Palazzo-Spada
Consiglio di Stato

sezione IV

sentenza 14 maggio 2015, n. 2453

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE QUARTA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello n. 122 del 2014, proposto da

Im. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti St.Ba. ed altri, ed elettivamente domiciliata presso quest’ultima in Roma, viale (…), come da mandato a margine del ricorso introduttivo;

contro

Comune di Verona, in persona del sindaco legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Gi.R. Ca. ed altri, ed elettivamente domiciliato presso quest’ultimo in Roma, viale (…), come da mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, sezione seconda, n. 677 del 9 maggio 2013, resa tra le parti, concernente l’approvazione del piano degli interventi del Comune di Verona

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Verona;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 febbraio 2015 il Cons. Diego Sabatino e uditi per le parti gli avvocati St.Ri. e Cl.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con ricorso iscritto al n. 122 del 2014, Im. s.r.l. propone appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, sezione seconda, n. 677 del 9 maggio 2013 con la quale è stato respinto il ricorso proposto contro il Comune di Verona per l’annullamento della deliberazione del Consiglio comunale di Verona n. 91 del 23.12.2011 con la quale veniva approvato ai sensi degli artt. 17 e 18 della L.R. n. 11/04 il Piano degli Interventi del Comune di Verona con l’allegato elaborato denominato “Analisi e valutazione alle Osservazioni al P.I.”.

Il giudice di prime cure descriveva i fatti di causa nei termini che seguono:

“1. L’Im. s.r.l. è proprietaria di un’area ubicata in Comune di Verona tra le vie (…), avente una superficie di circa 3.359 mq. ed identificata al catasto terreni al foglio n. xxx, mapp.li nr. xxx.

L’area comprende due porzioni di terreni con originaria (in base al previgente PRG) differente destinazione urbanistica e precisamente:

a) porzione di terreno di circa 3012 mq. inedificato, già ricadente in zona definita dal previgente PRG come “Z 27 – servizi” con decaduto vincolo preordinato all’espropriazione;

b) altra porzione di terreno di circa 346 mq., inedificato, ricadente in zona definita dal vigente PRG come “Z 11 – abitazioni semi-intensive”.

2. Relativamente alla porzione di cui al superiore punto a), essendo decaduto il vincolo preordinato all’espropriazione per decorrenza del termine quinquennale e non avendo l’amministrazione provveduto ad attribuire all’area una nuova disciplina urbanistica, in esito al ricorso avverso il silenzio presentato dal precedente proprietario, questo TAR, con sentenza n. 2021/2001, aveva ordinato al Comune di Verona “di attribuire all’area in questione, entro 30 giorni dalla comunicazione della decisione una specifica ed appropriata destinazione urbanistica”.

3. Il Consiglio Comunale, su proposta della Giunta, con delibera n. 1/2005, aveva dunque adottato la variante n. 235 al PRG, che trasformava la destinazione urbanistica dell’area da Z. 27 – servizi pubblici d’interesse locale a Z. 14 – completamento edilizio, riconoscendole un indice di edificabilità pari ad 1,7 mc per mq. La variante era stata poi trasmessa alla Regione per l’approvazione.

4. Successivamente, in data 28 febbraio 2008, era entrato in vigore il Piano di Assetto del Territorio del Comune di Verona, approvato con D.G.R.V. n. 4148 del 18.12.2007.

Conseguentemente, la Regione aveva restituito al Comune le varianti al PRG non esaminate, ivi compresa la variante n. 235 avente ad oggetto l’area in questione.

5. Il PAT aveva inserito l’area in questione nell’ambito di urbanizzazione consolidata (ATO n. 6).

6. Era poi iniziato il procedimento di approvazione del P.I., nell’ambito del quale, il Consiglio Comunale, con delibera del 28 maggio 2009, aveva stabilito che il Piano degli Interventi potesse recepire, in esecuzione del disposto dell’art. 6 della L.R. n. 11/2004, progetti ed iniziative di interventi di rilevante interesse pubblico presentati da soggetti privati in esito alla pubblicazione di un apposito bando. In particolare, la manifestazione d’interesse presentata dal dante causa dell’odierna ricorrente, dopo essere stata ridimensionata da parte dell’amministrazione rispetto alla proposta originaria, era stata trasformata in “scheda norma n. 64” ed inserita nella disciplina operativa del P.I. .

