Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 30 gennaio 2018, n. 639. Se la ratio dell’art. 5, comma 1, D.Lgs. 109/2012, consente di dare alla disposizione un’interpretazione elastica, non può trascurarsi l’opposta esigenza di limitare gli abusi

Se la ratio dell’art. 5, comma 1, D.Lgs. 109/2012, consente di dare alla disposizione un’interpretazione elastica, non può trascurarsi l’opposta esigenza di limitare gli abusi, statisticamente frequenti in tutte le procedure di sanatoria, e di scongiurare il rischio che un’eccessiva flessibilità sui requisiti di accesso alla sanatoria si traduca in un moltiplicatore dei flussi di immigrazione irregolare producendo quindi un pericoloso aggiramento della disciplina ordinaria dell’ingresso e soggiorno sul territorio nazionale.

Sentenza 30 gennaio 2018, n. 639
Data udienza 18 gennaio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Terza

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6724 del 2015, proposto da:

Ministero dell’Interno, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via (…);

contro

Mo. Na., non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. LOMBARDIA – SEZ. STACCATA DI BRESCIA, SEZIONE II, n. 00586/2015, resa tra le parti, concernente diniego emersione dal lavoro irregolare;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 gennaio 2018 il Cons. Pierfrancesco Ungari e udito per il Ministero appellante l’avvocato dello Stato Ti. Va.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. In favore dell’odierno appellato (il quale afferma di essere stato titolare di un permesso di soggiorno fin dal 1997, di non aver potuto ottenere, da ultimo, il rinnovo e di essersi trattenuto in Italia irregolarmente) è stata presentata istanza di emersione ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. 109/2012.

2. Con provvedimento in data 16 ottobre 2014, la Prefettura di Brescia ha negato l’emersione, ritenendo non provato il presupposto della presenza in Italia entro la data del 31 dicembre 2011 “attestata da documentazione proveniente da organismi pubblici”.

3. Il diniego è stato impugnato dinanzi al TAR di Brescia, che, con la sentenza appellata (II, n. 586/2015), ha accolto il ricorso, ritenendo utile a dimostrare il presupposto – tra i vari documenti prodotti dal ricorrente, soltanto – l’iscrizione all’Associazione Mutuo Aiuto tra Immigrati Residenti in Italia datata 14 luglio 2011.

4. Il TAR, dopo aver sottolineato che detta associazione, aderente alla rete So., si propone lo scopo di “offrire prodotti e servizi adeguati alle esigenze degli immigrati, per favorire una loro migliore integrazione e coesione sociale con gli abitanti autoctoni” e risulta, altresì, abilitata al rilascio di una ricevuta per lo scarico nella dichiarazione dei redditi delle somme versate a titolo di quota associativa, ha concluso che essa deve ritenersi qualificabile, lato sensu, come organismo pubblico, esercente un’attività comunque riconducibile al concetto di “accoglienza e assistenza” agli stranieri (secondo la nozione delineata nel parere dell’Avvocatura generale dello Stato del 4 ottobre 2012 prot. 382122).

5. Appella il Ministero dell’interno, contestando detta qualificazione giuridica e ribadendo la mancanza del presupposto ai fini della positiva definizione della procedura di emersione.

6. L’appellato non si è costituito in giudizio.

7. Con ordinanza n. 203/2016, questa Sezione ha sospeso l’esecutività della sentenza, rimarcando che la prova della presenza in Italia dello straniero non può considerarsi conforme ai criteri, già estensivi, di cui al suddetto parere, né ai principi elaborati dalla giurisprudenza.

8. L’appello del Ministero deve essere accolto.

Secondo l’interpretazione prevalente nella giurisprudenza di questo Consiglio (coerente con la ratio della direttiva 2009/52/CE, di cui la disciplina nazionale in questione costituisce recepimento, e che all’articolo 13 dispone che gli Stati membri provvedano affinché siano disponibili meccanismi efficaci per consentire ai cittadini di Paesi terzi la regolarizzazione della loro posizione di lavoratori invitando gli Stati membri a un’applicazione estensiva), ai fini dell’applicazione dell’art. 5, comma 1, del d.lgs. 109/2012, per “organismi pubblici” devono intendersi le strutture organizzate, ovvero, le persone fisiche o giuridiche che svolgono funzioni, attività, servizi pubblici o di interesse pubblico, cioè “i soggetti il cui operato è inquadrabile lato sensu nella connotazione di funzione pubblicistica e non meramente privatistica” (cfr. Cons. Stato I, n. 1275/2015; III, n. 4933/2016, ed altre ivi richiamate).

In questa prospettiva, è stata ritenuta insufficiente a dimostrare il presupposto dell’emersione l’attestazione di una associazione di volontariato (cfr. Cons. Stato, III, n. 3694/2016) ovvero l’iscrizione ad una associazione sindacale per la tutela dei migranti (cfr. Cons. Stato, III, n. 1614/2016).

In altri termini, il mero riconoscimento della rispondenza all’interesse pubblico dell’attività svolta da un soggetto privato, o anche l’esistenza di formali atti di abilitazione a svolgere detta attività, non sono sufficienti alla sussistenza della predetta connotazione pubblicistica, seppur intesa secondo un’accezione ampia, in quanto mancherebbe comunque quella particolare attendibilità della documentazione legata, se non alla soggettività pubblica dell’ente, quanto meno alla vigilanza esercitata sulla sua attività da amministrazioni pubbliche ed alle connesse garanzie e responsabilità.

Il parere dell’Avvocatura dello Stato prot. 382122, richiamato dal TAR, non conduce a diverse conclusioni.

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