbitrariamente ragione da se medesimo con violenza sulle cose, nell’installazione di un cancello in ferro, chiuso con lucchetto che impediva l’esercizio della servitu’ di passaggio nonche’ del reato (capo b) previsto e punito dal Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, articolo 181, comma 1, perche’ installava in localita’ “(OMISSIS)” dell'(OMISSIS) un cancello in ferro della lunghezza di metri 3,10, vincolato da pilastri in pietra e cemento, aventi lunghezza di metri 3,10, vincolato da due pilastri in pietra e cemento, aventi altezza pari a circa metri 1,70 e ai lati una porzione di rete metallica con lunghezza di metri 10,50 a sinistra e 9,50 a destra, rispetto al cancello, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico e dichiarata di notevole interesse pubblico, senza avere previamente ottenuto il nullaosta della Soprintendenza competente.
2. Per l’annullamento dell’impugnata sentenza il ricorrente, tramite il difensore, articola un unico motivo di gravame, di seguito enunciato, ai sensi dell’articolo 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
Con esso lamenta l’erronea applicazione della legge penale in relazione all’articolo 392 c.p. (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), sul rilievo che anche la sentenza d’appello da’ atto della esistenza di due distinti passaggi che conducono all’abitazione della parte civile e la stessa sentenza riporta pedissequamente quanto affermato nella pronunzia assolutoria resa dal Tribunale, affermando tuttavia che, “incontestata la posizione del cancello con un lucchetto da parte dell’imputato ed incontestato il passaggio negli anni della parte civile da tale strada affermato in sentenza, la circostanza che la parte civile potesse accedere da altro passaggio per raggiungere il proprio terreno e che la medesima utilizzasse la strada carrabile realizzata dallo zio (OMISSIS) per mera comodita’ o per cortesia dello stesso, nonche’ la circostanza che la medesima non abbia dimostrato la titolarita’ di una servitu’ di passaggio, piuttosto che escludere la prospettazione accusatoria ne costituiscono l’essenza”.
Obietta il ricorrente che il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni postula la sussistenza fra le parti di un conflitto, sia esso giudiziale o meramente di fatto, con la conseguenza che, una volta acclarato che il passaggio in questione era esercitato a titolo di cortesia, alcun conflitto esisteva tra le parti ne’ vi era la prova che ad un determinato momento detto conflitto fosse insorto.
Piu’ esattamente, il conflitto era si’ insorto, ma “postumo”, cioe’ dopo l’apposizione del cancello che costituiva legittimo esercizio del diritto di proprieta’, come statuito nella sentenza di primo grado e confermato, relativamente al procedimento civile, nella stessa sentenza impugnata ove si afferma che in data 2 agosto 2013 la parte civile aveva proposto innanzi al tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto ricorso per reintegra nel possesso della vantata servitu’, conseguendo da cio’ l’annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ infondato.
2. Per una migliore intelligenza della vicenda processuale, va ricordato che, con sentenza emessa in data 22 febbraio 2016, il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto aveva assolto gli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) dal reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni perche’ il fatto non sussiste, oltre che, con la medesima formula, dalla contravvenzione di cui all’articolo 110 c.p. e Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, articolo 181, comma 1, in relazione alla quale non aveva ammesso la costituzione di parte civile.
2.1. Il medesimo Tribunale, esaminate le risultanze dell’istruttoria dibattimentale, aveva ritenuto che, sulla scorta delle stesse, non fosse possibile pervenire all’affermazione della penale responsabilita’ degli imputati, difettando gli elementi costitutivi dei reati in contestazione.
In particolare, con riferimento al reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni ed alla posizione dell’imputato Giorgio (OMISSIS), aveva affermato che dall’istruttoria dibattimentale era emerso che costui aveva apposto un cancello sulla strada carrabile dallo stesso realizzata, di cui la denunciante aveva usufruito nel corso degli anni “per mera comodita’” (o cortesia), stante la mancata opposizione da parte dello zio e che non risultava provata l’esistenza della servitu’ di passaggio sulla stradina carrabile in questione invocata dalla parte civile, non risultando la stessa indicata nell’atto di acquisto del proprio immobile, ne’ in altro modo dimostrata. Aveva affermato ancora il Tribunale che dalle deposizioni dei testi era emersa, al contrario, in capo alla stessa, l’esistenza di una servitu’ di passaggio pedonale, esercitata tramite il cancelletto in ferro largo circa un metro, in ordine alla quale non risultava che l’imputato avesse mai arrecato molestia al diritto di transito della nipote.
