Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 27 novembre 2017, n. 5565. La gestione commissariale, espressamente qualificata come attività di pubblica utilità, è volta, attraverso l’intervento del Prefetto

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In altri termini, posto l’obbligo giuridico che grava sui commissari di accantonare tutti gli utili (senza distinzione alcuna) che discendono dal contratto commissariato, non si vede come sia possibile distinguere tra utili spettanti al Consorzio ed utili di competenza delle imprese consorziate.

Una tale distinzione potrebbe configurarsi ove il commissariamento si riferisca all’Ente commissariato (in questo caso al CVN) e non già all’oggetto della commessa pubblica.

Ma, non pare possa dubitarsi che il commissariamento riguarda il contratto la cui esecuzione va completata mediante il ricorso a questa procedura di legalità controllata e giammai l’ente nel suo complesso.

Tutto ciò al netto della considerazione che, in attesa dell’esito del processo penale, l’utile è soltanto accantonato e non ancora esposto a provvedimenti direttamente ablativi (a conferma della funzione meramente cautelare dell’istituto).

Oltre a ciò coglie nel segno l’Avvocatura appellante laddove sottolinea, in coerenza con la ratio dell’istituto, che tenuto conto della davvero particolare natura della convenzione stipulata dalla p.a. con il CVN, l’interpretazione sposata dal primo giudice finirebbe per vanificare del tutto la cautela imposta dal settimo comma dell’art. 32 cit..

Invero la natura giuridica dei rapporti contrattuali che legano la p.a. al concessionario e questi alle imprese consorziate che eseguono, in concreto, la maggior parte dei lavori in totale assenza di procedure di evidenza pubblica, va posta al centro dell’analisi nel presente giudizio.

Se, infatti, di tale specifico rapporto concessorio si tiene conto, anche la pretesa di assoggettare alla misura di cui all’art. 32 cit. le imprese consorziate (quale strumento per ottenere il risultato auspicato dalla p.a. con il provvedimento impugnato) appare di incerta applicabilità.

Invero, le singole imprese consorziate non hanno con la pubblica amministrazione alcun rapporto, non rientrando in alcuna delle categorie indicate dalla norma per procedere al commissariamento in questione.

Giova sul punto ricordare che l’applicazione dell’istituto di cui all’art. 32 cit., presuppone la presenza di “un’impresa aggiudicataria di un appalto per la realizzazione di opere pubbliche, servizi o forniture” ovvero di “un concessionario di lavori pubblici” o di “un contraente generale”; e solo a queste imprese può essere imposta la straordinaria e temporanea gestione limitatamente alla completa esecuzione del contratto d’appalto o della concessione.

Sicchè, anche sotto questo aspetto, le conclusioni cui è pervenuto in giudice di primo grado non sembrano conformi alla ratio dell’istituto applicato.

Alla luce delle sopra esposte considerazioni rimane da dire che il provvedimento impugnato, contrariamente a quanto assunto dal TAR, deve ritenersi di natura meramente ricognitiva (o, se si preferisce, interpretativa ed estensiva) dell’originario provvedimento prefettizio del 2014 che applica la misura al CVN.

Detto provvedimento vale soltanto a specificare ai commissari che, già in forza dell’originario provvedimento, gli utili che devono essere accantonati sono, necessariamente, tutti quelli che a qualsiasi titolo derivano al contratto, al netto dei costi per la realizzazione dell’opera.

Si tratta, peraltro, come già evidenziato, di una conclusione che discende direttamente dalla legge che tale accantonamento impone, senza alcun margine di discrezionalità.

In virtù di tali considerazioni va disatteso anche l’ultimo argomento utilizzato per annullare il provvedimento impugnato: il mancato avviso del procedimento nei confronti delle imprese consorziate cui il provvedimento stesso andava esteso.

Ciò non soltanto perché- una volta correttamente intesa la norma- l’accantonamento di tutti gli utili è da ritenersi per i commissari attività totalmente vincolata e obbligatoria (anche rispetto al quantum da accantonare), ma anche perché l’impugnato provvedimento prefettizio colpisce soltanto in via di fatto e indirettamente le imprese in questione, la cui posizione soggettiva va tutelata, semmai, dinanzi al giudice ordinario per tutte le questioni interne relative al rapporto tra le consorziate che hanno eseguito i lavori e il CVN.

Sicchè e conclusivamente, in totale riforma della sentenza impugnata, l’appello proposto deve essere accolto e, per l’effetto, il ricorso proposto in primo grado deve essere respinto.

La peculiarità delle questioni trattate rende equo compensare integralmente le spese di entrambi i gradi di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in integrale riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso proposto in primo grado.

Compensa interamente tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 ottobre 2017 con l’intervento dei magistrati:

Franco Frattini – Presidente

Francesco Bellomo – Consigliere

Lydia Ada Orsola Spiezia – Consigliere

Giulio Veltri – Consigliere

Luigi Birritteri – Consigliere, Estensore

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