Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 17 febbraio 2017, n. 731

L’affidamento del servizio di somministrazione di bevande in un istituto scolastico è disciplinato dall’articolo 34 del decreto interministeriale n. 44/2001, che stabilisce che “Le istituzioni scolastiche sono tenute ad osservare le norme dell’Unione Europea in materia di appalto e/o forniture di beni e servizi”. La sentenza ha puntualizzato che non è possibile, neppure per le procedure semplificate, derogare ai princìpi generali, stabiliti nell’art. 2 del d.lgs.163/2006

Consiglio di Stato

sezione VI

sentenza 17 febbraio 2017, n. 731

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Sesta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8749 del 2012, proposto da:

Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, Istituto di Istruzione Superiore “Ar. Ge.” di Carrara, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale Dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

Su. Srl, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Ivan Ma., con domicilio eletto presso lo studio St. Le. in Roma, via (…);

nei confronti di

Sn. & Dr. S.a.s. di Bo. Gi. & C., non costituita in giudizio;

Iv. It. S.p.a., non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. TOSCANA – FIRENZE: SEZIONE II n. 01680/2012, resa tra le parti, concernente aggiudicazione gara per l’affidamento del servizio di somministrazione bevande tramite distributori automatici.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Su. Srl;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 febbraio 2017 il Cons. Francesco Mele e uditi per le parti gli avvocati dello Stato Ti., e Vi. Ch. per delega di Ma..;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con sentenza n. 1680/2012 del 19-10-2012 il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana accoglieva il ricorso proposto da Su. s.r.l. inteso ad ottenere l’annullamento degli atti e dei provvedimenti con cui l’Istituto “Ar. Ge.” aveva indetto, disciplinato, svolto ed aggiudicato la gara per l’affidamento del servizio di somministrazione di bevande tramite distributori automatici, nonché la condanna al risarcimento dei danni.

In particolare, il giudice di primo grado annullava gli atti dell’intera procedura e pronunziava condanna per danno da perdita di chance e per danno emergente riferito ai costi di partecipazione alla gara.

La prefata sentenza esponeva in fatto quanto segue.

“Con lettera di invito trasmessa il 25 agosto 2005 l’Istituto di Istruzione Superiore “Ar. Ge.” di Carrara indiceva una gara per l’affidamento del servizio di somministrazione di bevande tramite distributori automatici da aggiudicarsi in base al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. In proposito la lettera di invito stabiliva l’assegnazione di massimo 50 punti per la valutazione delle caratteristiche qualitative dei prodotti offerti; massimo 30 punti per il contributo economico offerto alla scuola; massimo 20 punti per le modalità organizzative (tempi e modi della fornitura). La lettera di invito stabiliva, peraltro, che l’offerta economica dovesse essere inclusa nella medesima busta contenente gli elementi qualitativi dell’offerta. Nonostante la richiesta di presenziare all’apertura delle buste, la Commissione riteneva di procedervi in seduta riservata il 17 ottobre 2011. Il successivo 24 ottobre Su. riceveva comunicazione dell’aggiudicazione della gara in favore della ditta Sn. and Dr. di G. Bonotti & C., con la quale veniva poi stipulato il contratto. Avverso gli atti suddetti proponeva ricorso la società in intestazione chiedendone l’annullamento, oltre che il risarcimento del danno…”.

Avverso la sentenza di primo grado il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca e l’Istituto di Istruzione Superiore “Ar. Ge.” hanno proposto appello dinanzi a questo Consiglio di Stato, deducendone l’erroneità per i molteplici profili che saranno di seguito illustrati e chiedendone l’annullamento.

Si è costituita in giudizio la Su. s.p.a., deducendo l’inammissibilità e l’infondatezza dell’appello e chiedendone il rigetto.

Ha riproposto, altresì, il secondo motivo del ricorso di primo grado, specificando che “si ripropone il secondo motivo del ricorso di primo grado sul quale la sentenza del TAR Toscana ex adverso appellata non si è espressa perché assorbito dalla pronuncia di accoglimento del terzo e quarto motivo di impugnazione (il primo motivo di ricorso era stato rinunciato nel corso del giudizio di primo grado)”.