A conclusione dell’iter di approvazione del P.I. l’area di proprietà della ricorrente era stata individuata, dalla disciplina regolativa del P.I. come “Servizi Privati d’interesse collettivo” e dunque destinata ad impianti ed attrezzature sportive private realizzabili dal privato, mentre, in sede di disciplina operativa le era stata riconosciuta, con la scheda norma n. 64, una parziale destinazione edilizia abitativa.

7. La società ricorrente aveva presentato osservazioni al P.I., sia in ordine alla disciplina regolativa che alla disciplina operativa, le quali erano state respinte.

8. Con deliberazione del Consiglio Comunale di Verona n. 91del 23.12.2012, era stato approvato il Piano degli Interventi, articolato in previsioni regolative, operative e programmatiche.

In particolare, giova evidenziare sin da ora, le previsioni regolative sono costituite dall’insieme delle prescrizioni dirette a regolare concretamente l’attività edilizia della città esistente e del territorio aperto, in quanto inerenti all’esercizio da parte del Comune della potestà conformativa propria dello strumento urbanistico generale.

Le previsioni operative, invece, individuano le aree e gli immobili nelle quali è possibile realizzare interventi di espansione o di trasformazione dell’esistente che, sulla base di previsioni quinquennali risultano più idonee a soddisfare gli obiettivi e gli standard di qualità urbana ed ecologico – ambientale definiti dal PAT. Tali aree ed immobili sono state scelte dal Comune, anche mediante le sopra indicate procedure partecipative e, una volta raccolte ed accettate le proposte di progetti o iniziative private d’interesse pubblico, sono state inserite, in conformità all’art. 6 L.R. n. 11/2004, in apposite “schede norma”, relative, quest’ultime, ad ogni singolo intervento oggetto di manifestazione d’interesse.

Nel caso di specie, la ricorrente, dopo aver manifestato il proprio interesse, in data 2 settembre 2011 ha sottoscritto (con riserva d’impugnazione dell’atto di approvazione del P.I.) l’atto unilaterale d’obbligo ai fini della realizzazione dell’intervento previsto nella scheda norma n. 64. Tuttavia, pur se l’intervento è stato recepito nel P.I., l’efficacia della previsione operativa è subordinata alla sottoscrizione di un accordo ai sensi dell’art. 6, L.R. n. 11/04, che ancora non è stato stipulato. Tale ultima circostanza rileva in quanto, ai sensi dell’art. 155 comma 8, NTO del PI, qualora le previsioni operative non vengano tradotte in atto pubblico definitivo entro il termine stabilito, troverà applicazione la disciplina regolativa prevista dal piano per l’area.

9. Ciò premesso, con il ricorso in esame l’im. ha impugnato il Piano degli Interventi del Comune di Verona, ed in particolare: a) la disciplina regolativa, nella parte in cui ha inserito l’area di sua proprietà nel sistema dei servizi della “Città Pubblica” destinandola a “Impianti ed attrezzature sportive private” anziché nei tessuti insediativi con la possibilità edificatoria di cui all’art. 104 del P.I.; b) in via subordinata, in caso di mancato accoglimento dei motivi afferenti alla disciplina regolativa, ha impugnato la disciplina operativa e la scheda norma n. 64 allegata alle N.T.O. del P.I., laddove ha attribuito all’area una S.U.L. di mq. 850 su mq. 3.359 di S.T. e così applicando l’indice della classe perequativa n. 6 di cui all’art. 158 del P.I. nella misura di 0,25 anziché nella più congrua misura massima di 0,70.

10. La ricorrente ha dunque chiesto, oltre all’annullamento degli atti impugnati, anche la condanna dell’amministrazione comunale al risarcimento del danno subito per effetto del mancato e/o ritardato riconoscimento di una congrua capacità edificatoria all’area in questione.

11. Si è costituito il Comune di Verona, contestando in fatto e in diritto le asserzioni della ricorrente e chiedendo il rigetto del ricorso in quanto infondato.

12. Alla pubblica udienza del 23 aprile 2013 il Collegio ha trattenuto la causa per la decisione.”

Il ricorso veniva deciso con la sentenza appellata dove il T.A.R. riteneva infondate le censure proposte, sottolineando la correttezza dell’operato della pubblica amministrazione, sia in relazione alle scelte concernenti la disciplina regolativa che riguardo a quelle attinenti alla disciplina operativa.

Contestando le statuizioni del primo giudice, la parte appellante evidenzia l’errata ricostruzione in diritto operata dal giudice di prime cure, riproponendo come motivi di appello le proprie originarie censure.

