Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione V

sentenza 16 marzo 2016, n. 1056

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Quinta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso iscritto in appello al numero di registro generale 4196 del 2015, proposto da:

FE. FR. E FE. FR., rappresentati e difesi dall’avv. Sa. Di. Pa., con domicilio eletto presso Ce. It. Srl Re. Bu. in Roma, piazza (…);

contro

CO. BO. IN. LA., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dall’avv. An. Gu., con domicilio eletto presso Al. Pi. in Roma, Via (…);

nei confronti di

DI. VI. BE., non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. MOLISE, Sez. I, n. 29 del 30 gennaio 2015, resa tra le parti, concernente progettazione esecutiva dei lavori per l’emergenza idrica nella Regione Molise;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Co. Bo. In. La.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 novembre 2015 il Cons. Carlo Saltelli e uditi per le parti gli avvocati Gi. Di. Pa., su delega dell’avv. Sa. Di. Pa., e An. Gu.;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

FATTO

1. Il Comitato esecutivo del Co. di. Bo. In. la. (d’ora in avanti, anche solo il Co.) con delibera n. 82 del 30 settembre 2011 ha annullato in autotutela la delibera commissariale n. 188 del 29 dicembre 2006, con la quale la direzione dei lavori, misura e contabilità dei lavori di “Irrigazione del (omissis) con le acque dei fiumi (omissis) e (omissis) – 1° intervento” era stata affidata agli ingg. Lu. Fe. e Fr. Fe. e all’arch. Fr. Fe., già progettisti delle opere stesse, stabilendosi, tra l’altro, che l’incarico stesso sarebbe divenuto operativo dopo la sottoscrizione e registrazione della relativa convenzione.

Secondo il Co., infatti, quella delibera era illegittima perché la scelta dei professionisti non era avvenuta attraverso l’apposita procedura ad evidenza pubblica, in violazione dell’art. 91, comma 1, del D. Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, e non era stato neppure rispettato l’ordine di priorità fissato dagli artt. 90 e 130 dello stesso D. Lgs. n. 163 del 2006, sussistendo pertanto i presupposti per l’applicazione dell’art. 21 nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241, non essendo meritevoli di apprezzamento le osservazioni e controdeduzioni svolte in sede procedimentale dagli interessati.

2. Il Tribunale amministrativo regionale per il Molise, sez. I (innanzi al quale il giudizio era stato riassunto a seguito della sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, n. 3077 del 17 giugno 2014, che ha riconosciuto nella controversia de qua la sussistenza della potestas iudicandi del giudice amministrativo), nella resistenza del Co., definitivamente pronunciando sul ricorso proposto dagli ingg. Lu. Fe. e Fr. Fe. e dall’arch. Fr. Fe. per l’annullamento della predetta delibera, ha dichiarato inammissibile l’istanza di accesso agli atti formulata dai ricorrenti nel corso del giudizio, ai sensi dell’art. 116, co. 1 e 2, c.p.a. ed ha respinto il ricorso, ritenendo infondati i motivi di censura sollevati.

3. L’ing. Fr. Fe. e l’arch. Fr. Fe. con rituale e tempestivo atto di appello hanno chiesto la riforma di tale sentenza, deducendone l’erroneità, l’illegittimità e la contraddittorietà e riproponendo a tal fine le censure formulate in primo grado (“Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 7 e ss. della legge n. 241/1990 e s.m.i., nonché degli artt. 22 e ss. della L. n. 241/1990 e s.m.i. e degli artt. 15 e 27 e ss. del Regolamento consortile per la disciplina dell’attività amministrativa, delle modalità di esercizio e dei casi di esclusione del diritto di accesso ai documenti amministrativi. Violazione degli artt. 3 e 10 della L. n. 241/1990. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 21 octies e 21 nonies della L. n. 241/1990. Contraddittorietà, perplessità e sviamento. Violazione dell’art. 97 della Costituzione”; “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 21 octies e 21 nonies della L. n. 241/1990 nonché dell’art. 1, comma 136, della L. n. 311/2004. Violazione dell’art. 3 della L. n. 241/1990. Violazione e/o falsa applicazione della L. n. 109/1994, del D. Lgs. n. 163/2006 e del D.P.R. n. 554/1999. Difetto assoluto dei presupposti e travisamento dei fatti. Irragionevolezza e contraddittorietà della motivazione. Ingiustizia manifesta e sviamento. Violazione degli artt. 3 e 97 Cost.”), a loro avviso malamente apprezzati, superficialmente esaminati e frettolosamente respinti con motivazione lacunosa, contraddittoria e affatto condivisibile.

