Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 11 luglio 2016, n. 3059

Sul piano definitorio ambiente e paesaggio sono concetti fortemente compenetrati, al punto che il secondo costituisce l’aspetto visibile del primo. “Paesaggiò’ indica «la morfologia del territorio», cioè «l’ambiente nel suo aspetto visivo». Entrambi rappresentano profili strettamente connessi della salvaguardia della preesistenza del contesto naturale e si correlano a esigenze primarie dell’individuo, trovando ciascuno un fondamento costituzionale nell’accezione ampia di tutela del paesaggio (art. 9), per la complessità dell’ambiente in combinazione con quella della salute (art. 32). Nell’ambito della valutazione di progetti aventi impatti sull’ambiente ai sensi del testo unico di cui al d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e della normativa regionale attuativa, gli enti ed organi competenti sono titolati ad esprimere il loro giudizio anche su profili di carattere paesaggistico

Consiglio di Stato

sezione V

sentenza 11 luglio 2016, n. 3059

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 131 del 2016, proposto da:
Sa. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,rappresentata e difesa dagli avvocati An. Li., An. Ca. e Te. Ma., con domicilio eletto presso il primo, in Roma, via delle (…);
contro
Regione Sardegna, Assessorato regionale della difesa dell’ambiente, Assessorato regionale degli enti locali, finanze e urbanistica, Assessorato regionale dell’industria, in persona del presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Al. Ca. e Sa. Tr., con domicilio eletto presso l’ufficio di rappresentanza regionale della Sardegna, in Roma, via (…);
Comune di (omissis), in persona del sindaco pro tempore,rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Ba. e St. Po., con domicilio eletto presso Fr. Li., in Roma, via (…);
Gruppo d’intervento giuridico onlus, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ro. Pa., con domicilio eletto presso la segreteria del Consiglio di Stato, in Roma, piazza (…);
Giunta regionale della Sardegna; Assessorato regionale della difesa dell’ambiente, direzione generale della difesa dell’ambiente, servizio sostenibilità ambientale, valutazione impatti e sistemi informativi;
Provincia di Oristano;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. SARDEGNA, SEZIONE II, n. 1057/2015, resa tra le parti, concernente una procedura di valutazione d’impatto ambientale per la realizzazione di un pozzo esplorativo per la ricerca di idrocarburi
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Sardegna e del Comune di (omissis);
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 giugno 2016 il consigliere Fabio Franconiero e uditi per le parti gli avvocati Ma., Ca. e Ba.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. La Sa. s.p.a. chiedeva alla Regione Sardegna (istanza del 29 giugno 2011) la verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale di un progetto per la realizzazione di un pozzo esplorativo per la ricerca di idrocarburi nel territorio del Comune di (omissis), elaborato dalla società richiedente nell’ambito del permesso minerario di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi in vari comuni delle Province di Oristano e del (omissis) denominato “(omissis)” (rilasciato dalla Regione alla Sa. con determinazione del 18 dicembre 2009, n. 17650). Disposto l’assoggettamento a valutazione di impatto ambientale (delibera di Giunta regionale n. 16 del 18 aprile 2012), e non essendo il conseguente procedimento pervenuto a definizione, pur dopo una prima conferenza di servizi tenutasi il 29 luglio 2014, la Sa. adiva il Tribunale amministrativo per la Sardegna con ricorso contro il silenzio ex artt. 31 e 117 Cod. proc. amm.
2. Quindi, nelle more del giudizio, la Regione si determinava sull’istanza dichiarandola improcedibile, a causa dell’incidenza dell’intervento all’interno della fascia costiera delimitata dal Piano paesaggistico regionale, in virtù delle cui norme tecniche di attuazione non sarebbero consentite nuove edificazioni a carattere industriale di natura non precaria del tipo di quella oggetto dell’istanza (nota prot. n. 19132 del 9 settembre 2014).
3. Contro questo provvedimento espresso e quelli ad esso presupposti la Sa. proponeva quindi motivi aggiunti per il relativo annullamento.
4. Dopo avere dichiarato la cessata materia del contendere sulla domanda contro il silenzio (sentenza 10 dicembre 2014, n. 1198), con la pronuncia in epigrafe il giudice di primo grado respingeva nel merito i motivi aggiunti sotto tutti i profili dedotti.
5. La Sa. ha pertanto proposto il presente appello, contenente i motivi di impugnazione già respinti dal Tribunale amministrativo, ed al quale resistono la Regione Sardegna, il Comune di (omissis) e l’interveniente ad opponendum Gr. di. in. gi. onlus.

DIRITTO

1. Deve premettersi in fatto che il provvedimento impugnato (nota di prot. n. 19132 del 9 settembre 2014) consiste in una dichiarazione di improcedibilità dell’istanza di valutazione di impatto ambientale emessa in dichiarata applicazione dell’art. 5 dell’allegato A (Procedura di valutazione di impatto ambientale) alla delibera di Giunta regionale n. 34/33 del 7 agosto 2012. La disposizione richiamata prevede che la Regione si pronunci in questo senso per l’ipotesi di non conformità del progetto rispetto alle «norme vigenti».