Nel giudizio di appello, si è costituito il Comune di Verona, chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso.

Alla pubblica udienza del 17 febbraio 2015, il ricorso è stato discusso e assunto in decisione.

DIRITTO

1. – L’appello è fondato e merita accoglimento entro i termini di seguito precisati.

2. – In via preliminare, la Sezione ritiene di evidenziare come la fattispecie de qua attenga unicamente a profili di diritto e non vi sono state contestazioni sulla ricostruzione in fatto, come sopra riportata e ripetitiva di quella operata dal giudice di prime cure, per cui, vigendo la preclusione di cui all’art. 64 comma 2 del codice del processo amministrativo, deve considerarsi assodata la prova dei fatti oggetto di giudizio.

3. – Ancora in via preliminare, occorre dare conto dell’eccezione di improcedibilità formulata dal Comune con la memoria depositata il 15 gennaio 2015 (mentre invece sono meramente di stile le clausole di rilevata irricevibilità, improponibilità e inammissibilità del ricorso formulate nella memoria di costituzione), dove si sostiene che, stante la stipula dell’accordo definitivo ai sensi dell’art. 6 della legge regionale Veneto n. 11 del 2004 per l’attuazione della disciplina operativa di cui alla scheda norma n. 64, il ricorso sarebbe divenuto improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.

3.1. – La censura non può essere accolta.

Occorre notare che, al fine di ritenere improcedibile il ricorso, dovrebbe essere accertata la completa satisfattività del nuovo accordo o la volontà della parte appellante di considerare venuto meno il proprio interesse all’appello.

Nessuna delle due condizioni risulta però evidente.

In merito alla satisfattività, va evidenziato come la questione in giudizio miri al riconoscimento di una diversa qualificazione dell’area d’intervento, per cui l’accordo, essendo mera attuazione della previsione di P.I. approvato e impugnato, non rende ragioni delle richieste formulate in giudizio. In merito invece alla volontà della parte, la società appellante ha espressamente evidenziato, in risposta alla detta eccezione, di avere interesse ad un riconoscimento di una maggiore potenzialità edificatoria (evidenziando anche di essersi opposta ad una clausola di rinuncia al procedimento giudiziale pendente).

Ne deriva che, non potendosi evidenziare acquiescenza alla nuova regolazione di interessi, il ricorso deve essere scrutinato nel merito.

4. – Le questioni proposte in ricorso possono essere esaminate tenendo presente che, come evidenziato in primo grado, queste vertono su due diverse linee procedimentali, la prima riguardante la disciplina regolativa e la seconda, di carattere subordinata, inerente alla susseguente disciplina operativa. In particolare, appartengono alla prima serie il primo motivo di diritto, il secondo (dove si censura l’erroneità della sentenza per difetto e illogicità della motivazione), il terzo (dove viene evidenziato difetto e illogicità della motivazione della sentenza per omesso esame del motivo di ricorso) e il quarto (difetto di motivazione della sentenza per omesso esame delle censure), mentre appartengono alla seconda serie il quinto motivo di ricorso (difetto di motivazione della sentenza per omesso esame delle censure), il sesto (eccesso di potere sotto il profilo della insufficienza e genericità della motivazione e sotto il profilo della manifesta illogicità) e il settimo (eccesso di potere sotto il profilo della disparità di trattamento e di incoerenza con le scelte di fondo del piano).

5. – Con il primo motivo di diritto, si lamenta difetto e illogicità della motivazione per omesso esame di alcune delle censure proposte. Si tratta del motivo di ricorso più articolato e concretamente rilevante, in cui la società appellante evidenzia come, stante la particolarità del caso, la scelta motivazionale dell’amministrazione si ponga in contrasto con le pregresse decisioni, dando vita ad un assetto di interessi errato e lesivo per le proprie aspettative.

5.1. – La censura è fondata e va accolta.

La vicenda in scrutinio è caratterizzata da una serie di interlocuzioni successive tra i diversi proprietari del fondo e l’amministrazione che ne rendono del tutto peculiare la sua destinazione. Come evidenziato nella descrizione in fatto, lo status urbanistico dell’area è stato stata caratterizzato da una serie di eventi hanno connotato in maniera particolare le aspettative della parte oggi appellante.