Con esso ha lamentato la violazione e la falsa applicazione della lex specialis della procedura, rilevando che la sua offerta era certamente la migliore per ragioni non incidenti nel merito delle scelte operate dalla commissione, ma sulla base di meri calcoli matematici, onde avrebbe dovuto essere dichiarata aggiudicataria della gara.

In corso di giudizio la Su. s.p.a. produceva memoria illustrativa e depositava documentazione.

La causa veniva discussa e trattenuta per la decisione all’udienza del 9-2-2017.

DIRITTO

Con il primo motivo di appello il M.I.U.R. e l’Istituto “Ar. Ge.” censurano la sentenza di primo grado nella parte in cui ha riscontrato la violazione del principio secondo il quale la Commissione non può conoscere e valutare i profili economici dell’offerta se non dopo aver esaminato e attribuito i punteggi relativi all’offerta tecnica.

Deducono che l’Amministrazione ha posto in essere una procedura conforme al D.I. 44/2001, concernente le istruzioni generali sulla gestione amministrativo-contabile delle istituzioni scolastiche.

Si è, pertanto, trattato di una procedura informale, disciplinata dal predetto decreto, assimilabile all’ipotesi di cottimo fiduciario di cui all’articolo 125 del d.lgs. n. 163 del 2006.

Sottolineano che in tale procedura è possibile un abbassamento del rigore formale della procedura di gara, nella misura in cui devono essere rispettati i soli principi dei quali le regole formali costituiscono esplicitazione, non essendo esigibile l’osservanza di tutte le regole tipiche dell’evidenza pubblica comunitaria.

Pertanto, non sarebbe indispensabile la netta e rigorosa separazione tra valutazione del profilo tecnico e del profilo economico delle offerte presentate.

Il D.I. 44/2001 dispone il richiamo alla normativa degli appalti solo quanto ai suoi principi.

La censura non è meritevole di favorevole considerazione.

La gravata sentenza così motiva sul punto.

“Con il terzo motivo la ricorrente ha dedotto l’illegittimità della lettera di invito e degli esiti del procedimento per violazione del principio di segretezza delle offerte, di imparzialità e di trasparenza. La tesi deve essere condivisa. In proposito la giurisprudenza è ferma nel ritenere l’illegittimità della lex specialis di gara ove preveda l’inserimento, nell’ambito di un’unica busta, tanto dell’offerta tecnico-funzionale, quanto di quella economica, atteso che in tal modo viene a determinarsi una inammissibile commistione tra gli elementi tecnici e quelli economici dell’offerta stessa. Infatti, nel caso di aggiudicazione secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, le offerte economiche devono restare segrete per evitare che gli elementi di valutazione aventi carattere automatico, quali il prezzo, possano influenzare la valutazione degli elementi discrezionali, cosicchè nel caso della denunciata commistione risulta violata la regola della par condicio espressamente sancita, tra i principi generali relativi alle procedure di affidamento dei contratti pubblici dall’articolo 2 del d.lgs. n. 163/2006. Né vale in senso contrario affermare, come sostenuto dalla difesa erariale nella sua memoria del 17 dicembre 2011, che la stazione appaltante abbia dato applicazione al decreto interministeriale n. 44/2001 recante le istruzioni generali sulla gestione amministrativo/contabile delle istituzioni scolastiche, discostandosi dalla disciplina generale dettata dal Codice dei contratti pubblici. Ciò comporterebbe un’attenuazione del rigore formale della procedura di gara in analogia con quanto previsto dall’art. 125 del d.lgs. n. 163/2006 in tema di cottimo fiduciario. Invero, è stato condivisibilmente osservato che il cottimo fiduciario, ex art. 125, comma4, del d.lgs. n. 163/2006, ha natura di procedura negoziata ai sensi dell’art. 57 del medesimo decreto. Ne segue, contrariamente a quanto la resistente amministrazione mostra di ritenere, che il principio sopra affermato – che risponde all’esigenza di garantire la trasparenza delle operazioni di gara – opera indipendentemente dal fatto che il bando lo preveda, in tutte le ipotesi in cui all’aggiudicazione si pervenga attraverso un’attività di tipo procedimentale (cfr. l’art. 2 del citato d.lgs. n. 163/2006), ancorchè semplificata e quindi anche in relazione ai cottimi fiduciari…Dunque, anche nell’ipotesi di scelta di una procedura semplificata, continua a trovare applicazione il principio, posto a tutela dell’imparzialità, della trasparenza, del corretto svolgimento della procedura, in base al quale vanno tenute separate e distinte l’offerta tecnica da quella economica, nel mentre la fase di apertura dei plichi concernenti la documentazione amministrativa e la verifica della stessa, nonché quella di apertura delle buste con le offerte economiche devono sempre avvenire in seduta pubblica…”.