2. Nel caso di specie, la Regione Sardegna ha ritenuto che il pozzo esplorativo della Sa. confliggesse sotto più profili con il Piano paesaggistico regionale e il piano urbanistico del Comune di (omissis). Questo giudizio si fonda sulla nota n. di prot. 34292 del 1° agosto 2014 del Servizio regionale di tutela paesaggistica per le province di Oristano e del (omissis) della Regione, richiamata ed allegata al provvedimento dichiarativo dell’improcedibilità dell’istanza della Sa..
3. In quest’ultimo apporto procedimentale il Servizio regionale afferma che l’area oggetto dell’intervento proposto dalla società odierna appellante:
– «è sottoposta a vincolo paesaggistico» ai sensi dell’art. 143 del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, della legge n. 1497 del 1939, dell’art. 142 [lett. i)] del citato Codice del beni culturali e del paesaggio(zone umide, Convenzione di Ramsaar);
– ricade all’interno «del “bene identitario” – “Aree d’insediamento produttivo di interesse culturale” (Aree della bonifica) dell’Oasi di protezione faunistica “(omissis)” ed in prossimità di un sito di interesse comunitario»;
– ricade inoltre in zona agricola di primaria importanza per la funzione agricolo-produttiva dello strumento urbanistico del Comune di (omissis), nella quale «sono ammessi esclusivamente interventi legati all’attività agricola e zootecnica».
4. Su questa base, la nota in esame individua quali fattori ostativi alla realizzazione del progetto i vincoli derivanti dalle norme tecniche del Piano paesaggistico regionale, in virtù dei quali nella fascia costiera «è precluso qualunque intervento di trasformazione», ed in particolare «nuovi interventi edificatori a carattere industriale», essendo per contro consentita, tra l’altro, la realizzazione di «infrastrutture puntuali o di rete, previste nei piani settoriali, preventivamente adeguati al P.P.R. » (art. 20).
5. Il provvedimento in esame specifica inoltre che l’intervento proposto dalla Sa. non è qualificabile come opera precaria o temporanea, essendo prevista «la realizzazione di una platea in calcestruzzo in opera di circa 3000 mq» e, quindi, il mantenimento del manufatto in caso di pozzo produttivo. Viene inoltre soggiunto che in caso contrario (pozzo sterile), la semplice occlusione del pozzo di ricerca non corrisponderebbe ad un intervento di ripristino dello status quo antea.
6. Di seguito, la nota regionale si sofferma sulla riconducibilità del pozzo esplorativo alle infrastrutture autorizzabili nella fascia costiera ai sensi dell’art. 102 delle norme tecniche di attuazione del Piano paesaggistico regionale, esprimendo la conclusione negativa. Ciò sul rilievo che gli insediamenti previsti in questa disposizione sono quelli relativi ai trasporti, alla viabilità, al ciclo dei rifiuti, delle acque e dell’energia elettrica. Al medesimo riguardo, il Servizio di tutela del paesaggio rileva che occorrerebbe in ogni caso un piano urbanistico comunale di adeguamento di cui il Comune di (omissis) è sprovvisto.
Quindi, l’attività esplorativa di cui al progetto viene qualificata come «attività estrattiva mineraria», come tale «non contemplata dall’art. 20 delle NTA del PPR che disciplina la fascia costiera».
7. Ulteriore vincolo è dato – secondo la nota in esame – dall’art. 58 delle citate norme tecniche del Piano paesaggistico, il quale per le aree di bonifica rinvia alle prescrizioni di adeguamento del Piano paesaggistico regionale da parte dei piani urbanistici comunali, laddove nel caso di specie il Comune di (omissis) ha previsto per tali aree una destinazione agricola con esclusione di altre tipologie di intervento.
Per analoghe ragioni, la nota regionale ritiene il pozzo esplorativo contrastante anche con l’art. 29 delle norme tecniche, concernente le aree a destinazione agro-forestale.
8. Tutto ciò premesso, con un primo ordine di censure la Sa. si duole che il provvedimento di improcedibilità della valutazione di impatto ambientale sia stato emesso, da un lato, non già in sede di esame preliminare dell’istanza, come previsto dal citato art. 5 dell’allegato A alla delibera di Giunta regionale n. 34/33 del 7 agosto 2012, e, dall’altro lato, in assenza di una giudizio di «evidente contrasto» del pozzo esplorativo con norme di legge o di piano, come parimenti previsto dall’allegato A alla citata delibera.
Inoltre, la società appellante evidenzia che la dichiarazione di improcedibilità non è motivata da ragioni di carattere ambientale, le sole che potrebbero a suo dire essere svolte in sede di valutazione di impatto ai sensi della vigente legislazione (in particolare in base all’art. 21 del testo unico dell’ambiente di cui al d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152), ma si fonda su vincoli di piano paesaggistico e urbanistico. A tale riguardo, la Sa. sottolinea che questi vincoli sono tuttavia suscettibili di essere superati dall’effetto di variante conseguente all’approvazione del progetto, nel caso di specie ai sensi dell’art. 1, commi 78 e 82-bis l. 23 agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia).
