Palazzo-Spada
Consiglio di Stato
sezione VI
sentenza 15 maggio 2015, n. 2477

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE SESTA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2034 del 2014, proposto da:

Ce.Ro., rappresentata e difesa dall’avvocato Ca.Ma., con domicilio eletto presso Al.Lu. in Roma, piazza (…);

contro

Comune di Folignano in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avvocato Massimo Ortenzi, con domicilio eletto presso Li.Ra. in Roma, viale (…);

nei confronti di

Ma. s.n.c. in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall’avvocato Em.Co., con domicilio eletto presso Fe.De. in Roma, via (…);

per la riforma

della sentenza del T.A.R. MARCHE – ANCONA: SEZIONE I n. 540/2013, resa tra le parti, concernente permesso di costruire a sanatoria.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Folignano e della società Ma.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 aprile 2015 il consigliere Roberta Vigotti e uditi per le parti gli avvocati Or., Co. e Ma..;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

La signora Ro.Ce., proprietaria di un immobile nel Comune di Folignano, chiede la riforma della sentenza, in epigrafe indicata, con cui il Tribunale amministrativo delle Marche ha respinto il ricorso proposto avverso il permesso di costruire rilasciato in sanatoria alla società Ma. in data 28 gennaio 2010, quale variante al precedente permesso di costruire del 29 giugno 2009 per la realizzazione di un fabbricato bifamiliare di civile abitazione, adiacente al confine di proprietà.

I) La difformità riscontrata dai tecnici comunali, sanata con il provvedimento oggetto del giudizio di primo grado, concerneva la quota del solaio del piano interrato già realizzato, che si trovava ad un’altezza superiore di circa 1 metro e 30 centimetri rispetto a quanto assentito con l’atto autorizzativo e la conseguente errata considerazione del piano stesso come interrato ai sensi del regolamento edilizio comunale. Con il provvedimento impugnato, il Comune di Folignano ha rilasciato la sanatoria chiesta dalla società interessata ai sensi dell’art.36 DPR 380/2001, richiedendo modifiche progettuali e la soppressione di alcuni volumi.

Il Tribunale amministrativo, dopo aver disposto una verificazione tendente ad accertare lo stato dei luoghi, ha respinto l’eccezione di tardività del ricorso, sulla scorta della considerazione che la sanatoria ha autorizzato i solai a una quota superiore a quella inizialmente prevista, e che quindi correttamente il ricorso si è indirizzato, nei termini di legge, avverso tale provvedimento. Ha peraltro respinto nel merito il ricorso, sulla base delle risultanze della disposta verificazione, che ha concluso per la legittimità dell’utilizzazione del parametro attinente alla quota del terreno a sistemazione definitiva, come stabilita dall’art. 13 comma 1 del regolamento edilizio del Comune e conseguentemente per la conformità ai parametri di piano regolatore relativi alla cubatura massima e all’altezza del manufatto.

II) L’appello, che contesta la definizione di “piano interrato” accolta dal primo giudice, è fondato.

La questione chiave della controversia in esame è rappresentata dalla definizione di “piano interrato”, alla luce della normativa edilizia vigente nel Comune di Folignano e dei concetti generali, poiché dalla considerazione del solaio come interrato o meno deriva la conformità, o meno, del manufatti ai parametri urbanistici.

Occorre quindi ricordare che all’art. 13 comma 1 lettera u) del locale regolamento edilizio, approvato dalla regione Marche il 28 settembre 1992, definisce piano interrato “il piano sito al piede dell’edificio quando le pareti perimetrali sono completamente comprese entro la linea di terra, salvo le porzioni strettamente necessarie per bocche di lupo, accessi, carrabili e pedonali, purché realizzati in trincea rispetto alla linea di terra”.

A sua volta, la definizione di linea di terra è contenuta nel medesimo art. 13, alla lettera m: “la linea di terra è definita dall’intersezione della parete prospetto con il piano stradale o il piano del marciapiede o il piano del terreno a sistemazione definitiva”.

Ne consegue, secondo il Tribunale amministrativo, che è comunque possibile utilizzare come parametro il terreno a sistemazione definitiva: quindi, come ha osservato il verificatore, il piano in questione è qualificabile come interrato ai sensi del regolamento edilizio.