Il Collegio condivide la determinazione assunta dal giudice di primo grado per le ragioni che di seguito si espongono.

Va in primo luogo evidenziato che l’articolo 34 dell’invocato decreto interministeriale 1 febbraio 2001, n. 44 prevede espressamente, al comma 5, che “Le istituzioni scolastiche sono tenute ad osservare le norme dell’Unione Europea in materia di appalti e/o forniture di beni e servizi”.

Da tanto discende che l’utilizzo di una procedura semplificata non può assolutamente derogare ai principi generali della materia.

In particolare, gli stessi risultano declinati nell’articolo 2 del D.lgs. n. 163/2006, il quale opera riferimento al “rispetto dei principi di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità nonché quello di pubblicità”.

Ciò posto, va evidenziato che la lettera di invito precisa che “l’aggiudicazione avverrà…all’impresa che sarà in grado di fornire il servizio nel modo che soddisfi le esigenze della scuola e che sia più conveniente per l’istituzione stessa, secondo la valutazione dei seguenti criteri: Offerta del prezzo economicamente più vantaggioso in relazione alla valutazione delle caratteristiche qualitative dei prodotti offerti massimo punti 50; Valutazione del contributo da assegnare alla scuola massimo punti 30; Modalità organizzative in riferimento ai modi e tempi della fornitura e della relativa manutenzione dei distributori massimo punti 20”.

Da quanto sopra risulta evidente che il criterio di aggiudicazione prescelto risulta essere quello della offerta economicamente più vantaggiosa, determinata attraverso la valutazione di elementi di tipo quantitativo (squisitamente economici) e di tipo qualitativo.

Orbene, l’applicazione del principio generale della par condicio comporta, per costante giurisprudenza (cfr., ex multis, Cons. Stato, III, 11-3-2011, n. 1582; VI, 12-12-2002, n. 6795), che le offerte economiche devono restare segrete per tutta la fase procedimentale in cui la commissione compie le sue valutazioni sugli aspetti tecnici delle offerte, al fine di evitare che gli elementi di valutazione di carattere automatico possano influenzare la valutazione degli elementi discrezionali; con la conseguenza che la componente tecnica dell’offerta e la componente economica della stessa devono essere inserite in buste separate, proprio al fine di evitare la suddetta commistione.

Di conseguenza, deve ritenersi l’illegittimità della lettera di invito che non preveda la separazione delle due componenti dell’offerta, in modo da consentire, all’interno del processo valutativo, il sopra indicato modus procedendi.

La regola sopra delineata è espressione di un principio generale (par condicio), dal cui rispetto non sono esentate le procedure di cottimo fiduciario e quelle semplificate, quali quella oggetto del presente giudizio.

D’altra parte, l’invito ad una pluralità di soggetti, la predeterminazione di criteri di valutazione e di punteggi attribuibili concorrono a determinare nella specie la presenza di una procedura comparativa, in relazione alla quale i principi generali di derivazione comunitaria, riportati nell’articolo 2 del d.lgs. n. 163/2006, devono trovare comunque applicazione.

In tal modo, vale evidenziare che la mancata previsione di buste separate e la possibilità di conoscenza degli elementi economici dell’offerta prima della valutazione della componente tecnica rileva non direttamente quale violazione della specifica regola in proposito affermata dalla giurisprudenza, quanto piuttosto quale mancata applicazione di un principio generale di derivazione comunitaria, applicabile anche alle procedure semplificate.

Sulla base delle considerazioni sopra svolte il motivo di appello deve essere respinto.

Con ulteriore censura gli appellanti lamentano l’erroneità della sentenza di primo grado anche laddove ha ritenuto che la procedura di gara fosse stata viziata dal fatto che l’apertura delle buste era avvenuta in seduta riservata, con conseguente pregiudizio del principio di trasparenza dell’azione amministrativa.