I ricorrenti, oltre a riservarsi l’introduzione della domanda di risarcimento dei danni per equivalente economico, hanno anche riproposto la domanda subordinata di annullamento della delibera impugnata relativamente alla misura dell’indennizzo spettante ovvero di riconoscimento del giusto indennizzo, ai sensi dell’art. 1, co. 136, della legge n. 311 del 2004, stimato in €. 1.239.046,03 ovvero nella diversa somma ritenuta di giustizia, con condanna del Co. al relativo pagamento, comprensiva di interessi legali e rivalutazione monetaria.

Ha resistito al gravame il Co. che ne ha dedotto l’inammissibilità e l’infondatezza, insistendo per il suo rigetto.

4. Nell’imminenza dell’udienza di discussione le parti hanno illustrato con apposite memorie le proprie tesi difensive, replicando a quelle avversarie.

All’udienza pubblica del 17 novembre 2015, dopo la rituale discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

5. L’appello è infondato, il che consente di prescindere dall’eccezione sollevata dall’appellato Co. di inammissibilità, ex art. 104, comma 2, c.p.a., della ulteriore nuova produzione documentale degli appellanti.

5.1. Questi con il primo motivo di gravame hanno lamentato l’erroneità della sentenza impugnata per aver, a loro avviso inopinatamente, respinto l’istanza di accesso ai sensi dell’art. 116, commi 1 e 2 c.p.a., sostenendo che in tal modo sarebbe stato loro impedito l’accesso agli atti e documenti di causa necessari ai fini del completo ed effettivo esercizio diritto di difesa: in particolare gli appellanti fanno riferimento agli atti e documenti concernenti la fase di esecuzione dei lavori e ai pareri legali in forza dei quali il Co. avrebbe deciso di procedere all’annullamento dell’originaria delibera commissariale n. 188 del 29 dicembre 2006; hanno poi soggiunto che la motivazione dell’atto impugnato non avrebbe riservato la dovuta considerazione alla pur limitata partecipazione procedimentale.

La doglianza non merita favorevole considerazione.

5.1.1. Occorre rilevare che la controversia de qua concerne esclusivamente la legittimità della deliberazione n. 82 del 30 settembre 2011, con la quale il Co. ha annullato in autotutela la delibera commissariale n. 188 del 29 dicembre 2006 che aveva affidato senza gara la direzione dei lavori, misura e contabilità dei lavori di “Irrigazione del (omissis) con le acque dei fiumi (omissis) e (omissis) – 1° intervento” agli ingg. Lu. Fe. e Fr. Fe. e all’arch. Fr. Fe., in quanto progettisti delle opere stesse.

La giurisprudenza ha avuto modo di precisare che la disciplina dettata dall’art. 13 del D. Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, in tema di accesso agli atti di gare pubbliche, è più restrittiva di quella generale di cui all’art. 24 della L. 7 agosto 1990 n. 241, sia sotto il profilo soggettivo, atteso che nel primo caso l’accesso è consentito solo al concorrente che abbia partecipato alla selezione (la preclusione all’accesso è invece totale qualora la richiesta sia avanzata da un soggetto terzo, anche se dimostri di avere un interesse differenziato), che sul piano oggettivo, essendo l’accesso condizionato alla sola comprovata esigenza di una difesa in giudizio, laddove il citato art. 24 offre un ventaglio più ampio di possibilità, consentendo l’accesso ove necessario per la tutela della posizione giuridica del richiedente, senza alcuna restrizione sul piano processuale (Cons. Stato, sez. V, 17 giugno 2014, n. 3079; 27 aprile 2015, n. 2096).