La Sa. deduce inoltre che, laddove si voglia ritenere che la più volte citata delibera di Giunta regionale n. 34/33 del 7 agosto 2012 consente di dichiarare l’improcedibilità della valutazione ambientale per tali tipologie di contrasto, la stessa sarebbe allora illegittima per violazione delle norme del testo unico dell’ambiente di cui al d.lgs. n. 152 del 2006 relative al procedimento in questione, poiché queste ultime impongono una valutazione in concreto del progetto impattante.
9. Il motivo è infondato in tutti i profili nei quali esso si articola.
10. La Sa. non può in primo luogo dolersi che il giudizio di incompatibilità del pozzo esplorativo con gli strumenti pianificatori vigenti nella zona in cui l’opera è destinata ad essere realizzata non sia stato emesso in sede di esame preliminare dell’istanza di valutazione di impatto ambientale (per la precisione, di «prima verifica della completezza della documentazione», ai sensi del più volte citato art. 5 dell’allegato A alla delibera regionale).
Deve al riguardo precisarsi che il giudizio di incompatibilità dell’intervento con i sopra citati vincoli pianificatori si fonda – secondo quanto si evince dalla nota di prot. n. 34292 del 1° agosto 2014 del Servizio regionale di tutela paesaggistica per le province di Oristano e del (omissis), di cui si è esposto in precedenza il contenuto – sulla base della conferenza di servizi tenutasi il 29 luglio 2014.
Ciò precisato, come sottolinea la Regione Sardegna nessuna illegittimità dal punto di vista procedimentale è configurabile se la valutazione negativa sia stata espressa non già in sede di esame preliminare dell’istanza di valutazione di impatto ambientale, ma all’esito di un approfondimento istruttorio. Infatti, il giudizio risulta in questo modo maggiormente ponderato, a tutela degli interessi della Sa. stessa ad un esame non superficiale del proprio progetto.
E’ per altro verso indubitabile che una volta che nel corso dell’istruttoria emergano profili di contrasto con vincoli di sorta non altrimenti superabili le finalità di celere definizione del procedimento, cui l’art. 5 dell’allegato A in esame è improntato, si riespandono, legittimando l’amministrazione procedente a farne applicazione anche al di fuori dei casi di primo esame della domanda.
11. Deve quindi escludersi che la dichiarazione di improcedibilità impugnata nel presente giudizio non sia fondata su un «evidente contrasto», ai sensi del medesimo art. 5, tra il progetto della Sa. ed i soli vincoli di piano addotti a base di tale giudizio, come invece sostiene l’odierna appellante.
La lettura della nota n. 34292 del 1° agosto 2014 depone in senso contrario a tali assunti. In essa sono infatti enumerati i diversi vincoli sulla cui base viene formulato il giudizio di «non conformità»del pozzo esplorativo della Sa., da ciò evincendosi in modo chiaro su quali presupposti l’«evidente contrasto» dell’opera previsto dal più volte ricordato art. 5 sia stato basato nel caso di specie.
12. Non condivisibile è anche la censura con cui la Sa. assume che la valutazione di impatto ambientale negativa non possa fondarsi su aspetti diversi da quelli propriamente ambientali, sotto il duplice profilo dell’illegittimità della nota regionale o, in subordine, della presupposta delibera giuntale n. n. 34/33 del 7 agosto 2012.
Sul piano definitorio ambiente e paesaggio sono concetti fortemente compenetrati, al punto che il secondo costituisce l’aspetto visibile del primo. “Paesaggio indica «la morfologia del territorio», cioè «l’ambiente nel suo aspetto visivo» (cfr. Corte cost., 21 ottobre 2011, n. 275; 22 luglio 2009, n. 226, 30 maggio 2008, n. 180; 7 novembre 2007, n. 367; 5 maggio 2006, n. 182 e 183; 14 dicembre 1993, n. 430; 11 luglio 1989, n. 391; 30 dicembre 1987, n. 641). Entrambi rappresentano profili strettamente connessi della salvaguardia della preesistenza del contestonaturale e si correlano a esigenze primarie dell’individuo, trovando ciascuno un fondamento costituzionale nell’accezione ampia di tutela del paesaggio (art. 9), per la complessità dell’ambiente in combinazione con quella della salute (art. 32).
A questo riguardo, è da richiamare la consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale espressasi con riguardo all’art. 9 o al riparto di competenze legislative tra lo Stato e le Regioni nella materia della «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali», enumerata alla lett. s) del secondo comma dell’art. 117 Cost. (tra le altre si ricordano – oltre le già citate – le sentenze 23 marzo 2012, n. 66; 23 giugno 2008, n. 232; 30 maggio 2008, n. 180; 6 febbraio 2006, n. 51).
Costituisce quindi ius receptum presso questo Consiglio di Stato che nell’ambito della valutazione di progetti aventi impatti sull’ambiente ai sensi del testo unico di cui al d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e della normativa regionale attuativa, vale a dire di conformità dell’attività antropica rispetto alle condizioni essenziali per uno sviluppo sostenibile (art. 4, comma 3), gli enti ed organi competenti siano titolati ad esprimere il loro giudizio anche su profili di carattere paesaggistico (tra le altre: Cons. Stato, IV, 24 marzo 2016, n. 1225, 20 maggio 2014, n. 2569, 9 gennaio 2014, n. 36, 24 gennaio 2013, n. 468; V, 9 aprile 2015, n. 1805, 12 giugno 2009, n. 3770, VI, 22 settembre 2014, n. 4775, VI, 26 marzo 2013, n. 1674).