Deducono in proposito che, in tema di cottimo fiduciario, è sufficiente l’applicazione dei soli principi e non dell’intera disciplina del codice degli appalti, onde sarebbe legittimo l’operato di una commissione giudicatrice che abbia proceduto all’apertura delle buste, contenenti le offerte, in seduta segreta, in quanto in materia di cottimo fiduciario non è previsto il rispetto di forme particolari, trattandosi di gara informale, né del principio di pubblicità delle gare.

La censura non è meritevole di favorevole considerazione, alla luce dell’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale formatosi in materia e dal quale la Sezione non ritiene di discostarsi.

E’ stato, infatti, affermato che i principi di pubblicità e trasparenza che governano la disciplina comunitaria e nazionale in materia di appalti pubblici comportano che, qualora all’aggiudicazione debba procedersi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, l’apertura delle buste contenenti le offerte e la verifica dei documenti in esse contenuti vadano effettuate in seduta pubblica anche laddove si tratti di procedure negoziate, con o senza predisposizione del bando di gara, e di affidamenti in economia nella forma del cottimo fiduciario (cfr. Cons. Stato, A.P., 31-7-2012, n. 31; sez. IV, 14-5-2014, n. 2501).

Invero, nella procedura di cottimo fiduciario valgono i principi della par condicio e della trasparenza, con la conseguenza che è illegittima l’apertura delle buste in seduta segreta in quanto contraria a tali principi, giacchè impedisce irrimediabilmente ai concorrenti un controllo sul corretto operato della commissione giudicatrice (cfr. Cons. Stato, V, 1-3-2012, n. 1195).

La pronuncia di primo grado trova, pertanto, condivisione, laddove afferma che “la pubblicità delle sedute di gara risponde all’esigenza di tutela non solo della parità di trattamento dei concorrenti, ai quali deve essere permesso di effettuare gli opportuni riscontri sulla regolarità formale degli atti prodotti e di avere così la garanzia che non siano successivamente intervenute indebite alterazioni, ma anche dell’interesse pubblico alla trasparenza e all’imparzialità dell’azione amministrativa, le cui conseguenze negative sono difficilmente apprezzabili una volta rotti i sigilli ed aperti i plichi in assenza di un riscontro immediato. Nel caso di specie l’illegittimità appare ancor più evidente se solo si consideri che in seduta riservata è avvenuta l’apertura dell’unico plico contenente sia l’offerta tecnica che quella economica”.

Con altro motivo gli appellanti censurano la sentenza del Tribunale nella parte in cui ha parzialmente accolto la domanda volta al risarcimento del danno per equivalente, valutandolo in termini di perdita di chance e quantificandolo in euro 5000.

Premettono che esso è un danno patrimoniale relativo alla perdita non di un vantaggio economico ma della mera possibilità di conseguirlo.

Di esso ne deve essere provata l’esistenza anche secondo un calcolo di probabilità o per presunzioni, potendosi ricorrere alla valutazione equitativa solo per la determinazione del suo ammontare.

Nel caso di specie parte ricorrente avrebbe omesso di provare sia un valido nesso causale tra il fatto e il danno, inteso quale perduta possibilità di raggiungere un risultato utile ragionevolmente probabile, sia la realizzazione in concreto di alcuni presupposti per il raggiungimento del risultato sperato.

Aggiungono che la declaratoria di illegittimità degli atti impugnati, con il conseguente annullamento della gara, non è idonea a soddisfare tali requisiti ed, inoltre, essa si è limitata ad indicare una somma di denaro, senza alcun riferimento ai criteri di liquidazione, i quali dovrebbero tenere conto della rilevante probabilità del vantaggio utile, valutata sulla base di criteri statistici.

Evidenziano, inoltre, che non si può porre alla base della quantificazione del danno l’utile eventualmente ottenuto dalla ricorrente in caso di aggiudicazione dell’appalto.

Contestano, inoltre, la pronuncia gravata, nella parte in cui ha riconosciuto il danno emergente derivante dai costi di partecipazione alla gara, in quanto i costi sostenuti dall’impresa per partecipare alla gara non sono risarcibili a chi lamenti la mancata aggiudicazione o anche la sola perdita di chance di aggiudicarselo, costituendo danno emergente solo qualora l’impresa subisca un’illegittima esclusione, perché solo in tal caso viene in considerazione la pretesa del contraente a non essere coinvolto in trattative inutili.

