Consiglio di Stato, sezione adunanza plenaria, sentenza 23 febbraio 2018, n. 1. La presenza di un’unica condotta responsabile, che fa sorgere due obbligazioni da atto illecito in capo al medesimo soggetto derivanti da titoli diversi aventi la medesima finalità compensativa del pregiudizio subito dallo stesso bene giuridico protetto, determina la costituzione di un rapporto obbligatorio sostanzialmente unitario

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4.- La prima categoria è quella che ricomprende fattispecie che si caratterizzano per la presenza di un solo soggetto autore della condotta responsabile e obbligato ad effettuare una prestazione derivante da un unico titolo.

Si tratta di casi in cui la stessa condotta, ricorrendo i presupposti previsti per le diverse forme di responsabilità, può cagionare un danno e contestualmente un vantaggio nella sfera giuridica del danneggiato.

Tali fattispecie contemplano “rapporti obbligatori bilaterali” in cui compaiono, eventualmente in forma complessa, una sola parte responsabile ed obbligata ed una sola parte danneggiata.

La giurisprudenza e la dottrina non hanno mai dubitato della necessità di valutare l’entità dei vantaggi conseguiti dal danneggiato ai fini della determinazione effettiva del danno.

Sul piano strutturale, tale risultato si raggiunge accertando che la causa giustificativa del vantaggio sia rappresentata dalla commissione dell’illecito, con conseguente applicazione della regola della causalità giuridica che, come esposto, costituisce, secondo la prevalente ricostruzione, una modalità di determinazione del danno subito. Ne consegue che nella fase di valutazione delle conseguenze economiche negative, dirette ed immediate, dell’illecito occorre considerare anche il lucro eventualmente acquisito al patrimonio della parte lesa che, in quanto tale, riduce l’area dei danni effettivamente cagionati dalla condotta del responsabile.

Sul piano funzionale, l’istituto in esame impedisce che il danneggiante sia costretto a corrispondere una somma superiore a quella necessaria per reintegrare il patrimonio leso.

In questa prospettiva, la compensatio lucri cum damno non ha una sua autonomia dommatica ma rappresenta una mera espressione descrittiva di una delle possibili modalità di impiego del meccanismo causale nella fase di determinazione dei pregiudizi.

5.- La seconda categoria è quella che ricomprende fattispecie che si caratterizzano per la presenza di un solo soggetto autore della condotta responsabile e di due soggetti obbligati sulla base di titoli differenti.

Si tratta di fattispecie in cui il sistema prevede, in forme diversificate, accanto all’obbligo di risarcire il danno derivante da titolo illecito (2043 o 1218 cod. civ.) anche l’obbligo di corrispondere una indennità o somma a vario titolo.

In primo luogo, possono venire in rilievo forme di assicurazione privata contro i danni derivanti da fonte contrattuale che obbligano l’assicuratore, verso pagamento di un premio, a rivalere l’assicurato, entro i limiti convenuti, del danno ad esso prodotto da un sinistro in attuazione del cd. principio indennitario (artt. 1882 cod. civ. e ss.).

In secondo luogo, possono venire in rilievo forme di assicurazione sociale disciplinate da leggi speciali (art. 1886 cod. civ.), che sono, a loro volta, riconducibili ad istituti differenti, quali, da un lato, quelli che apprestano ai lavoratori, nell’ambito di particolari sistemi contributivi, una tutela contro gli infortuni e le malattie professionali ovvero una tutela previdenziale in caso di invalidità (e altri eventi), dall’altro, quelli che assicurano ad ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto di mezzi necessari per vivere una tutela assistenziale, mediante, ad esempio, la corresponsione di un’indennità di accompagnamento (cfr. art. 38 Cost.).

Infine, possono venire in rilievo singole previsioni di legge che contemplano l’indennità da corrispondere per finalità solidaristiche a favore, ad esempio, di familiari di vittime cadute in servizio ovvero di vittime del terrorismo.

Le descritte fattispecie si caratterizzano per la presenza di “rapporti giuridici trilaterali” ovvero, più precisamente, di duplici rapporti bilaterali: i) la relazione tra parte responsabile obbligata a titolo di illecito e parte danneggiata; ii) la relazione tra quest’ultima e altra parte obbligata a titolo diverso a seconda della vicenda che viene in rilievo.

Tali situazioni rendono più complessa la ricostruzione dei modi di operatività della compensatio.