13. D’altra parte, ciò corrisponde a ragioni logiche prima ancora che giuridiche, se solo si ha riguardo alla funzione tipica della procedura di valutazione di impatto ambientale finora lumeggiata, di esame complessivo di opere incidenti negativamente sul territorio e le collettività in esso localizzate. Pertanto, l’apprezzamento in ordine alla loro compatibilità ambientale non può che coinvolgere anche profili di carattere paesaggistico, ed in particolare estendersi a tutte le possibili incisioni, dirette o indirette, del bene costituzionalmente tutelato del paesaggio, con una valutazione di tipo sostanzialistico, estesa ad ogni ambito territoriale significativo potenzialmente pregiudicato sul piano naturalistico, anche se posto a distanza dall’area di localizzazione dell’intervento.
Infine, con specifico riguardo alla questione, pure dedotta nel complesso motivo in esame, dei rapporti tra il regime di tutela paesaggistica e la realizzazione di pozzi e altre opere per la ricerca di idrocarburi ai sensi dell’art. 1, commi 78 e 82-bis l. n. 239 del 2004, si rinvia all’esame del terzo motivo d’appello, in cui la stessa è nuovamente riproposta.
14. Con il secondo motivo d’appello la Sa. contesta che il pozzo esplorativo oggetto della valutazione di impatto ambientale si ponga in contrasto con i vincoli paesaggistici e urbanistici individuati dalla Regione nei provvedimenti impugnati.
Sul punto, premesso che il progetto del pozzo esplorativo si sostanzia nella realizzazione «di un’area destinata a parcheggio, di due aree di accumulo dei terreni escavati per il successivo ripristino del sito e di una soletta in cemento impermeabilizzata per il posizionamento vero e proprio del pozzo (…) necessaria a protezione del sito» e«del successivo ripristino», per una durata di cantiere pari a circa sei mesi, la Sa. sostiene che l’intervento sarebbe autorizzabile in base all’art. 12 delle norme tecniche di attuazione del Piano paesaggistico. Infatti, questa disposizione, in combinato con l’art. 20, consente nelle fasce costiere della Sardegna interventi edilizi temporanei che non alterino lo stato dei luoghi ed in particolare volumi tecnici. Al medesimo riguardo, la Sa. evidenzia che in caso di pozzo improduttivo i manufatti saranno «completamente eliminati», mentre i caso contrario, di pozzo produttivo, permarrà in sito la sola «testa pozzo” che costituisce volume tecnico di ridotte dimensioni».
15. Nel motivo in esame la Sa. censura anche la mancata riconducibilità dell’opera alle infrastrutture puntuali di rete previste dall’art. 102 delle norme tecniche di attuazione del piano paesaggistico.
L’appellante sottolinea al riguardo che la circostanza che il pozzo esplorativo di giacimenti di idrocarburi non sia elencato tra le infrastrutture previste da quest’ultima disposizione non è dirimente, ma è spiegabile in ragione del fatto che al momento dell’approvazione del piano in Sardegna non era ancora nemmeno prevista un’attività di ricerca di tali risorse.
16. Nessuna di queste censure è fondata.
17. Il citato art. 12 delle norme tecniche di attuazione permette negli ambiti tutelati dal piano, tra cui la fascia costiera, interventi edilizi di manutenzione e consolidamento statico, ed inoltre di ristrutturazione e restauro, a condizione che essi non incrementino la volumetria esistente o alterino lo stato dei luoghi. Entro questi limiti «è consentita la realizzazione di eventuali volumi tecnici di modesta entità, strettamente funzionali alle opere e comunque tali da non alterare lo stato dei luoghi».
La nozione di volume tecnico recepita dal Piano paesaggistico regionale corrisponde dunque a quella ampiamente consolidata presso la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, secondo cui rientrano in essa solo le opere prive di qualsivoglia autonomia funzionale, anche solo potenziale, ma destinate in via esclusiva all’alloggiamento di impianti serventi rispetto alla costruzione principale (es.: impianto idrico, termico, ascensore), purché in ogni caso di ridotta consistenza volumetrica (da ultimo: Cons. Stato, VI, 31 marzo 2014, n. 1512; 8 maggio 2014, n. 2363; 21 gennaio 2015, n. 175; ¸13 maggio 2016, n. 1945).
Tanto premesso, a prescindere dall’esito della prevista esplorazione, le caratteristiche progettuali del pozzo esplorativo della Sa. non ne consentono la riconducibilità alla nozione in esame. Ciò per la decisiva considerazione che difetta il necessario nesso strumentale rispetto ad un manufatto edilizio esistente.
Al contrario, l’intervento comporta di per sé un’incontestabile alterazione dello stato dei luoghi e presenta caratteristiche di autonomia funzionale incompatibili con la nozione di volume tecnico.