2.2. Cosi’ ripercorso il contenuto della sentenza di primo grado, la Corte del merito ha precisato come, fermo il contenuto delle prove esaminate dal Tribunale e non ricorrendo pertanto i presupposti per la rinnovazione delle prove dichiarative nel giudizio d’appello, fosse errato l’approdo cui era giunto il Tribunale nel negare, nel caso di specie, la configurabilita’ del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, sul rilievo che, incontestata l’apposizione del cancello con lucchetto ad opera dell’imputato ed incontestato il passaggio negli anni della parte civile da tale strada, affermati nella sentenza di primo grado, la circostanza che la parte civile potesse accedere da altro passaggio pedonale per raggiungere il proprio terreno e che la medesima utilizzasse la strada carrabile realizzata dallo zio, (OMISSIS), per “mera comodita’” o per “cortesia” dello stesso nonche’ la circostanza che la medesima non avesse dimostrato la titolarita’ di una servitu’ di passaggio, piuttosto che escludere la prospettazione accusatoria ne costituivano l’essenza.
Secondo la Corte d’appello si trattava infatti di circostanze che dimostravano come l’utilizzo di quel passaggio carrabile anche da parte della nipote, (OMISSIS), fosse diventato oggetto di contestazione e come quindi l’imputato mediante l’apposizione del cancello e del lucchetto avesse inteso impedire alla parte civile di esercitare una pretesa servitu’ di passaggio che egli non le riconosceva. Su tale certo e incontestato presupposto di fatto, non spettava, pertanto, al giudice penale valutare se il diritto vantato dalla parte civile fosse o meno fondato, essendo sufficiente dimostrare, come ritenuto accertato dallo stesso Tribunale nel caso in esame, che sulla titolarita’ di quel diritto fosse nata una contestazione tra le parti e che una di esse, piuttosto che rivolgersi alla autorita’ giudiziaria per far valere le proprie ragioni, nel caso di specie con una azione di negazione di servitu’, si era fatta ragione da se’, con la minaccia o, come nel caso in esame, con la violenza.
A supporto di cio’, rilevava la Corte d’appello che, in relazione alla condotta accertata in data agosto 2013, la parte civile aveva proposto ricorso davanti al Tribunale Civile di Barcellona P.G. lamentando lo spoglio della servitu’ di passaggio in esame e chiedendo la reintegra nel possesso.
3. Sulla base di tale ratio decidendi, la doglianza del ricorrente non e’ fondata.
Premesso che, in punto di fatto, risulta pacifica la condotta posta in essere dal ricorrente (installazione di un cancello in ferro, chiuso con lucchetto che impediva il passaggio della controparte), in punto di diritto, appare del pari incontrovertibile che siffatto comportamento realizzi appieno il contestato reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose (ex articolo 392 c.p.), dato che, come correttamente ritenuto dalla Corte d’appello, il disconoscimento, da parte del ricorrente, di un diritto di passaggio legittimava in caso di inottemperanza spontanea all’obbligo di astenersi dal proseguire in una condotta non piu’ tollerata, come ritenuto per il passato, dal proprietario neppure a titolo di cortesia – l’azione di negatoria della servitu’, ma non la condotta violenta sulla cosa (esercitata con l’installazione di un cancello in ferro, chiuso con lucchetto, impeditivo del passaggio), cosi’ contravvenendo alla ratio legis della norma penale contestata, che richiede che le controversie tra privati siano decise dall’autorita’ giudiziaria e non vengano risolte tramite l’esercizio di attivita’ violenta da parte di uno degli antagonisti.
Infatti, e’ stato affermato, in seno alla giurisprudenza di legittimita’, il principio di diritto, al quale occorre dare continuita’, secondo il quale, per la consumazione del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, non si richiede che il diritto che si e’ inteso tutelare (nella specie, il pieno diritto di dominio non limitato da una dedotta servitu’) sia insussistente in concreto, poiche’ la legge punisce il modo antigiuridico con il quale tale diritto e’ stato fatto valere, astraendo dalla sua effettiva esistenza o meno (Sez. 6, n. 60 del 02/10/1989, dep. 1990, De Francesco, Rv. 182953).
Infatti, secondo un non recente ma ancora condivisibile orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimita’, il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni sussiste non solo quando la pretesa sia tale da far credere all’agente in buona fede di poterla legittimamente realizzare (apparentia juris), ma anche nel caso in cui si voglia far valere un diritto realmente esistente sempre che l’arbitrio personale si sostituisca al potere giurisdizionale statale (Sez. 3, n. 1030 del 26/04/1974, dep. 1975, Ciucci, Rv. 129187).
4. Sulla base delle precedenti considerazioni il ricorso deve essere rigettato e cio’ comporta l’onere per il ricorrente, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento nonche’ di rifondere alla parte civile e spese processuali sostenute nel grado e liquidate come da pedissequo dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonche’ alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile (OMISSIS), che liquida in Euro 3510,00 oltre spese generali al 15% CPA e IVA.

Avv. Renato D’Isa

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