Non è questa la sede per proporre una possibile soluzione, in quanto si tratta di questioni che, con le ordinanze sopra indicate, sono state rimesse all’esame delle Sezioni unite della Cassazione. E’, pertanto, sufficiente riportare, in sintesi, come già fatto nell’ordinanza di rimessione alla Plenaria, i due orientamenti che si sono formati nell’ambito della giurisprudenza della Cassazione, ai soli fini di porre in rilievo la differenza rispetto alla vicenda in esame.

Un primo e maggioritario orientamento ritiene che, per le fattispecie rientranti in questa categoria, non sia applicabile la regola della compensatio ma quella del cumulo.

In particolare, sul piano strutturale, si afferma come la diversità dei titoli delle obbligazioni e dei relativi rapporti giuridici sottostanti costituisca una idonea causa giustificativa delle differenti attribuzioni patrimoniali e, conseguentemente, la condotta illecita rappresenta non la “causa” dell’indennità a vario titolo corrisposta ma la mera “occasione” di essa. Non si può, pertanto, applicare la regola della causalità giuridica ai fini del computo delle indennità nella fase di determinazione effettiva del danno.

Sul piano funzionale, non vi sono rischi di sovracompensazioni economiche proprio perché la diversità delle ragioni giustificative delle attribuzioni patrimoniali impedisce di assegnare valenza punitiva al risarcimento del danno.

Un secondo orientamento, fatto proprio dalle ordinanze di rimessione alle Sezioni unite, ritiene, invece, che anche in questi casi debba applicarsi la regola della compensatio.

In particolare, sul piano strutturale, si afferma come la diversità dei titoli non giustifichi l’esito cui perviene l’opposto indirizzo interpretativo in quanto ciò che rileva è che la condotta (e non il titolo) sia unica e che essa costituisca la “causa” sia del danno sia dell’attribuzione di somme finalizzate a reintegrare il patrimonio leso. In particolare, sul piano della causalità giuridica, si sottolinea, non è «corretto interpretare l’art. 1223 cod. civ. in modo asimmetrico e ritenere che “il rapporto fra illecito ed evento può anche non essere diretto ed immediato” quando si tratta di accertare il danno, ed esigere al contrario che lo sia, quando si tratta di accertare il vantaggio per avventura originato dal medesimo fatto illecito» (Cass. civ., sez. III, n. 15534 del 2017, cit.).

Sul piano funzionale, ammettendo il cumulo e non la compensatio, si assegna una funzione sovracompensativa al risarcimento del danno. Anche le indennità sopra indicate sono, infatti, riconducibili eziologicamente al fatto illecito e dunque hanno una finalità compensativa del pregiudizio subito dalla parte lesa.

Questi aspetti sono resi ancora più complessi dal meccanismo della surrogazione prevista dall’art. 1916 cod. civ. e dalla legislazione speciale. In particolare, tale articolo dispone che «l’assicuratore che ha pagato l’indennità è surrogato, fino alla concorrenza dell’ammontare di essa, nei diritti dell’assicurato verso i terzi responsabili».

Il danneggiante, infatti, si sottolinea nelle ordinanze di rimessione, potrebbe essere costretto a corrispondere la medesima somma sia al danneggiato sia, a seguito della successione nel rapporto obbligatorio, al soggetto o ente che ha corrisposto l’indennità alla parte lesa. Si verrebbe così ad attribuire – sul presupposto che i benefici collaterali corrisposti non abbiano valenza autonoma giustificativa delle relative attribuzioni patrimoniali – una funzione punitiva al risarcimento del danno in mancanza di una espressa previsione di legge che lo consenta. L’unica possibilità per evitare questo risultato sarebbe quello di ritenere che non operi la surrogazione. Ma tale esito, sottolinea la Cassazione, sarebbe contraddittorio in presenza di norme imperative che la contemplano e che non potrebbero essere derogate con atto di autonomia delle parti. Sotto altro aspetto, nelle ordinanze di rimessione si pone in evidenza, con implicazioni sulla funzione deterrente della responsabilità, che «l’istituto della surrogazione e la stima del danno da fatto illecito non sono legati da alcun nesso di implicazione bilaterale»: infatti, «se le conseguenze del fatto illecito sono state eliminate dall’intervento d’un assicuratore (privato o sociale che sia), ovvero da un qualsiasi ente pubblico o privato, il pagamento da tale soggetto compiuto, se ha avuto per effetto o per scopo quello di eliminare le conseguenze dannose, andrà sempre detratto dal credito risarcitorio, a nulla rilevando nè che l’ente pagatore non abbia diritto alla surrogazione, nè che, avendolo, vi abbia rinunciato».

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