Più precisamente, da questo secondo punto di vista, l’unico rapporto di strumentalità predicabile è quello tra l’impianto e le attività di ricerca nel sottosuolo di giacimenti di idrocarburi gassosi e, in caso positivo, di successiva estrazione di risorse naturali esercitata dalla Sa. nell’ambito della propria impresa. Sennonché una simile strumentalità, rispetto ad un’impresa industriale nel settore dell’estrazione mineraria, non consente di configurare alcun volume tecnico dal punto di vista edilizio e paesaggistico.
18. Inoltre, non sono ravvisabili nemmeno le caratteristiche di temporaneità e precarietà evidenziate nel motivo in esame.
Al di là delle sue caratteristiche strutturali, l’art. 6, comma 1, lett. c), del testo unico dell’edilizia di cui al d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, esclude testualmente dalle opere temporanee per attività di ricerca nel sottosuolo aventi carattere geognostico, e perciò rientranti nell’ambito dell’attività edilizia libera, i manufatti strumentali all’«attività di ricerca di idrocarburi». Da ciò si evince che in base ad una valutazione svolta a livello normativo primario i pozzi della tipologia di quello oggetto di controversia implicano una alterazione non meramente transeunte del territorio.
19. Peraltro, anche sul piano ontologico, deve escludersi che simili opere siano funzionali ad esigenze contingenti, le sole che secondo la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato possono sostanziare la nozione di opera precaria (cfr., da ultimo: Cons. Stato, VI, 1° aprile 2016, n. 1291, 4 settembre 2015, n. 4116, 2 febbraio 2015, n. 474, 24 novembre 2014, n. 5778, 3 giugno 2014, n. 2841). Infatti, come poc’anzi rilevato il fine di questo manufatto è quello di individuare giacimenti sotterranei dai quali attingere nell’ambito della successiva attività estrattiva. Pacifico è dunque il carattere stabile e permanente nel tempo del bisogno cui il pozzo esplorativo risponde.
A conclusioni diverse non induce l’eventualità che il pozzo sia “sterile” e che dunque la ricerca sotterranea da svolgere mediante lo stesso dia esito negativo. Trattandosi appunto di un’ipotesi non preventivabile ex ante la stessa non influisce sulle caratteristiche funzionali tipiche dell’opera, le quali consistono nell’individuazione di risorse minerali connesse ad esigente produttive stabili.
Inoltre, la stessa società appellante non contesta, ma anzi sottolinea, che terminata l’esplorazione, l’esito negativo della stessa comporterà la realizzazione di lavori di ripristino del sito. Ebbene, questa circostanza è di per sé incompatibile con l’ipotesi del carattere precario dell’opera, evincendosi per contro che la stessa implica una trasformazione del territorio potenzialmente stabile e l’impossibilità di effettuare una semplice rimozione della stessa senza alcun interessamento dell’area su cui la stessa è stata realizzata.
20. Può passarsi all’ulteriore censura con cui la Sa. sostiene che il pozzo esplorativo sarebbe assentibile perché inquadrabile nel concetto di «infrastruttura puntuale» ex art. 102 delle norme tecniche di attuazione del Piano paesaggistico della Regione Sardegna [in combinato con il citato art. 20, comma 2, n. 3), lett. b), delle medesime norme tecniche].
21. Come sopra accennato, anche questa deduzione non è fondata.
La stessa società appellante riconosce che nell’elenco della citata disposizione di Piano non è contemplata un’opera della specie di quella su cui si controverte nel presente giudizio. La norma precisa infatti che il sistema delle infrastrutture «comprende i nodi dei trasporti (porti, aeroporti e stazioni ferroviarie), la rete della viabilità (strade e ferrovie), il ciclo dei rifiuti (discariche, impianti di trattamento e incenerimento), il ciclo delle acque (depuratori, condotte idriche e fognarie), il ciclo dell’energia elettrica (centrali, stazioni e linee elettriche) gli impianti eolici e i bacini artificiali».
22. Ciò precisato, non può essere condiviso l’argomento della Sa. secondo cui la mancata previsione dei pozzi e degli impianti di ricerca di idrocarburi in questo elenco sarebbe legata a ragioni connesse all’evoluzione storica, ed in particolare sarebbe spiegabile in base alla circostanza che all’epoca di approvazione del piano (2006) nella Regione Sardegna non era nemmeno prevista l’esistenza di giacimenti di gas naturali nel sottosuolo.
Il ragionamento, di matrice analogica, è impedito, oltre che dal carattere derogatorio della eccezioni al regime vincolistico del piano paesaggistico, anche dalla distinzione chiaramente operata dal piano tra «infrastrutture» di cui all’art. 102 – 104, da un lato, e «aree estrattive (cave e miniere)», previste e disciplinate dagli artt. 96 – 98 dall’altro lato. In base alle considerazioni ora svolte difetta quindi il necessario presupposto per un ragionamento di questo tipo, dato dall’esistenza di una lacuna normativa colmabile dall’interprete in via deduttiva.
