Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 9 agosto 2017, n. 3964

In tema di revocazione, occorre ricordare che, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, l’errore di fatto, che consente di rimettere in discussione il decisum del giudice, è solo quello che non coinvolge l’attività valutativa dell’organo decidente, ma tende invece ad eliminare l’ostacolo materiale frapposto fra la realtà del processo e la percezione che di questa il giudice abbia avuto, ostacolo promanante da una omessa percezione e sempreché il fatto oggetto di asserito errore non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza impugnata per revocazione abbia pronunciato; deve trattarsi, quindi, di una semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale deve apparire con immediatezza e di semplice rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche.

 

Consiglio di Stato

sezione V

sentenza 9 agosto 2017, n. 3964

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Quinta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso iscritto al numero di registro generale 10064 del 2015, proposto da:

Br. Co. Ca., rappresentato e difeso dall’avvocato An. Mo., con domicilio eletto presso lo studio Associati Srl Gr. in Roma, corso (…);

contro

Comune di (omissis), in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avvocato Be. Gr., con domicilio eletto presso lo studio Al. Pl. in Roma, via (…);

sul ricorso numero di registro generale 10066 del 2015, proposto da:

Br. Co. Ca., rappresentato e difeso dall’avvocato An. Mo., con domicilio eletto presso lo studio Gi. Ma. Gr. in Roma, corso (…);

contro

Comune di (omissis), in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avvocato Be. Gr., con domicilio eletto presso lo studio Al. Pl. in Roma, via (…);

per la revocazione

quanto al ricorso n. 10064 del 2015 della sentenza del Consiglio di Stato – Sez. V, n. 03692/2015;

quanto al ricorso n. 10066 del 2015 della sentenza del Consiglio di Stato – Sez. V, n. 03693/2015;

Visti i ricorsi e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in entrambi i giudizi del Comune di (omissis);

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore all’udienza del 27 aprile 2017 il Cons. Carlo Saltelli e uditi per le parti gli avvocati Ga. Pa., su delega dell’avv. Mo., e Be. Gr.;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

FATTO

1. Il Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia Romagna, sez. I, con la sentenza n. 8122 del 16 dicembre 2010, in accoglimento del ricorso proposto dal sig. Br. Co. Ca., annullava la delibera della Giunta comunale di Comacchio n. 863 del 18 agosto 1997, di recesso dal contratto di lavoro, ritenendo fondata solo la censura di incompetenza, spettando al sindaco l’adozione di tale atto, e respingendo tutti gli altri motivi (violazione degli artt. 7 e 8 della l. n. 241 del 1990, difetto di motivazione, contraddittorietà dell’azione amministrativa).

2. Tale sentenza, notificata dall’interessato in data 2 febbraio 2011, veniva impugnata dal Comune di (omissis) che, con atto notificato a mezzo del servizio postale il 23 marzo 2011, ne chiedeva la riforma alla stregua di due motivi, con il primo dei quali lamentava la carenza di interesse (in quanto, indipendentemente dal vizio – meramente formale – di incompetenza, il tribunale aveva ritenuto sostanzialmente corretto l’operato dell’amministrazione), mentre con il secondo deduceva la violazione e falsa applicazione degli artt. 32 e 35 della l. n. 142 del 1990, nonché dell’art. 24, comma 6, dello Statuto comunale (negando in particolare la competenza del sindaco nella materia de qua e la coerenza dei precedenti giurisprudenziali richiamati dal tribunale).

Il ricorso veniva iscritto al NRG. 3064 dell’anno 2011.

3. Il sig. Br. Co. Ca. con atto notificato il 16/20 maggio 2011, oltre a resistere al gravame, chiedendone il rigetto, spiegava anche appello incidentale tardivo (ex art. 96 c.p.a. e art. 334 c.p.c.) riproponendo i tre motivi del ricorso introduttivo del giudizio respinti dai primi giudici: il Comune di (omissis) deduceva l’inammissibilità dell’appello incidentale, in quanto tardivo, e comunque la sua infondatezza.