Pertanto, anche a voler prescindere dalla considerazione che non è stato contestato che il Co. abbia comunque consentito l’accesso agli atti e documenti che hanno dato luogo al provvedimento impugnato e che d’altra parte non siano stati neppure indicati quali sarebbero stati gli ulteriori documenti non resi ostensibili, gli appellanti non possono dolersi della mancata ostensione degli atti relativi alla fase di esecuzione dei lavori ed ai rapporti intercorsi tra l’amministrazione, la direzione dei lavori e l’impresa esecutrice dei lavori, rispetto ai quali essi non possono vantare alcuna posizione legittimante, né alcun interesse concreto ed attuale, non essendo in alcun modo pertinenti ed attinenti alla legittimità del provvedimento impugnato.

5.1.2. Quanto poi alla richiesta di acceso ai pareri legali, le conclusioni dei primi giudici non meritano censura.

Come emerge dalla sua lettura, l’ampia e articolata motivazione che caratterizza il provvedimento impugnato non risulta affatto imperniato su considerazioni giuridiche svolte dai legali del Co., così che non vi è alcuna prova e nemmeno qualche indizio che tali pareri abbiano effettivamente determinato la volontà dell’ente, circostanza che solo avrebbe reso fondata la richiesta degli interessati, oggi appellati.

Correttamente in mancanza di tali elementi probatori i primi giudici hanno ritenuto che i pareri legali di cui si discute non concernessero in modo esclusivo, diretto ed immediato il procedimento amministrativo conclusosi con l’atto impugnato e che potessero invece rientrare tra gli atti esclusi dall’accesso, trattandosi di pareri rientranti nelle tipiche attività precontenziose o concernenti una lite potenziale, definendo e/o delineando la relativa strategia difensiva e/o la futura condotta processuale più conveniente per l’Amministrazione, da assumere nella controversia giurisdizionale già instaurata o nella futura (Cons. Stato, sez. V, 2 aprile 2001, n. 1893; 23 giugno 2011, n. 3812).

5.1.3. E’ appena il caso di aggiungere che ai fini del rispetto dell’obbligo di motivazione di un provvedimento amministrativo non è necessario che siano confutate tutte le singole argomentazioni svolte dagli interessati in sede di partecipazione procedimentale.

Sono pertanto infondate le doglianze degli appellanti circa la presunta inidoneità ed insufficienza della motivazione del provvedimento impugnato a causa degli “…sporadici e laconici riferimenti…rintracciati nella ridetta libera” in relazione alla puntuale memoria procedimentale di confutazione della preannunciata volontà del Co. di annullare la precedente delibera consiliare; il che esclude anche qualsiasi vizio, sotto il profilo in esame, della sentenza in gravata.

5.2. Con il secondo articolato motivo di appello i ricorrenti hanno in realtà riproposto le censure sollevate con il ricorso introduttivo, sostenendo la legittimità della delibera commissariale n. 188 del 29 dicembre 2006, inopinatamente annullata in autotutela dal Co. con l’impugnata delibera n. 82 del 30 settembre 2011, senza che ne ricorressero i presupposti ex artt. 21 octies e 21 nonies della legge n. 241 del 1990 (illegittimità dell’atto da ritirare, interesse pubblico concreto ed attuale, ragionevole lasso di tempo intercorso dall’atto da ritirare e valutazione dell’affidamento).

La censura è infondata.

5.2.1. Con riguardo alla asserita legittimità della delibera commissariale n. 188 del 29 dicembre 2006 si osserva quanto segue.

5.2.1.1. E’ pacifico che con essa fu affidata agli ingg. Lu. Fe. e Fr. Fe., nonché all’architetto Fr. Fe., la direzione dei lavori, misura e contabilità dei lavori di “Irrigazione del (omissis) con le acque dei fiumi (omissis) e Fortore – 1° intervento”, sul presupposto, tra l’altro, che all’ing. Lu. Fe. era stato conferito, con precedente deliberazione commissariale n. 137 del 9 luglio 2001, l’incarico di progettista dell’intervento in questione, e che con successiva deliberazione commissariale n. 152 del 2 agosto 2001 era stata autorizzata l’associazione nella predetta funzione dell’ing. Fr. Fe. e dell’arch. Fr. Fe., con un unico compenso ed alle stesse condizioni già accettate dall’ing. Lu. Fe..

