Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 27 novembre 2017, n. 5565. La gestione commissariale, espressamente qualificata come attività di pubblica utilità, è volta, attraverso l’intervento del Prefetto

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Più in particolare la gestione commissariale – espressamente qualificata come attività di pubblica utilità poiché essa risponde, primariamente, all’interesse generale di assicurare la realizzazione dell’opera; così Cons. St. sez. III, 28 aprile 2016 n. 1630 ed ancor prima Cons. St. sez. III, 24 luglio 2015 n. 3653) – è volta, attraverso l’intervento del Prefetto, non soltanto a garantire l’interesse pubblico alla completa esecuzione dell’opera appaltata ma anche a sterilizzare la gestione del contratto “oggetto del procedimento penale” dal pericolo di acquisizione delle utilità illecitamente captate in danno della pubblica amministrazione. E non si è mancato di sottolineare che, sotto tale profilo, l’istituto si manifesta come uno strumento di autotutela contrattuale previsto direttamente dalla legge.

In altri termini, questa speciale forma di commissariamento riguarda soltanto il contratto (e la realizzazione dell’opera pubblica) e non la governance dell’impresa in quanto tale ed in ciò si distingue dalle misure di prevenzione patrimoniali disposte ai sensi del D.Lvo n. 159/2011 (c.d. codice antimafia). In tal senso depone lo stesso tenore letterale della norma laddove si afferma che il commissariamento ha luogo “limitatamente alla completa esecuzione del contratto o della concessione”.

Ciò è, inoltre, confermato dall’intera struttura della norma che consente la gestione commissariale dell’appalto “oggetto del procedimento penale” in evidente alternativa alle regole generali che imporrebbero la caducazione del contratto in corso. Una misura, dunque, ad contractum, secondo l’espressione riportata anche nelle linee guida dell’Anac.

La ratio della norma è quella di consentire il completamento dell’opera nell’esclusivo interesse dell’amministrazione concedente mediante la gestione del contratto in regime di “legalità controllata”.

In tale ottica va letto anche il settimo comma dell’art. 32 cit., che impone l’accantonamento degli utili che dal contratto commissariato (eventualmente) derivano (al netto delle spese per la realizzazione dell’opera pubblica).

Si tratta, infatti, di una regola cautelare che si affianca alla gestione controllata del contratto e completa il sistema di tutela dell’interesse pubblico, aggiungendo alla garanzia della realizzazione dell’opera attesa dalla collettività anche la salvaguardia del recupero “patrimoniale” che può conseguire dalla definizione dei procedimenti penali in relazione ai quali il commissariamento stesso è stato imposto.

Ciò al fine di scongiurare il paradossale effetto di far percepire, proprio attraverso il commissariamento che conduce all’esecuzione del contratto, il profitto dell’attività criminosa; in coerenza sia con la disposizione generale che consente nel processo penale di disporre la confisca del profitto del reato (art. 240 c.p.), sia avuto riguardo, nella fattispecie, alla speciale disposizione di cui all’art. 322 ter c.p..

Non a caso la norma non offre indicazioni quantitative in ordine all’entità degli utili. Utili che devono, invece, essere obbligatoriamente accantonati nella loro totalità, ponendo la legge una regola cautelare in se autosufficiente e volta a garantire, in corso di commissariamento, che tutti i ricavi maturati che derivano dal contratto amministrato siano impiegati esclusivamente a copertura dei costi.

Peraltro, non va persa di vista l’essenziale considerazione che, prima dell’entrata in vigore della norma, l’alternativa praticabile in presenza di fenomeni corruttivi era quella, come detto, del recesso dall’esecuzione del contratto.

Il dato che pare insuperabile riguarda, comunque, il tenore letterale della norma che si limita ad imporre, tout court, il congelamento degli utili, in quanto tali, attraverso una formula nella quale si afferma che l’utile “è accantonato in apposito fondo e non può essere distribuito nè essere soggetto a pignoramento, sino all’esito dei giudizi in sede penale”.

In altri termini, la natura cautelare dell’accantonamento va letta in collegamento all’esito del giudizio penale, da cui discende la necessità di assicurare la confisca del profitto dei reati contro la p.a. facenti parte del catalogo indicato dal primo comma dell’art. 32 cit., se accertati all’esito del procedimento penale.

Pertanto, la misura degli utili già accantonati (e la loro eventuale capienza) non ha alcuna influenza con l’operatività dell’accantonamento in parola che la norma impone come sempre obbligatorio. Soltanto in esito ai processi penali potrà farsi questione in ordine alla misura degli utili confiscabili (se ritenuti profitto del reato) e all’eventuale residuo da redistribuire agli aventi diritto.

Tanto precisato con riferimento alle condizioni operative generali del commissariamento prefettizio disposto ex art. 32 cit. rimane da verificare se, nella fattispecie concreta, possano o meno essere accantonati anche gli utili incassati dal CVN per l’esecuzione dei lavori ma destinati alle imprese consorziate che quei lavori hanno materialmente eseguito.

Al riguardo va evidenziato che il primo giudice non ha adeguatamente valorizzato la peculiarità della concessione di cui è unico titolare il CVN, che gestisce anche gli incassi dei S.A.L. (quale unica controparte contrattuale della p.a.) e i relativi pagamenti alle imprese consorziate.

Sicchè, l’affermazione secondo cui il provvedimento prefettizio impugnato ha natura autonoma e incide direttamente sulla posizione giuridica soggettiva delle imprese consorziate non può essere condivisa.

In primo luogo perché, in virtù delle clausole contrattuali vigenti, è soltanto il CVN l’unica controparte della stazione appaltante, con la conseguenza che l’atto negoziale di (ri)trasferimento delle singole quote delle risorse percepite per i lavori fatti eseguire dalle imprese consorziate (mediante accordi interni di natura privatistica) è atto che rientra nei poteri dei commissari e non riguarda la governance delle imprese estranee al commissariamento.

Al più, dette imprese, potranno tutelare la loro posizione giuridica dinanzi al G.O. facendo valere, nei riguardi del CVN, i vincoli contrattuali assunti in ordine alle modalità di pagamento e l’eventuale inadempimento di tali rapporti, cui è da ritenersi estranea la stazione appaltante.

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