La gravata sentenza così motiva sul punto.

“Nella sua memoria conclusiva la Su. s.r.l. evidenzia che la stipulazione del contratto, peraltro avvenuta in violazione del termine di standstill, e la durata annuale del servizio hanno determinato l’irrimediabile consolidamento del pregiudizio in suo danno. Se ne chiede quindi il ristoro per equivalente, avuto riguardo al fatto che l’annullamento integrale della gara comporta che il danno può essere valutato solo in termini di perdita di chance. In assenza di controdeduzioni dell’Amministrazione, il Collegio reputa ragionevole e degna di affidamento l’affermazione della ricorrente (peraltro supportata indirettamente dall’andamento della gestione nel corso dell’anno scolastico 2010/2011) secondo cui, dedotti i costi e il contributo dovuto all’Istituto scolastico, l’utile netto ammonterebbe a circa euro 15.000, 00.

Si rammenta, in proposito che la prova della sussistenza del danno da perdita di chance, in seguito all’emanazione di un provvedimento illegittimo, può avvenire o attraverso l’articolazione di argomentazioni logiche, che, sulla base di un processo deduttivo, rigorosamente sorvegliato, inducano a concludere per la sua sussistenza; ovvero secondo un processo deduttivo conforme al criterio, elaborato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, del cd. “più probabile che non”, e cioè, “alla luce di una regola di giudizio che ben può essere integrata dai dati della comune esperienza, evincibile dall’osservazione dei fenomeni sociali” (Cons,. Stato, sez. IV, 22 maggio 2012, n. 2974). Ne discende che, tenuto conto del numero delle imprese partecipanti alla gara in numero di tre, il danno può essere quantificato in euro 5000, 00. Il danno emergente, riferito ai costi sopportati per la partecipazione alla gara, viene quantificato nel 5% di tale importo, ossia euro 250, 00….”.

Ciò posto, ritiene la Sezione che il motivo di appello, con riferimento alla quantificazione del danno per perdita di chance, sia solo parzialmente fondato, nei sensi di seguito specificati.

E tanto con riferimento alla peculiarità della vicenda ed alle considerazioni che di seguito si svolgono.

Il Tribunale Amministrativo ha disposto l’annullamento dell’intera gara.

In tal modo, avendo acclarato che la stessa non avrebbe potuto comunque condurre alla aggiudicazione del servizio a nessuno dei partecipanti, ha ritenuto che nella specie alla ricorrente fosse dovuto il solo risarcimento del danno per perdita di chance.

In buona sostanza, il risarcimento è stato ancorato alla mancata probabilità per la ricorrente, dovuta alle illegittimità riscontrate nella condotta amministrativa, di ottenere il bene della vita.

Parte appellante deduce che nella specie il ricorrente avrebbe omesso di provare l’esistenza sia di un valido nesso causale tra il fatto e il danno, sia la realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato.

Il rilievo non è condivisibile.

Va in proposito in primo luogo evidenziato che il nesso causale tra il fatto è il danno risulta evidente, considerandosi che la mancata legittima conclusione della procedura in questione è dipesa certamente dalla condotta illegittima dell’amministrazione, in relazione alle illegittimità sopra richiamate, le quali hanno condotto all’annullamento della intera procedura di gara.

In ordine al requisito della colpa dell’amministrazione, deve essere richiamato il costante orientamento giurisprudenziale, il quale, in materia di risarcimento da mancato affidamento di gare pubbliche di appalto, ritiene che non è necessario provare la colpa dell’amministrazione poiché il rimedio risarcitorio risponde al principio di effettività previsto dalla normativa comunitaria.

In ogni caso, il suddetto elemento psicologico risulta in concreto sussistente, ove si consideri che le rilevate illegittimità si traducono nella violazione di principi generali che presidiano lo svolgimento di procedure di affidamento, onde il comportamento dell’amministrazione si è qualificato in termini di violazione dei principi di buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa, certamente non scusabile in relazione a natura e portata dei principi che presidiano la materia.

Ritiene, inoltre, la Sezione che nella specie non si è di fronte ad una mera eventualità di conseguimento del bene della vita, ma ad una rilevante probabilità di esso, la quale emerge dagli atti del giudizio.

