Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 5 febbraio 2018, n. 744. L’utilizzazione per la firma digitale di un formato diverso da quello prescritto dalle norme tecniche costituisce difformità che, in applicazione dell’art. 156, comma 3, c.p.c., non si traduce in nullità

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5. L’Ufficio elettorale provinciale di Lodi (dopo aver precisato con nota prot. 01.14 del 16 gennaio 2017 che “La deroga di cui al punto 5 del Decreto…, in quanto prevista da organo privo della necessaria competenza, si si ritiene che non possa trovare applicazione”) in data 22 gennaio 2017 ha “ricusata per ineleggibilità” la candidatura del sindaco di Tavazzano con Villavesco, ammettendo solo quella del sindaco di Codogno.

6. Da qui l’impugnazione del provvedimento (e della nota precedente) dinanzi al TAR della Lombardia, che, con la sentenza appellata (III, n. 253/2018) – sottolineando (mediante richiamo di precedenti) che quella prevista dall’art. 1, comma 60, della legge 56/2014, non è una causa di incandidabilità (oggetto della valutazione dell’Ufficio elettorale in esito alla presentazione delle candidature, ex art. 1, comma 61, l. cit.) bensì una causa di ineleggibilità, che non preclude la partecipazione alle elezioni ma solo la nomina o il mantenimento della carica se successiva, e la cui valutazione è comunque rimessa alla fase di convalida degli eletti di fronte al consiglio provinciale del quale il presidente fa parte, ai sensi dell’art. 1, comma 67. l. cit. (ed all’eventuale successivo sindacato del giudice ordinario) – ha accolto il ricorso, ammettendo il ricorrente alle elezioni.

7. Nell’appello, il sindaco di Codogno prospetta che:

(a) – la sentenza non tiene conto della specialità della legge 56/2014, che ha ridefinito l’assetto delle Province come enti di secondo grado, disciplinando un nuovo procedimento elettorale con nuovi requisiti in capo a chi intenda candidarsi; la tesi accolta dal TAR è smentita dalla circolare n. 32/2014 con cui, all’indomani dell’entrata in vigore della legge, il Ministero dell’interno ha chiarito (punto “7) esame delle candidature”) che “in sede di esame e ammissione delle liste e della candidature a presidente, l’ufficio elettorale deve svolgere, in estrema sintesi, le seguenti operazioni:… verificare che i candidati a presidente della provincia siano o presidenti/consiglieri provinciali uscenti o sindaci di un comune della provincia con mandato in scadenza non prima di diciotto mesi dalla data delle elezioni”, precisando anche che “le candidature di persone che non sono eleggibili per la relativa consultazione devono essere ricusate dall’ufficio”;

– i precedenti richiamati dal TAR sono relativi all’ordinario procedimento elettorale per i comuni, e comunque indicano quale discrimine la previsione di un potere di controllo in capo all’ufficio elettorale circa la sussistenza o meno di una specifica causa di incandidabilità e/o ineleggibilità, che nella specie sussiste;

– il presupposto della sussistenza di una scadenza di mandato superiore ai diciotto mesi, pur essendo indicato quale requisito di eleggibilità, in realtà comporta una vera e propria causa di incandidabilità incidendo non già sulla possibilità di esercitare la carica ma bensì sulla possibilità stessa di adirla o mantenerla con conseguente esclusione del diritto stesso di elettorato passivo; la differenza tra incandidabilità e ineleggibilità risiede nel fatto che le seconde possono essere rimosse dal candidato il quale risulti eletto, mentre le prime riguardano circostanze che esulano dalla sfera di competenza del candidato e che non potrebbero da quest’ultimo essere in alcun modo rimosse (come avviene per la durata di un mandato elettorale);

(b) – nel ricorso introduttivo non era contenuta alcuna prospettazione del difetto di potere dell’ufficio elettorale in ordine all’ammissione delle candidature, ed anzi nel decreto di indizione dei comizi elettorali adottato dall’appellato l’esistenza del potere era implicita nella precisazione sull’ammissione dei sindaci con mandato residuo inferiore ai diciotto mesi;

– vi è stata pertanto ultrapetizione in violazione dell’art. 112 c.p.c..

Ripropone poi le argomentazioni volte a confutare i due motivi di impugnazione dedotti in primo grado dal sindaco di Tavazzano.

8. Quest’ultimo si è costituito in giudizio e ha controdedotto, riproponendo i motivi di impugnazione non esaminati dal TAR, incentrati sulla violazione del punto 5 del decreto di indizione dei comizi elettorali e sulla domanda incidentale di costituzionalità dell’art. 1, comma 60, della legge 56/2014, per violazione degli artt. 1, 2, 5, 49, 117, comma 1, lett. p), Cost.

9. Si è altresì costituito in giudizio l’UTG di Lodi, con memoria di stile.

10. Con istanza in data 2 febbraio 2018, l’appellante ha chiesto la rimessione in termini per errore scusabile, avendo effettuato tempestivamente il deposito dell’appello ex art. 136, comma 2, cod. proc. amm., ma presso un indirizzo PEC del Segretariato Generale di questo Consiglio diverso da quello deputato al ricevimento dei ricorsi.

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