Nella ricordata delibera veniva anche precisato che ricorrevano le condizioni previste dall’art. 27, comma 2, lett. b), della legge 11 febbraio 1994, n. 109, e che tale affidamento diretto era da ritenersi conveniente “…sia in considerazione degli sconti offerti, comprendenti la riduzione del 10% degli onorari in base a quanto disposto con il D.L. 02/03/1989, n. 65 convertito nella legge 26/04/1989, e lo sconto del 25% sul rimborso spese forfettario, entrambi da applicarsi anche sulle parcelle della progettazione, sia in considerazione della rinuncia dell’Ing. Lu. Fe., nella sua qualità di progettista…, ad ogni suo diritto ed avere: passato, presente e futuro, in merito a qualsiasi prestazione professionale svolta per la suddetta progettazione…”.

5.2.1.2. Ciò posto, anche a voler prescindere dal fatto che al momento dell’emanazione della ricordata delibera n. 188 del 29 dicembre 2006 la legge 11 febbraio 1994, n. 109, era stata abrogata ai sensi e per gli effetti di quanto disposto dagli artt. 256 e 257 del D. Lgs. n. 163 del 2006 già dal 1° luglio 2006, deve osservarsi che seppure non possa negarsi che sia l’art. 27 della (abrogata) legge 11 febbraio 1994, n. 109, che l’art. 130 del D. Lgs. n. 163 del 2006 postulano l’obbligatorietà dell’ufficio della direzione dei lavori per l’esecuzione di lavori pubblici, prevedendo che esso possa essere conferito anche al progettista incaricato, non può tuttavia convenirsi con l’assunto degli appellanti, secondo cui il conferimento della direzione dei lavori potesse avvenire senza gara e automaticamente al progettista incaricato.

Proprio con specifico riferimento all’art. 27, comma 2, della l. n. 109 del 1994 la Corte di Giustizia UE, sez. II, con la sentenza n. 412, ha avuto modo di rilevare che “…le disposizioni degli artt. 27, comma 2, [e 28, comma 4] della legge n. 109/94, in quanto consentono di attribuire direttamente, senza messa in concorrenza, gli appalti pubblici di servizi in questione, violino, a seconda del valore dei suddetti appalti, sia le direttive 92/50 e 93/38, sia gli artt. 43 CE e 49 CE”.

In giurisprudenza è stato chiarito che “…il richiamato art. 27 della legge 11 febbraio 1994, n. 109, non esclude che la stazione appaltante affidi la direzione dei lavori di realizzazione dell’opera pubblica a professionista diverso dal progettista…” (Cons. Stato, sez. V, 5 luglio 2013, n. 3584).

La necessità di un procedimento di gara per l’affidamento degli incarichi di progettazione, di coordinamento della sicurezza in fase di progettazione, di direzione dei lavori, di coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione e di collaudo è espressamente prevista dall’art. 91, sia con riferimento agli appalti di importo pari o superiore a 100.000 euro, sia per quelli di importo inferiore, per i quali infatti il secondo comma dell’art. 91 del D. Lgs. n. 163 del 2006, impone comunque il “…rispetto dei principi di non discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità e trasparenza”, nonché della “…procedura prevista dall’art. 57, comma 6; l’invito è rivolto ad almeno cinque soggetti, se sussistono in tele numero aspiranti idonei” (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 26 gennaio 2015, n. 337; sez. V, 20 aprile 2015, n. 2001).