23. Al dato di carattere testuale si salda quello di carattere logico – sistematico, già svolto dal Tribunale amministrativo, inteso in particolare ad escludere l’ulteriore “polo” dell’argomento di carattere analogico e cioè la eadem ratio,sulla cui base integrare l’asserito vuoto normativo con una disposizione prevista per una fattispecie simile a quella da disciplinare nel caso di specie. Come infatti ben evidenziato dal giudice di primo grado, tra le infrastrutture autorizzabili in fascia costiera ed il pozzo esplorativo progettato dalla Sa. sussiste una differenza sostanziale, data dal fatto che quest’ultimo è «funzionale al rinvenimento di materie prime da utilizzare in separato ciclo produttivo (anche non necessariamente “soltanto energetico”: si pensi alla produzione di derivati plastici del petrolio, che proprio Sa. s.p.a. esercita notoriamente in Sardegna)».
Da quanto finora evidenziato, l’elemento determinante per escludere che il pozzo possa essere assimilato alle infrastrutture realizzabili in fascia costiera sarda è il fatto che il primo ha carattere autonomo (cioè appunto, produttivamente «separato») e non è necessariamente finalizzato come le seconde a servire attività che fanno esse fronte a esigenze della collettività, le sole che secondo le scelte pianificatorie in esame consentono un limitato sacrificio del bene-paesaggio rispetto ad attività antropiche di trasformazione territoriale.
24. Sul punto, la società appellante deduce nella presente impugnazione che in realtà anche il pozzo esplorativo in questione risponde ai bisogni della collettività, essendo funzionale al processo di «metanizzazione della Sardegna».
Questa affermazione non coglie tuttavia il profilo decisivo delle norme tecniche di Piano paesaggistico rilevanti nella presente fattispecie. Dall’elencazione dell’art. 102 più volte richiamato e dalla nozione di comune esperienza si ricava infatti la necessità che, per trattarsi di “infrastruttura”, la finalizzazione della struttura sia mediata, e cioè che questa rappresenti un’opera fisica servente a un complementare servizio pubblico o a una complementare attività economica, questi svolti essenzialmente e in modo diretto ad utilità della collettività. Ciò che nel caso del gas metano si addice di certo agli impianti di distribuzione dell’idrocarburo presso l’utenza, ma non già ad un pozzo esplorativo che per sua natura è solo prodromico all’avvio, industrialmente autonomo, della successiva estrazione e commercializzazione da parte della società privata titolare del permesso di ricerca.
Sul punto va dunque pienamente condiviso il rilievo del Tribunale amministrativo, secondo cui l’opera risponde nel caso di specie ad esigenze di produzione industriale ed esula quindi dalle ipotesi contemplate dal più volte citato art. 102 delle norme tecniche di attuazione del piano paesaggistico della Regione Sardegna.
25. Con il terzo motivo d’appello la Sa., riprendendo le censure da ultimo trattate, oltre che alcune di quelle contenute nel primo motivo, ribadisce che l’autorizzazione alla perforazione di un pozzo esplorativo di giacimenti di idrocarburi gassosi e alla costruzione degli impianti ad esso connessi costituisce opera di pubblica utilità comportante la variazione dei vigenti strumenti urbanistici, ai sensi e per gli effetti dei citati commi 78 e 82-bisdell’art. 1 della legge n. 239 del 2004, per cui l’esistenza di vincoli di carattere urbanistico opposti nei provvedimenti impugnati non costituirebbe circostanza ostativa alla positiva valutazione di impatto ambientale.
26. Anche questo motivo deve essere respinto.
I rilievi della Sa. possono essere condivisi con riguardo ai divieti di carattere urbanistico addotti nei provvedimenti impugnati a sostegno della dichiarazione di improcedibilità della valutazione di impatto ambientale. Tuttavia, come visto sopra ripercorrendo il contenuto di tali provvedimenti, ed il particolare della nota di prot. n. 34292 del 1° agosto 2014, i vincoli su cui si fonda il giudizio di non conformità del pozzo esplorativo sono anche e soprattutto di carattere paesaggistico.
Le prescrizioni contenute negli strumenti pianificatori a tutela di quest’ultimo interesse non possono quindi essere incluse nell’effetto di variante previsto dalle disposizioni della legge n. 239 del 2004 invocate dalla società appellante. Queste ultime sono infatti chiare nel riferirsi ai soli vincoli di carattere urbanistico, i quali sono di natura diversa e posti a presidio di interessi di rango costituzionale inferiore rispetto al paesaggio. Quest’ultimo è a sua volta oggetto di un corpus normativo organico, attuativo del principio fondamentale dell’art. 9 Cost. (art. 1 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42) ispirato al principio dell’autonoma considerazione dell’interesse paesaggistico rispetto ad ogni intervento che sullo stesso possa incidere (cfr. in particolare gli artt. 131, 135 e 145 dello stesso Codice dei beni culturali e del paesaggio), tale da impedire effetti automatici di variante insiti nell’approvazione di progetti di opere, quand’anche di pubblica utilità.
A conferma di quanto ora rilevato, il citato art. 20, comma 2, n. 3), lett. b) e l’art. 103 del Piano paesaggistico della Sardegna consentono la realizzazione di nuove infrastrutture nell’ambito di piani di settore «preventivamente adeguati al P.P.R.» (piano paesaggistico regionale) e le cui previsioni devono «tenere in considerazione le previsioni del P.P.R.».