In concreto le vicende rilevanti possono essere indicate nella previa imposizione e successiva decadenza del vincolo espropriativo; nella mancata nuova destinazione urbanistica dell’area, lungamente protrattasi; nel successivo intervento del giudice amministrativo (sentenza del TAR del Veneto n. 2021/2001) che ha imposto di approvare la nuova disciplina di area; nell’adozione della variante n. 235 al P.R.G., peraltro mai approvata, che ha riconosciuto al fondo un indice di fabbricabilità maggiore, pari a 1,7 mc./mq.; nell’ulteriore indicazione negli atti dell’amministrazione di un auspicio per cui il P.I. avrebbe dovuto prevedere “il completamento dell’iter di approvazione delle varianti al PRG trasmesse in Regione … restituite al Comune per l’intervenuta non competenza della Regione a seguito della approvazione del PAT”, nel cui ambito rientrava la detta variante n. 235; e, infine, nella qualificazione nell’originario progetto del P.I. dell’area quale ambito destinato all’edificazione privata.

Si tratta di un complesso di elementi dai quali non può non evincersi un comportamento complessivo dell’amministrazione favorevole ad un riconoscimento della spettanza edificatoria in capo al privato, pur senza ovviamente dare a tale profilo una connotazione sostanziale. Infatti, stante la spettanza in capo all’amministrazione della scelte direzionali in tema di pianificazione urbanistica, la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha costantemente ritenuto che la perplessità dell’azione amministrativa dovesse portare unicamente ad un obbligo rinforzato di motivazione, peraltro collegando tale obbligo a particolari situazioni soggettive qualificate, indicate in una serie predeterminata di casi (da ultimo, Consiglio di Stato, sez. IV, 18 novembre 2013 n. 5453; ma per affermazioni nelle stesso senso, vedi ex multis, id., 4 novembre 2013 n. 5292; id., 22 maggio 2014 n. 2649).

Tali elenchi, tuttavia, non possono configurare un numero chiuso. Infatti, è nella natura stessa degli strumenti urbanistici la necessità di adeguarsi non solo alla situazione di fatto determinatasi dall’intervento umano, ma anche al progresso delle tecniche conoscitive del territorio e all’aumentare delle competenze che rifluiscono in fase pianificatoria. E in questo senso, il Consiglio di Stato ha già riconosciuto la legittimità di tale evoluzione (si veda, in questo senso, Consiglio di Stato, sez. IV, 10 maggio 2012 n.2710 sulla plurifunzionalità della pianificazione urbanistica; Consiglio di Stato, sez. V, 24 aprile 2013 n. 2265, sulla tutela beni artistici all’interno del PRG; Consiglio di Stato, sez. IV, 9 gennaio 2014 n. 36 sulla tutela ambientale all’interno del PRG; e Consiglio di Stato, sez. IV, 22/12/2014 n. 6290, che individua i limiti di tale iter).

In particolare, la necessità di un apporto conoscitivo ulteriore, di una maggiore penetrazione istruttoria prima della determinazione amministrativa, è riconosciuto da una pluralità di leggi regionali che, proprio al fine di restringere l’ambito di discrezionalità ed ancorare maggiormente le scelte all’effettiva realtà del territorio, impongono indagini preliminari di maggior spessore rispetto al minimo dato originariamente previsto dall’art. 7 della legge urbanistica (che indicava come contenuti del PRG unicamente … la rete delle principali vie di comunicazione … la divisione in zone del territorio comunale … le aree destinate a formare spazi di uso pubblico o sottoposte a speciali servitù … o da riservare ad edifici pubblici o di uso pubblico nonché ad opere ed impianti di interesse collettivo o sociale … i vincoli da osservare … e le norme per l’attuazione). Ad esempio, la legge regionale Veneto n. 11 del 2004, su cui si fonda il ricorso de qua, prevede espressamente, all’art. 2, che le finalità del governo del territorio siano perseguite tramite “l’adozione e l’utilizzo di un sistema informativo territoriale unificato e accessibile, al fine di disporre di elementi conoscitivi raffrontabili”.

Se quindi, in un senso più generale, la tendenza generalizzata ad un incremento istruttorio funzionalizzato all’adozione degli strumenti urbanistici rende arduo credere che un simile apparato conoscitivo non comporti una collegata necessità dell’amministrazione di dare conto della coerenza delle proprie valutazioni, in raffronto con i dati acquisiti, in un senso più limitato, tale impostazione appare maggiormente rilevante in situazioni come quella in scrutinio, dove l’elemento di spicco è dato dal repentino mutamento di atteggiamento dell’amministrazione in assenza di sostanziali novità rispetto alle valutazioni pregresse.