4. Nelle more della decisione del predetto gravame con provvedimento del Segretario generale del Comune di (omissis), prot. Segr./DF,65CMC del 19 giugno 2013, veniva convalidata la delibera della Giunta comunale di Comacchio n. 863 del 18 agosto 1997.

5. Il sig. Br. Co. Ca. con atto notificato il 2 ottobre 2013 ricorreva al Tribunale amministrativo per l’esecuzione della precedente sentenza n. 8122 del 2010, previa declaratoria di nullità o inefficacia del nuovo atto adottato dal Segretario generale dell’ente, deducendo la violazione dell’art. 6 della l. n. 249 del 1968 e dell’art. 21 nonies della l. 241, falso supposto di fatto e di diritto nonché, in via del tutto gradata incompetenza, violazione degli artt. 89 e 97 del D. Lgs. n. 267 del 2000, degli artt. 28 e 29 dello Statuto dell’ente e falsa applicazione degli artt. 55 e 55 bis del D. Lgs. n. 165 del 2001; in via subordinata ed alternativa sottolineava che l’atto del Segretario generale veniva impugnato tempestivamente per la denegata ipotesi che fosse ritenuta necessario l’azione di annullamento e non quella di ottemperanza, previa eventuale conversione del rito.

6. L’adito tribunale, sez. I, con la sentenza n. 62 del 13 gennaio 2014, nella resistenza dell’intimata amministrazione comunale di Comacchio, respingeva il ricorso ritenendolo infondato, sia quanto all’azione di ottemperanza che a quella impugnatoria.

7. Anche tale sentenza veniva appellata dall’interessato con atto notificato il 10 aprile 2014 alla stregua degli stessi quattro motivi di censura sollevati in primo grado, secondo l’appellante malamente apprezzati, superficialmente esaminati ed ingiustamente respinti con motivazione lacunosa ed affatto condivisibile.

Il ricorso veniva iscritto al NRG. 3334 dell’anno 2014.

8. Il Comune di (omissis), costituendosi in giudizio, deduceva l’inammissibilità e l’infondatezza dell’avverso gravame.

9. Con la sentenza n. 3692 del 28 luglio 2015 la Sezione ha respinto l’appello proposto nei confronti della sentenza n. 62 del 13 gennaio 2014, ritenendo infondata sia l’azione di ottemperanza, sia quella impugnatoria, non essendo favorevolmente scrutinabili le censure di violazione dell’art. 6 della legge 18 marzo 1968, n. 249 e dell’art. 21 nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241, sotto i vari profili prospettati.

10. In conseguenza di tale decisione con la sentenza n. 3693 pure del 28 luglio 2015 è stato dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse l’appello proposto per l’annullamento della sentenza n. 8122 del 16 dicembre 2010.

11. Con ricorso notificato a mezzo del servizio postale il 26/27 novembre 2015 il sig. Br. Co. Ca. ha chiesto la revocazione della citata sentenza n. 3692 del 28 luglio 2915, alla stregua di due ordini di motivi, rubricati rispettivamente il primo “Errore di fatto revocatorio ex art. 106 c.p.a. e art. 395 n. 4 c.p.c. sul primo motivo di ricorso, che si ripropone” ed il secondo “Errore di fatto revocatorio ex art. 106 c.p.a. e art. 395 n. 4 c.p.c. sul terzo motivo di ricorso che si ripropone”.

Il ricorso è stato iscritto al NRG. 10064 dell’anno 2015.

Ha resistito il Comune di (omissis) che ha dedotto l’inammissibilità e l’infondatezza del gravame, chiedendone il rigetto.

All’udienza in camera di consiglio del 27 aprile 2017, la Sezione ha informato i difensori delle parti che la causa sarebbe stata trattata in udienza pubblica per connessione con l’altra causa, pendente tra le stesse parti, iscritto al NRG. 10088 dell’anno 2015.