Peraltro, lo stesso comma 78 dell’art. 1 l. n. 239 del 2004 richiede la che l’autorizzazione alla perforazione del pozzo esplorativo e alla costruzione degli impianti e delle opere ad esso connesse sia rilasciata «previa valutazione di impatto ambientale».
27. Nel quarto motivo d’appello la Sa. sostiene che la dichiarazione di improcedibilità farebbe riferimento a norme tecniche di Piano paesaggistico presenti nella versione originaria (di cui all’approvazione con delibera di giunta n. 36/7 del 5 settembre 2006), ma superate al momento dell’emanazione degli atti impugnati (in particolare in virtù delle modifiche introdotte con delibera di giunta n. 45/2 del 25 ottobre 2013).
28. Il motivo deve essere respinto, dovendosi in particolare confermare la dichiarazione di genericità resa con riguardo ad esso dal giudice di primo grado. Infatti, l’appellante non ha specificato quali sarebbero le conseguenze delle asserite modifiche in ordine alla valutazione di impatto ambientale del proprio progetto.
29. Con il quinto motivo d’appello la Sa. ripropone l’assunto secondo cui l’esito negativo della valutazione di impatto ambientale motivata in base alla localizzazione dell’intervento nella fascia costiera prevista dal vigente piano paesaggistico regionale si porrebbe in contraddizione con l’originario permesso minerario di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi in vari comuni delle Province di Oristano e del (omissis) denominato “(omissis)”, di cui alla determinazione del 18 dicembre 2009, n. 17650, già interessante la medesima fascia costiera.
30. Il motivo non può essere accolto, perché – come già evidenziato dal Tribunale amministrativo – il rilascio di quest’ultimo titolo autorizzativo non preclude alla Regione di valutare di volta in volta le ricadute ambientali degli impianti con i quali l’originario progetto di ricerca ed estrazione di idrocarburi viene di volta in volta attuato e sviluppato concretamente, tenuto conto delle effettive caratteristiche e del regime vincolistico vigente nella zona nella quale tali impianti sono destinati ad essere realizzati.
31. Con il sesto motivo d’appello è riproposta la censura, svolta in via subordinata rispetto a quelle sopra esaminate, con cui la Sa. sostiene che laddove il pozzo esplorativo fosse in contrasto con i vincoli inerenti alla fascia costiera individuata dal piano paesaggistico regionale, sarebbe comunque illegittima la delimitazione di quest’ultima per contrasto con gli artt. 136 e 142 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, e 1, comma 2, l. reg. 4 agosto 2008, n. 13 (Norme urgenti in materia di beni paesaggistici e delimitazione dei centri storici e dei perimetri cautelari dei beni paesaggistici e identitari). Ciò perché il vincolo sarebbe apposto su beni non specificamente individuati, ma in modo indiscriminato sulla fascia costiera sarda, pari al 15% dell’intero territorio regionale.
32. Anche questo motivo è infondato.
Come innanzitutto già rilevato dal giudice di primo grado, l’esigenza espressa dalle disposizioni richiamate nel motivo in esame è soddisfatta dalla «delimitazione cartografica (allegata al Piano) della relativa area di tutela», cui in particolare rinvia l’art. 19 delle norme tecniche di attuazione.
Infatti, mentre l’art. 142 d.lgs. n. 42 del 2004 pone direttamente il vincolo paesaggistico nei confronti dei «territori costieri compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i terreni elevati sul mare» (lett. a)), il successivo art. 143, richiamato nella nota del servizio regionale di tutela paesaggistica posta a sostegno della dichiarazione di improcedibilità, consente all’autorità preposta alla pianificazione di settore di individuare in tale sede ulteriori aree da sottoporre a tutela, ponendo come condizioni la «loro delimitazione e rappresentazione in scala idonea alla identificazione» la «determinazione delle specifiche prescrizioni d’uso» [comma 1, lett. c)].
Nella medesima linea si colloca la legislazione regionale sarda di attuazione del Codice dei beni culturali e del paesaggio, la quale si limita a ribadire questa esigenza, richiamando nel citato art. 1 l. reg. n. 13 del 2008 le norme legislative nazionali in questione.
33. Ciò precisato, va soggiunto al riguardo che le operazioni volte all’individuazione delle aree tutelate e la modulazione del regime vincolistico ad esse relativo sono connotate da valutazioni di carattere ampiamente discrezionale. In base alle disposizioni normative del Codice di cui al d.lgs. n. 42 del 2004 poc’anzi esaminate ad esse è tra l’altro richiesto, a tutela delle esigenze di certezza dei consociati, che i beni tutelati siano individuati e chiaramente determinabili. Più in generale l’amministrazione deve quindi attenersi ai canoni generali dell’agire amministrativo, tra cui vengono specificamente in rilievo quelli di ragionevolezza, proporzionalità e non contraddittorietà.