Tale ricostruzione non può essere condivisa, innanzitutto perché, come è evidente, àncora la definizione rilevante (e le importanti conseguenze in termini di controllo dell’attività edilizia) ad una circostanza che è nella piena disponibilità dell’interessato modificare. Se la linea di terra può essere quella derivante dalla sistemazione del terreno, è infatti palese che rientra nella facoltà di chi vuole costruire innalzarne la quota mediante riempimenti del terreno, e usufruire quindi dei più favorevoli parametri, in termini di altezza, di cubatura, distanza dal confine, di volumetria e di standards validi per le costruzioni interrate. Questa conclusione manifesta l’illogicità delle premesse: occorre quindi interpretare la definizione di cui al rammentato art. 13 in termini che ne consentano la riconduzione al sistema, operazione che postula la considerazione del “piano del terreno a sistemazione definitiva” negli stessi termini “piano stradale” e del “piano del marciapiede”. Tutti tali elementi, in altre parole, per essere considerati quali validi parametri per l’attività edilizia, devono preesistere alla realizzazione dell’opera considerata, dovendone regolare ex ante le caratteristiche ammissibili: se ciò è evidente per il piano stradale e per il marciapiede, anche la sistemazione definitiva deve essere quella esistente prima dell’attività costruttiva, e indipendente dalla stessa. In altre parole, la sistemazione definitiva da assumere a parametro secondo l’art. 13 lettera m non può essere quella realizzata mediante riempimento del terreno da parte del costruttore, come è avvenuto nel caso di specie, secondo quanto si legge nella relazione della verificazione al quale il primo giudice aveva affidato la descrizione dello stato dei luoghi: “se si dovesse ritenere che la linea di terra è rappresentata dalla originaria morfologia del terreno, si dovrebbe conseguentemente affermare che porzioni delle murature perimetrali del piano si trovino fuori delle linea originaria del terreno…rendendo conseguentemente tale livello un piano seminterrato”, mentre solo “se si dovesse ritenere che la linea di terra è rappresentata dalla morfologia del terreno modificata a seguito dell’attività progettuale si dovrebbe affermare che il piano è interamente delimitato da cavedi interrati” (pagina 13). La presenza di terrapieni artificiali è poi evidenziata (pagine 15 e 16 della relazione) come “particolarmente evidente” sui lati nord ed est dell’edificio.

Da tale descrizione emerge che del tutto erroneamente il Comune, prima, e il Tribunale amministrativo, poi, hanno considerato il manufatto come interrato, utilizzando la linea di terra come modificata dallo stesso costruttore. Del resto, in via generale, più volte questo Consiglio di Stato ha puntualizzato che, al fine di individuare se un manufatto sia o meno interrato va fatto riferimento al livello naturale del terreno (cfr. sez. V, 6 dicembre 2010, n. 8547). Sul punto, è poi appena il caso di osservare che non spetta al verificatore, ma solo al giudice, trarre dal risultato dell’accertamento le conclusioni in ordine all’individuazione e all’interpretazione del parametro normativo e alla sua applicazione alla specifica fattispecie; così come alla tesi delle parti resistenti secondo cui la sistemazione del terreno è stata necessaria per ovviare alla particolare conformazione del luogo, particolarmente acclive, è agevole osservare che dall’ammissibilità della sistemazione non può derivare l’applicazione di misure applicative relative a particolari e diverse definizioni edilizie.

III) In conclusione, la sentenza impugnata merita la riforma chiesta con l’appello, che deve essere accolto.

Va invece respinto l’appello incidentale proposto dal Comune per contestare il mancato accoglimento dell’eccezione di tardività del ricorso di primo grado, poiché il provvedimento impugnato ha autorizzato un’altezza dei solai maggiore di quella originariamente prevista, e quindi il gravame è stato correttamente indirizzato avverso la realizzazione del manufatto nella sua consistenza definitiva.

Le spese del giudizio seguono, come di regola, la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe indicato, lo accoglie, respinge l’appello incidentale proposto dal Comune di Folignano e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado e annulla il provvedimento oggetto del ricorso stesso.

Condanna le parti resistenti a rifondere all’appellante le spese del giudizio, nella misura di 2.000 (duemila) euro, oltre IVA e CPA per ognuna di esse, e, in solido, alle spese della verificazione disposta in primo grado nella misura liquidata dal Tribunale amministrativo.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 aprile 2015 con l’intervento dei magistrati:

Stefano Baccarini – Presidente

Sergio De Felice – Consigliere

Giulio Castriota Scanderbeg – Consigliere

Roberta Vigotti – Consigliere, Estensore

Carlo Mosca – Consigliere

Depositata in Segreteria il 15 maggio 2015.

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