12. Con altro ricorso notificato a mezzo del servizio postale il 26/27 novembre 2015 il sig. Br. Co. Ca. ha chiesto la revocazione anche della sentenza n. 3693 del 28 luglio 2015, lamentando “Errore di fatto revocatorio derivato ex art. 106 c.p.a. e art. 395 n. 4 c.p.c.. Riproposizione dell’appello incidentale sull’assorbimento dei motivi sostanziali” e “In via subordinata. Riproposizione dell’appello incidentale sui tre motivi di ricorso sostanziali, rigettati con la sentenza di primo grado”.

Il ricorso è stato iscritto al NRG. 10066 dell’anno 2015.

Anche in questo giudizio si è costituito il Comune di (omissis), deducendo l’inammissibilità e l’infondatezza del gravame.

All’udienza pubblica del 27 aprile 2017, dopo la rituale discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

13. In via preliminare occorre ricordare che è stata disposta la conversione del rito, da camera di consiglio in ordinario, per il ricorso NRG. 10064/2015, così che entrambi i ricorsi per revocazione (NRG. 10064/2015 e NRG. 10066/2015), ora assoggettati allo stesso rito ordinario, possono essere riuniti e trattati congiuntamente, in quanto evidentemente connessi, soggettivamente ed oggettivamente.

14. In tema di revocazione, occorre ricordare che, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, l’errore di fatto, che consente di rimettere in discussione il decisum del giudice, è solo quello che non coinvolge l’attività valutativa dell’organo decidente, ma tende invece ad eliminare l’ostacolo materiale frapposto fra la realtà del processo e la percezione che di questa il giudice abbia avuto, ostacolo promanante da una omessa percezione e sempreché il fatto oggetto di asserito errore non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza impugnata per revocazione abbia pronunciato; deve trattarsi, quindi, di una semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale deve apparire con immediatezza e di semplice rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche (ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 30 dicembre 2016, n. 5548).

E’ stato ripetutamente affermato che nel processo amministrativo l’errore di fatto, idoneo a fondare la domanda di revocazione ai sensi del combinato disposto degli artt. 106 c.p.a. e 395 n. 4, c.p.c., deve rispondere a tre requisiti: a) derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, che abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto fattuale, ritenendo così un fatto documentale escluso e inesistente un fatto documentale provato; b) attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato; c) essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra l’erronea presupposizione e la pronuncia stessa; l’errore deve, inoltre, apparire con immediatezza ed essere di semplice rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche; pertanto, mentre l’errore di fatto revocatorio è configurabile nell’attività preliminare del giudice di lettura e percezione degli atti acquisiti al processo, quanto alla loro esistenza ed al loro significato letterale, senza coinvolgere la successiva attività d’interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande e delle eccezioni ai fini della formazione del convincimento, cosìcchè rientrano nella nozione dell’errore di fatto di cui all’art. 395, n. 4, c.p.c., i casi in cui il giudice, per svista sulla percezione delle risultanze materiali del processo, sia incorso in omissione di pronunzia o abbia esteso la decisione a domande o ad eccezioni non rinvenibili negli atti del processo; non ricorre, invece, nell’ipotesi di erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali o di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, ovvero quando la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o sulla base di un esame critico della documentazione acquisita, tutte ipotesi queste che danno luogo semmai ad un ipotetico errore di giudizio, non censurabile mediante la revocazione, la quale altrimenti si trasformerebbe in un ulteriore grado del giudizio, non previsto dall’ordinamento (fra le più recenti, Cons. Stato, sez. V, 12 gennaio 2017, n. 1296; 4 aprile 2017, n. 1551; 6 aprile 2017, n. 1610; sez. III, 21 marzo 2017, n. 1296).