Va, invero, osservato, che effettivamente il costo dei prodotti offerti dalla società appellata risulta inferiore rispetto a quello fornito dall’aggiudicataria, anche tenendo conto della circostanza che il prezzo del prodotto avrebbe dovuto essere stato arrotondato ai cinque centesimi, in relazione al fatto che le macchine non erogavano il resto.

Orbene, tale elemento, salve restando le valutazioni della stazione appaltante in ordine alla convenienza o meno dell’utilizzo delle ricariche automatiche, e la circostanza che in realtà il contributo offerto all’Istituto scolastico è pressocchè identico (con una variazione di soli 60 euro annui) rivelano certamente l’esistenza non di una mera eventualità di conseguimento del bene della vita ma di una rilevante probabilità della stessa, la quale può rientrare, a giudizio della Sezione, nella percentuale del 50%, così configurandosi il requisito del “più probabile che non”.

Risulta, in tal modo, l’esistenza di una chance rilevante ai fini del risarcimento del danno.

Venendo ora all’esame dei parametri utilizzati dal giudice di primo grado per la quantificazione del danno, va sottolineato che gli stessi risultano condivisibili, in ragione della peculiarità della procedura e del servizio.

Va, invero, osservato che non esiste nella specie un prezzo a base d’asta ovvero un corrispettivo predeterminato, elemento attuale al quale correlare la misura del danno.

Di conseguenza, correttamente il giudice di primo grado ha operato riferimento, quale base di calcolo, all’utile presunto che sarebbe derivato dallo svolgimento del servizio, la cui misura, correlata a quella relativa alla gestione dell’anno precedente ed analiticamente indicata nella memoria di primo grado della Su. del 15-6-2012, non è stata oggetto di contestazione da parte dell’Amministrazione.

Corretta risulta, a giudizio della Sezione, nell’operazione di concreta quantificazione, la considerazione della terza parte di tale base di calcolo, in quanto si è tenuto conto della circostanza che alla procedura avevano partecipato tre ditte.

Peraltro, il Collegio ritiene che l’importo liquidato in euro 5000, 00 debba essere ridotto, nell’ottica della determinazione equitativa dello stesso, in euro 4000, 00, atteso che, trattandosi di danno da perdita di chance ed operandosi riferimento ad un dato non certo e non ancora esistente (eventuale utile che sarebbe stato percepito), la somma di euro 15.000 (utile conseguito nell’anno precedente), da considerare quale base di calcolo, debba essere ridotta ad euro 12.000, proprio perché non vi è certezza in ordine al conseguimento del medesimo anche nell’anno di riferimento della procedura per cui è causa.

Quanto, poi, alla liquidazione del danno emergente, riferito ai costi per la partecipazione alla gara, ritiene la Sezione che gli stessi non siano dovuti, aderendosi all’orientamento giurisprudenziale secondo il quale i costi di partecipazione alla gara non possono essere richiesti in sede di domanda di risarcimento del danno da mancata aggiudicazione, e dunque a fortiori nell’ipotesi in cui venga in rilievo la mera chance, perché essi costituiscono una voce di spesa che resta comunque a carico dell’impresa che consegua il contratto all’esito della procedura di affidamento (cfr. Cons. Stato, V, 28-7-2015, n. 3716; III, 10-4-2015, n. 1839).

Invero, il danno emergente, consistente nelle spese sostenute per la partecipazione ad una gara pubblica, non è risarcibile, in favore dell’impresa che lamenti la mancata aggiudicazione dell’appalto (o anche la perdita della relativa chance). Difatti, la partecipazione alle gare pubbliche di appalto comporta per le imprese costi che, di norma, restano a carico delle medesime sia in caso di aggiudicazione, sia in caso di mancata aggiudicazione. Detti costi di partecipazione si colorano come danno emergente solo se l’impresa illegittimamente esclusa lamenti questi profili dell’illegittimità procedimentale, perché in tal caso viene in rilievo solo la pretesa risarcitoria del contraente che si duole di essere stato coinvolto in trattative inutili (cfr. Cons, Stato, VI, 12-4-2013, n. 1999).

Né risulta condivisibile l’argomentazione difensiva della Su., secondo cui nella specie, trattandosi di gara affetta da vizio genetico che mai avrebbe potuto condurre ad una aggiudicazione legittima, ricorrerebbe la medesima ratio della fattispecie della illegittima esclusione, nella quale la suddetta voce di danno risulta risarcibile.