5.2.1.3. Non può sottacersi poi che, sempre secondo quanto stabilito dall’art. 130 del D. Lgs. n. 163 del 2006 (vigente all’epoca della delibera della cui legittimità si discute), l’affidamento della direzione dei lavori al progettista incaricato ai sensi dell’articolo 90, comma 6 (incarico che già di per sé presuppone la carenza nell’organico della stazione appaltante di personale tecnico o di difficoltà di rispettare i tempi della programmazione dei lavori o di svolgere le funzione di istituto ovvero ancora che si sia in presenza di lavori di speciale complessità o di rilevanza architettonica o ambientale ovvero si tratti di progetti integrali che richiedono l’apporto di una pluralità di competenze), costituisce un’ipotesi di per sé derogatoria, subordinata innanzitutto all’impossibilità da parte delle amministrazioni aggiudicatrici di svolgere le relative funzioni ricorrendo le stesse ipotesi di cui al richiamato comma 6 dell’art. 90, ed ancora all’impossibilità di affidare le stesse ad altre amministrazioni pubbliche, previa apposita intesa o convenzione di cui all’articolo 30 del D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (per completezza è appena il caso di sottolineare che disciplina sostanzialmente identica era contenuta anche nel secondo comma dell’art. 27 della legge n. 109 del 1994).

5.2.1.4. Sulla scorta del delineato substrato normativo deve ritenersi corretto l’operato del Co. che ha proceduto con la delibera n. 82 del 30 settembre 2011 all’annullamento della precedente delibera commissariale n. 188 del 29 dicembre 2006, motivando peraltro in modo sufficientemente puntuale sulle individuate ragioni dell’illegittimità della stessa (ivi compresa quella concernente l’impossibilità di far svolgere quelle funzioni da parte degli stessi uffici dell’amministrazione appaltante o da parte di un ufficio di altre amministrazioni pubbliche eventualmente da convenzionare), non potendo negarsi la sua manifesta difformità dalle indicate prescrizioni normative, tanto più che, indipendentemente da ogni considerazione sulla legittimità del carattere collegiale dell’ufficio di direzione dei lavori costituito nel caso di specie, già il conferimento dell’incarico di progettazione (ordinariamente al solo ing. Lu. Fe., cui poi erano stati associati l’ing. Fr. Fe. e l’arch. Fr. Fe.) era avvenuto in via diretta, senza il previo espletamento di alcuna procedura di gara.

Né a conforto della sostenuta legittimità della delibera commissariale oggetto dell’annullamento in autotutela può invocarsi la procedura eccezionale prevista dalla normativa in tema di infrastrutture strategiche nel cui novero sarebbero i lavori di cui si discute: come correttamente rilevato anche dai giudici di prime cure, la previsione derogatoria del comma 5, dell’art. 164 del D. Lgs. n. 163 del 2006 riguarda invero l’affidamento dei soli incarichi di progettazione e non anche quello di direzione dei lavori ed inoltre il notevole lasso di tempo intercorso tra il conferimento dell’incarico di progettazione (delibera della deputazione amministrativa n. 22 del 14 marzo 1980, delibere commissariali n. 137 del 9 luglio 2001 e n. 152 del 2 agosto 2001) e quello della direzione dei lavori (delibera del comitato esecutivo n. 188 del 19 dicembre 2006) esclude la ricorrenza di una situazione di assoluta ed urgenza invocata dagli appellanti per l’affidamento senza gara di quest’ultimo.

Resta solo da aggiungere che eventuali illegittimità compiute dal Co. nel conferimento di identici incarichi per lavori o servizi analoghi ovvero per eventuali situazioni di criticità tra il nuovo soggetto incaricato della direzione dei lavori e quello incaricato della funzione di responsabile unico del procedimento sono del tutto estranei all’ambito della cognizione propria del provvedimento impugnato e non sono pertanto rilevanti ed idonei ad inficiarne la legittimità.

5.2.2. Gli appellanti hanno poi sostenuto che, diversamente da quanto ritenuto dai primi giudici, non sussisterebbe nel caso di specie ovvero non sarebbe stato indicato l’interesse pubblico, concreto ed attuale, che deve necessariamente supportare un provvedimento di ritiro, non potendo esso consistere nel mero ripristino della legalità eventualmente violata.

Anche tale doglianza non merito accoglimento giacché l’annullamento in autotutela della delibera commissariale n. 188 del 29 dicembre 2006 è giustificato non solo per il ripristino della legalità astrattamente violata, ma anche per consentire nel rispetto della “ratio” normativa più volte ricordata la valorizzazione delle professionalità interne dell’ente stesso, conseguendo altresì un notevole risparmio economico, il che rende evidentemente recessiva la posizione degli appellanti, anche con riferimento all’affidamento da essi vantato alla conservazione dell’incarico.