In particolare, non vi è stata confutazione delle asserzioni della parte appellante sulle incongruità della decisione impugnata, contenute nel punto 10. del primo motivo e relative a:

– la situazione di recente destinazione all’edificazione di un lotto limitrofo;

– il riconoscimento dello status urbanistico richiesto dalla parte in favore di un’area posta ad est e ricadente in zona di rispetto cimiteriale;

– la sufficienza della dotazione di impianti sportivi in area.

Conclusivamente, l’apporto motivazionale degli atti gravati appare globalmente insufficiente a giustificare la scelta urbanistica dell’amministrazione che, in tal senso, deve essere censurata.

Il motivo va quindi accolto, con consequenziale annullamento degli atti gravati.

6. – L’accoglimento del primo motivo di appello con conseguente obbligo di nuova rideterminazione dell’amministrazione è satisfattivo delle pretese della parte appellante (che, peraltro, non ha riproposto in sede di appello l’originaria domanda risarcitoria, sulla quale questa Sezione non deve quindi pronunciarsi), per cui i successivi motivi di gravame possono essere assorbiti.

Ritiene tuttavia la Sezione di doversi soffermare, en passant, su una affermazione rilevante del giudice di prime cure che non intende assolutamente condividere. Si tratta del capo in cui il T.A.R. del Veneto testualmente afferma: “poichè le scelte urbanistiche hanno un effetto necessariamente disuguagliante, piuttosto, in questa materia, la regola è paradossalmente la disparità di trattamento, non essendo possibile pianificare l’uso del territorio senza differenziare le varie sue parti, valorizzandole alcune, destinandole ad esempio all’edilizia privata, e mettendone altre più o meno direttamente al loro servizio. In altri termini, poiché il piano ha come oggetto principale quello di attribuire destinazioni di aree, che non possono essere comunque le stesse, esso riveste necessariamente un carattere discriminatorio.”

È noto alla Sezione come una tale posizione abbia avuto la sua fonte in posizioni dottrinali, con affermazioni peraltro riferite alle modalità di adozione dei primi strumenti pianificatori e forse in parte superate dalla successiva evoluzione, cui sopra si è fatto cenno. Tuttavia, il giudice ha una posizione diversa da quella dello studioso e qualora ravvisi negli strumenti normativi utilizzati l’esistenza di un “carattere discriminatorio” ha il dovere, a norma dell’art. 1 della legge costituzionale n. 1 del 1948, di sottoporre la questione al vaglio del giudice delle leggi per contrasto con l’art. 3 della carta fondamentale, non potendosi ovviamente acquietare su uno stato di fatto.

Peraltro, va incidentalmente notato come questo profilo, quello del carattere discriminatorio della pianificazione urbanistica, è stato espressamente oggetto di valutazione da parte del complesso di leggi regionali fondate sul concetto di perequazione, da cui nasce la necessità di valutare la congruità del sistema creatosi non in ragione di un impossibile egalitarismo ma sotto l’ottica di una considerazione delle ragioni di diversità, secondo il consolidato schema della Corte costituzionale per cui “si ha violazione dell’art. 3 della Costituzione quando situazioni sostanzialmente identiche siano disciplinate in modo ingiustificatamente diverso, mentre non si manifesta tale contrasto quando alla diversità di disciplina corrispondano situazioni non sostanzialmente identiche” (da ultimo, Corte costituzionale, 12 novembre 2004 n. 340).

7. – Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

8. – L’appello va quindi accolto. Sussistono peraltro motivi per compensare integralmente tra le parti le spese processuali, determinati dalla novità della questione decisa (così da ultimo, Cassazione civile, sez. un., 30 luglio 2008 n. 20598) e quindi dall’impossibilità di fare riferimento ad un indirizzo giurisprudenziale di riferimento.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, così provvede:

1. Accoglie l’appello n. 122 del 2014 e, per l’effetto, in riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, sezione seconda, n. 677 del 9 maggio 2013, accoglie il ricorso di primo grado;

2. Compensa integralmente tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 17 febbraio 2015, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quarta – con la partecipazione dei signori:

Giorgio Giaccardi – Presidente

Diego Sabatino – Consigliere, Estensore

Raffaele Potenza – Consigliere

Andrea Migliozzi – Consigliere

Oberdan Forlenza – Consigliere

Depositata in Segreteria il 14 maggio 2015.

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