15. Ciò premesso, le revocazioni in esame sono inammissibili.

15.1. Quanto al ricorso per revocazione NRG. 10064/2015, la tesi del ricorrente, secondo cui i giudici di appello non si sarebbe accorti che la sentenza n. 8122 del 2010 era stata oggetto di un appello incidentale e pertanto non poteva essere considerata passata in giudicato, non è meritevole di favorevole considerazione e non integra – ad avviso della Sezione – la fattispecie dell’errore di fatto.

15.1.1. In realtà l’affermazione secondo cui (pag. 4) “In assenza di una impugnazione dell’interessato (che avrebbe potuto dedurre in grado di appello che l’annullamento per incompetenza avrebbe dovuto precludere l’esame degli altri motivi), la medesima sentenza del TAR ha comportato un giudicato anche in ordine alla reiezione dei motivi di carattere sostanziale”, ancorché criptica e non del tutto univoca (in relazione a quanto dedotto dal ricorrente), risulta frutto non già di un errore di fatto, quanto piuttosto di diritto in ordine alla valutazione del passaggio in giudicato della sentenza; peraltro, sotto altro concorrente profilo, non può sottacersi che, come dedotto dalla difesa dell’ente intimato, la questione della stessa ammissibilità – sotto il profilo della sua tempestività – del ricorso incidentale tardivo spiegato dall’interessato era stata oggetto di un inteso dibattito difensivo, così che non può escludersi che quell’affermazione della mancata impugnazione della sentenza n. 8122 del 2010 si ricollegasse (ancorché non puntualmente espressa) proprio alla convinzione dei giudici di appello dell’inammissibilità della predetta impugnazione incidentale.

15.1.2. In ogni caso la Sezione osserva che (anche ammesso che i giudici di appello avessero omesso di pronunciarsi sui motivi dell’appello incidentale), essi (erano e) sono infondati.

E’ sufficiente osservare, quanto al primo motivo dell’appello incidentale (sub. § 8.1.) che la tesi della asserita genericità della motivazione di recesso è apodittica e priva di qualsiasi supporto probatorio, risolvendosi così in un mero inammissibile dissenso alla diversa opinione dei primi giudici che, in modo non implausibile, avevano sottolineato la ragionevolezza e l’adeguatezza della motivazione, suffragata anche da idonee risultanze istruttorie (anche queste inammissibilmente ed apoditticamente ritenute non decisive o addirittura irrilevanti dall’appellante).

Quanto al secondo motivo, poi, indipendentemente da qualsivoglia altra considerazione, deve rilevarsi che, secondo un consolidato e condivisibile indirizzo giurisprudenziale, la violazione delle garanzie procedimentali non determina automaticamente l’illegittimità del provvedimento amministrativo, salvo che l’interessato non provi che la partecipazione procedimentale avrebbe condotto ad un contenuto, anche solo parzialmente differente, del provvedimento stesso, prova che nel caso di specie non è stata fornita.

15.1.3. E’ appena il caso di rilevare che non costituiscono errori di fatto né il rigetto del motivo di appello concernente la dedotta violazione dell’art. 6 della legge n. 249 del 1968, né la asserita erronea interpretazione della delibera di modificazione dello Statuto comunale di Comacchio, trattandosi in ogni caso, a tutto voler concedere, di eventuali errori di diritto, coinvolgendo l’attività valutativa del giudice.

15.2. Conseguentemente è inammissibile anche la revocazione NRG. 10066/2015.

16. In conclusione i ricorso riuniti devono essere dichiarati inammissibili.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sui ricorsi segnati in epigrafe, li riunisce e li dichiara inammissibili.

Condanna il ricorrente al pagamento in favore del Comune di (omissis) delle spese del presente giudizio che si liquidano complessivamente in €. 2.500,00 (duemilacinquecento), oltre IVA e CPA ed altri accessori di legge, se spettanti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 aprile 2017 con l’intervento dei magistrati:

Carlo Saltelli – Presidente, Estensore

Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere

Fabio Franconiero – Consigliere

Stefano Fantini – Consigliere

Daniele Ravenna – Consigliere

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