Ebbene, tutto ciò precisato, sul piano della certezza dell’individuazione dei beni soggetti a vincoli paesaggistici, la delimitazione cartografica allegata al Piano elaborato dalla Regione Sardegna, evidenziata dal Tribunale amministrativo, impedisce di configurare qualsiasi profilo di illegittimità, come peraltro evincibile dal fatto che la Sa. mai risulta avere ignorato che l’area interessata dal pozzo esplorativo da essa progettato ricade nella fascia costiera tutelata dal Piano paesaggistico.
Laddove la Sa. intenda invece indirizzare le proprie censure alla scelta della Regione di includere nelle prescrizioni del Piano in modo indiscriminato l’intera fascia costiera dell’isola, la stessa società finisce per sollecitare un sindacato rispetto a scelte non evidentemente arbitrarie o sproporzionate, considerato l’altissimo pregio ambientale e paesaggistico della costa sarda.
34. Con il settimo ed ultimo motivo d’appello la Sa. si duole del rigetto della domanda risarcitoria per i danni connessi al ritardato svolgimento della procedura di valutazione di impatto ambientale.
La società appellante deduce che nell’ipotesi – che si è verificata nel caso di specie – di legittimità dei provvedimenti impugnati nel presente giudizio sarebbero in ogni caso ristorabili i canoni complessivamente pagati a fronte del rilascio del permesso di ricerca “(omissis)”, di cui alla determinazione della Regione Sardegna n. 17650 del 18 dicembre 2009, per un ammontare di € 703.484,00. A questa voce andrebbero aggiunte le spese sostenute per le attività di ricerca di giacimenti e per la progettazione degli interventi di sviluppo dell’attività, pari nel loro complesso ad € 7.522.825,00.
35. Il motivo deve essere respinto.
In primo luogo, in linea con l’orientamento prevalente di questo Consiglio di Stato formatosi con riguardo all’art. 2-bis l. 7 agosto 1990, n. 241, attraverso il rinvio al «danno ingiusto» ex art. 2043 Cod. civ. operato da tale disposizione della legge generale sul procedimento amministrativo, deve ritenersi che la norma in esame non abbia inteso svincolare il danno da ritardo dalla dimostrazione che il comportamento tenuto dall’amministrazione abbia negativamente inciso su un bene della vita suscettibile di autonoma considerazione sul piano sostanziale, ed in particolare, in caso di atti ampliativi, sull’interesse legittimo pretensivo destinato a trovare soddisfazione con l’istanza di provvedere rivolta all’amministrazione (Cons. Stato, III, 12 marzo 2015, n. 1287; IV, 6 aprile 2016, nn. 1371 – 1376, 18 novembre 2014, n. 5663, 10 giugno 2014, n. 2964; V, 25 marzo 2016, n. 1239, 13 gennaio 2014, n. 63).
Al riguardo, è il caso di precisare che in caso contrario, ed in particolare laddove l’istante non fornisca la prova, su di lui incombente, che il procedimento era destinato a concludersi favorevolmente si correrebbe il rischio di dare ingresso alla tutela aquiliana di posizioni di interesse non legittimo.
Ebbene, nel caso di specie non solo la Sa. non ha fornito questa prova, ma una volta accertata la legittimità dei provvedimenti impugnati in questo giudizio deve ritenersi raggiunta la prova contraria.
36. Peraltro, a fronte dell’emissione di tali provvedimenti, pur tardivamente rispetto al termine di legge (l’art. 26, comma 1, d.lgs. n. 152 del 2006 impone infatti un termine di 150 dalla presentazione dell’istanza per definire il procedimento di valutazione di impatto ambientale), in caso di rigetto dell’impugnazione conseguentemente proposta il danno da ritardo ciò nondimeno lamentato finisce per sostanziarsi nella pretesa al ristoro di un ritardo “mero”, al quale non si correla alcuna lesione ingiusta ai sensi dell’art. 2043 Cod. civ. poc’anzi richiamato.
37. Anche sotto un distinto profilo deve inoltre essere escluso che i pregiudizi lamentati dalla Sa. nel presente giudizio siano in ogni caso risarcibili nel caso di specie sulla base del paradigma prefigurato dalla medesima disposizione del Codice civile.
La società non ha infatti dedotto né tanto meno provato che il rigetto dell’istanza autorizzativa per la realizzazione del pozzo esplorativo oggetto del presente giudizio implichi anche l’irreabilizzabilità del progetto di ricerca “(omissis)”, per il quale la stessa Sa. ha ottenuto dalla Regione Sardegna il relativo permesso. Pertanto, sia i canoni riconosciuti a quest’ultima che le spese di studio, ricerca e progettazione sostenute al medesimo titolo non risultano integrare un danno patrimoniale definitivamente consolidatosi per la società odierna appellante.
38. Accertata dunque l’infondatezza di tutti i motivi di cui l’appello si compone, il mezzo va respinto. Le spese del presente grado di giudizio possono nondimeno essere compensate tra tutte le parti in ragione della complessità e delicatezza delle questioni controverse.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa tra tutte le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 giugno 2016 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini – Presidente
Sandro Aureli – Consigliere
Fabio Franconiero – Consigliere, Estensore
Raffaele Prosperi – Consigliere
Oreste Mario Caputo – Consigliere
Depositata in Segreteria il 11 luglio 2016.

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