Osserva in proposito il Collegio che nella vicenda in esame il vizio genetico addotto dall’appellata (concernente in particolare la lettera di invito) era circostanza dalla stessa conosciuta ben prima della presentazione della domanda alla gara.

Nonostante tale conoscenza essa ha ugualmente presentato la domanda, in tal modo accettando il rischio di un annullamento dell’intera gara (che, tra l’altro, ha essa stessa determinato con la proposizione del ricorso, non essendone risultata aggiudicataria).

Per tali ragioni, dunque, il rimborso delle spese sostenute per la partecipazione alla gara non le è dovuto.

Sulla base delle considerazioni tutte sopra svolte, pertanto, il motivo di appello è parzialmente fondato, nel senso che il danno da perdita di chance deve essere liquidato in euro 4000, 00 e che non è dovuto il richiesto danno emergente per i costi di partecipazione alla gara.

In conclusione, l’appello è solo parzialmente fondato, limitatamente alla entità della somma dovuta quale risarcimento del danno ed entro tali limiti la sentenza appellata deve essere riformata, risultando per il resto confermata.

Va, invero, rilevato che il secondo motivo del ricorso di primo grado della Su., non esaminato dal Tribunale Amministrativo Regionale e riproposto in sede di appello, risulta inammissibile.

E’ vero che nel ricorso di primo grado la società ha chiesto l’esame dei motivi di ricorso nell’ordine in cui essi sono proposti e che dall’accoglimento dello stesso sarebbe derivata l’aggiudicazione della gara in favore della stessa.

Va, peraltro, evidenziato che nell’epigrafe del ricorso la Su. ha chiesto indistintamente l’annullamento “degli atti e dei provvedimenti con cui l’Istituto ha indetto, disciplinato, svolto ed aggiudicato la gara”, indicando, nell’ordine “la lettera di invito…..i verbali di gara, il provvedimento di aggiudicazione dalla stessa disposto in favore della Sn. and Dr….i contratti eventualmente stipulati”.

Essa ha, pertanto, richiesto l’annullamento dell’intera procedura.

Manca, dunque, una graduazione della richiesta di annullamento, la quale, invece, per rendere ammissibile il secondo motivo del ricorso, dovuto essere articolata, in via principale, nella richiesta di annullamento dei verbali di gara nella parte in cui hanno valutato le offerte e del provvedimento di aggiudicazione e, in via subordinata, nell’annullamento di tutti gli atti della procedura, ivi compresa la lettera di invito.

Ciò posto, in presenza di una domanda di annullamento riferita all’intera procedura di gara, risulta evidente l’inammissibilità di un motivo diretto ad ottenere l’aggiudicazione della gara, considerato che esso risulta incompatibile con la domanda di annullamento proposta, così come articolata (ripetesi, riferita a tutti gli atti dell’intera procedura).

Invero, l’aggiudicazione in favore della Su. non sarebbe risultata possibile in caso di annullamento della intera procedura.

Tanto a maggior ragione in presenza di motivi di ricorso (il terzo ed il quarto), dalla cui favorevole considerazione sarebbe derivato l’accoglimento della domanda di annullamento conformemente alla sua proposizione.

Condivisibilmente, pertanto, il giudice di primo grado ha esaminato ed accolto il terzo ed il quarto motivo del ricorso, considerandosi che gli stessi risultavano diretti all’annullamento dell’intera procedura di gara, in aderenza ed in corrispondenza piena alla domanda di annullamento articolata nella epigrafe del ricorso introduttivo (una diversa articolazione della domanda non è contenuta nella parte finale del ricorso), comportando pure l’eliminazione dal mondo giuridico dell’aggiudicazione in favore della controinteressata.

Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

Le spese del giudizio possono essere integralmente compensate tra le parti costituite, avuto riguardo alla peculiarità della controversia ed al parziale accoglimento dell’appello.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

Sezione Sesta,

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte, nei sensi di cui in motivazione, e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza appellata, accoglie la domanda risarcitoria nei limiti in motivazione precisati.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 febbraio 2017 con l’intervento dei magistrati:

Sergio Santoro – Presidente

Carlo Deodato – Consigliere

Bernhard Lageder – Consigliere

Vincenzo Lopilato – Consigliere

Francesco Mele –

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