Ciò senza contare che, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, dal quale non vi è motivo per discostarsi, non vi è neppure bisogno di una particolare motivazione sull’interesse pubblico e sulla comparazione tra quest’ultimo e quello del privato allorché l’annullamento dell’atto in autotutela elimini l’indebita o ingiustificata erogazione di somme, sussidi e benefici a carico delle finanze pubbliche, in tal caso l’interesse pubblico essendo in re ipsa, senza che possa assumere rilievo in senso contrario neppure il decorso del tempo (ex multis, Cons. Stato, sez. V, 12 novembre 2013, n. 5415; 23 ottobre 20124, n. 5267; sez. III, 11 novembre 2014, n. 5539; 22 dicembre 2014, n. 6310).

Nel caso di specie il risparmio per la finanza pubblica, come si ricava dalla lettura della delibera impugnata, sarebbe pari a €. 1.450.000,00; gli stessi appellanti del resto anche solo a titolo di indennizzo rivendicano la somma di €. 1.239.046,03; sono per contro irrilevanti le mere considerazioni, di natura esclusivamente soggettive, degli appellanti secondo cui l’annullamento dell’atto di affidamento delle funzioni di direzione dei lavori in loro favore determinerebbe un aggravio di spese per il Co., anche per la minore qualità prestazionale delle stesse da parte dei soggetti interni incaricati.

5.2.3. Ancorché le considerazioni svolte rendano già di per sé prive di fondatezza anche le ulteriore doglianza circa il notevole lasso di tempo intercorso tra l’atto impugnato e l’atto annullato in autotutela e circa la asserita mancata valutazione dell’affidamento, deve osservarsi ancora quanto segue.

Con riguardo alla ragionevolezza del termine entro cui l’amministrazione può esercitare il potere di autotutela, deve sottolinearsi che l’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990, non lo quantifica specificamente, spettando conseguentemente al giudice di valutarne in concreto la ragionevolezza (Cons. Stato, sez. VI, 27 febbraio 2012 n. 1081; sez. IV, 16 aprile 2015, n. 1953); d’altra parte è stato evidenziato che al fine di fornire adeguata interpretazione all’espressione normativa del “termine ragionevole”, non deve riguardata soltanto la frazione temporale in sé per sé considerata decorrente tra la data del provvedimento ampliativo della sfera giuridica del destinatario ed il suo ritiro in autotutela, né è dirimente considerare il termine di durata complessiva dell’operatività del provvedimento, dovendo piuttosto tenersi conto gli effetti che medio tempore quel provvedimento ha prodotto (Cons. Stato, sez. III, 8 settembre 2009, n. 4533; sez. VI, 14 novembre 2014, n. 5609).

Ciò posto, anche a voler prescindere dal fatto che secondo quanto condivisibilmente affermato dalla giurisprudenza (Cons. Stato, sez, V, 22 dicembre 2014, n. 6275), secondo cui “Considerate le “ragioni di interesse pubblico” menzionate dall’art. 21 nonies della l. 241 del 1990, tale ultima disposizione sull’annullamento d’ufficio, in quanto contenuta in norma successiva e recante disciplina organica dell’istituto, prevale sulla disposizione più restrittiva, inserita nell’art. 1, comma 136, della legge finanziaria n. 311 del 2004, con la conseguenza pratica che il decorso di tre anni di efficacia del provvedimento illegittimo non preclude alla p.a. l’esercizio dell’annullamento d’ufficio”, deve rilevarsi che nel caso di specie la annullata delibera n. 188 del 29 dicembre 2006 non era immediatamente efficacia, non quest’ultima essendo subordinata alla sottoscrizione e registrazione di apposita convenzione, come si ricava dal punto 3 del suo dispositivo, laddove era stabilito che “…per rendere operante l’incarico affidato, dovrà essere sottoscritta e registrata la convenzione regolante i rapporti Co. – Professionisti, secondo lo schema approvato ed allegato alla presente.

Peraltro, benché tale convenzione sia stata effettivamente sottoscritta il 5 gennaio 2007 e registrata l’11 gennaio 2007, il relativo articolo 6 rinviava ad un successivo atto la costituzione dell’Ufficio della Direzione dei lavori, formato da direttore dei lavori e da un direttore operativo “…individuati nelle tre figure professionale dei professionisti incaricarti”: poiché tale costituzione, come si legge nella delibera impugnata, può ricondursi alla nota dello studio Fe. del 21 agosto 2009 che individua il direttore dei lavori ed il direttore dei lavori, rispetto a tale data non è neppure decorso il triennio invocato dagli appellanti.

Il che non consente neppure di poter valutare come autonomamente rilevante l’asserito affidamento degli interessati alla conservazione dell’atto annullato in autotutela, potendo rammentarsi al riguardo che, quantunque l’esercizio dello “jus poenitendi” da parte dell’amministrazione incontri un limite nell’esigenza di salvaguardare le situazioni dei soggetti privati che, confidando nella legittimità dell’atto amministrativo rimosso, abbiano acquisito il consolidamento delle posizioni di vantaggio loro attribuite, il travolgimento tali posizioni è da considerarsi legittimo quando, come nella fattispecie in esame, sia giustificato dalla necessità d’assicurare il soddisfacimento di un interesse di carattere generale, prevalente come tale sulle posizioni individuali, dandone idonea contezza nella motivazione del provvedimento di rimozione, affinché ne sia consentito il controllo di legittimità in sede giurisdizionale (Cons. Stato, sez, V, 2 ottobre 2014, n. 4919).

5.2.4. Anche quanto alla misura dell’indennizzo spettante le censure sollevate dagli appellanti devono essere respinte.

A fronte della puntuale motivazione contenuta sul punto nel provvedimento impugnato (secondo cui l’unica prestazione effettuata dalla direzione dei lavori per i lavori in questione sarebbe costituita dall’attestazione di cui all’art. 71, comma 1, del D.P.R. n. 554 del 1999, in data 7 giugno 2011 e che pertanto il lavoro svolto da tale ufficio a partire dalla sua effettiva costituzione, di cui alla nota del 21 agosto 2009, è quantificabile in €. 11.846,25) e di quella altrettanto puntuale contenuta nella sentenza impugnata (secondo cui l’indennizzo, limitato al solo danno emergente. Deve essere limitato ai soli compensi per prestazioni effettivamente eseguite e accettate dall’amministrazione, nonché al rimborso delle sole spese ad esse univocamente funzionale, non potendo pertanto includersi nell’indennizzo le spese sostenute in vista di prestazioni professionali non ancora rese), gli appellanti, senza svolgere alcuna specifica critica sulle motivazioni della sentenza, si sono limitati a sostenere la debenza di una somma ingente (€. 1.239.046,03), corrispondenti a veri e propri compensi professionali (come tali non dovuti) e ad spese delle quali non è stata fornita alcuna precisazione circa la loro inerenza all’attività effettivamente svolta.

Ciò rende infondata la censura, dovendo condividersi l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui l’indennizzo spettante al privato in caso di revoca o annullamento in autotutela è circoscritto al solo danno emergente, come del resto correttamente rilevato dai primi giudici (Cons. Stato, sez. IV, 7 febbraio 2012, n. 662).

6. In conclusione, alla stregua delle osservazioni svolte, l’appello deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello proposto dall’ing. Fr. Fe. e dall’arch. Fr. Fe. avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Molise, sez. I, n. 29 del 30 gennaio 2015, lo respinge.

Condanna gli appellanti al pagamento in favore del Co. delle spese del presente grado di giudizio che liquida complessivamente in €. 5.000,00 (cinquemila), oltre IVA, CPA ed altri accessori di legge, se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 novembre 2015 con l’intervento dei magistrati:

Alessandro Pajno – Presidente

Francesco Caringella – Consigliere

Carlo Saltelli – Consigliere, Estensore

Antonio Amicuzzi – Consigliere

Doris Durante – Consigliere

Depositata in Segreteria il 16 marzo 2016.

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