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Tuttavia, ad abundantiam, vanno rigettati anche il secondo e terzo motivo di appello.
3.1. – Col secondo motivo, sostiene l’appellante che le condanne riportate per i reati attinenti alla violazione del diritto di autore sono risalenti nel tempo e, di recente, sono cambiate le sue abitudini di vita. Non potrebbe applicarsi un mero automatismo espulsivo, ma andrebbe valutata la pericolosità in concreto, in relazione alla sua personalità, alla lunga permanenza in Italia, alle condizioni di inserimento nel territorio nazionale.
Anche la Corte Costituzionale con la sentenza n. 172 del 2012 ha sconfessato l’uso di criteri di pericolosità presunta in tema di rilascio dei permessi di soggiorno e un precedente di questa Sezione (sentenza n. 4522 del 2013) ha ritenuto, in applicazione dell’art. 5, comma 5 ultimo periodo, T.U.I., non automaticamente ostativa la condanna per reato a tutela del diritto d’autore risalente nel tempo.
3.2. – Il Collegio osserva che ai sensi dell’art. 26, comma 7 bis, del d.lgs. n. 286 del 1998, la condanna con provvedimento irrevocabile per alcuno dei reati previsti dalle disposizioni del Titolo III, Capo III, Sez. II, l. 22 aprile 1941, n. 633, e successive modificazioni, relativi alla tutela del diritto di autore, e dagli artt. 473 e 474 c.p., quali la ricettazione e il commercio di prodotti con segni falsi, comporta automaticamente la preclusione del rilascio o rinnovo, o la revoca, del permesso di soggiorno allo straniero per lavoro autonomo e l’espulsione del medesimo con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica (sez. III, 27/07/2012, n. 2932; 24/06/2016, n. 2818).
Non si richiede l’accertamento in concreto della pericolosità sociale, avendo il Legislatore operato a monte una valutazione presuntiva, in relazione alla tipologia di reato e all’oggetto della tutela penale ed anche al tipo di attività lavorativa svolta.
La sentenza della Corte Costituzionale 6 luglio 2012, n. 172, invocata dall’appellante, non pronuncia sulla legittimità costituzionale dell’art. 26, comma 7 bis, del T.U.I., ma dell’art. 1 ter comma 13 lett. c) d.l. 1 luglio 2009 n. 78, introdotto dalla legge di conversione n. 102 del 2009, nella parte in cui fa derivare automaticamente il rigetto dell’istanza di regolarizzazione del lavoratore extracomunitario dalla pronuncia nei suoi confronti di una sentenza di condanna per uno dei reati per i quali l’art. 381 c.p.p. permette l’arresto facoltativo in flagranza.
La stessa Corte Costituzionale, con la sentenza n. 148 del 2008, ha ritenuto compatibili con la Costituzione norme che vietano la permanenza nel territorio dello Stato per il solo fatto che il cittadino non italiano abbia commesso determinati reati, salvo che sussistano, in contrario, ragioni umanitarie e solidaristiche, quali quelle contemplate dal decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 3 (Attuazione della direttiva 2003/109/CE relativa allo status di cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo) e dal decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 5 (Attuazione della direttiva 2003/86/CE relativa al diritto di ricongiungimento familiare) e l’automatismo sarebbe giustificato dal bilanciamento degli interessi sottesi alla tutela della sicurezza pubblica e alla tutela della vita familiare (Corte Costituzionale 18 luglio 2013 n. 202).
Ma non è il caso del ricorrente.
3.3. – La fattispecie esaminata dal precedente della Sezione n. 4522 del 2013 riguardava, invece, l’ipotesi del tutto peculiare dello straniero che aveva riportato un’unica condanna molto risalente nel tempo; mentre il ricorrente ha riportato più condanne per reati della stessa natura e l’ultima delle quali divenuta definitiva nel 2013.
3.4. – Infine, va rilevato che il provvedimento di riabilitazione del maggio 2017, in quanto successivo al provvedimento impugnato, non rileva ai fini della sua legittimità, che va valutata secondo la regola “tempus regit actum” e non rileva neppure ai sensi dell’art. 5, comma 5, del T.U.I., che consente la valutazione di circostanze sopravvenute nel corso del procedimento da parte della P.A., alla quale siano adeguatamente riferite prima dell’adozione dell’atto conclusivo.
Semmai, la circostanza potrebbe legittimare il richiedente alla presentazione di una istanza di riesame alla stessa Amministrazione.
4. – Infondato è anche il terzo motivo di appello, con cui l’appellante sostiene che la Questura di Pisa avrebbe dovuto valutare la propria domanda ai sensi dell’art. 9 del T.U.I., ai fini del rilascio di un permesso UE per soggiornanti di lungo periodo e alla luce della direttiva 109 del 2003 che attribuisce maggior rilievo al presupposto della durata del soggiorno.
4.1. – Il Collegio rileva che per il rilascio di permesso soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo ai sensi dell’art. 9, commi 1 e 4, si richiedono una pluralità di condizioni: che il richiedente sia in possesso di un permesso di soggiorno in corso di validità da almeno cinque anni, di un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale e sia in possesso di alloggio idoneo secondo i parametri degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, ovvero con requisiti igienico-sanitari accertati dall’ASL (comma 1); si richiede, inoltre, un apprezzamento discrezionale da parte dell’Amministrazione circa la non pericolosità dell’interessato per la sicurezza sociale (tenendo conto anche di condanne non definitive per i reati previsti dall’art. 380 c.p.p. e, limitatamente ai delitti non colposi, dall’art. 381 c.p.p.) e circa la durata della permanenza nel territorio nazionale, l’inserimento sociale, familiare e lavorativo (comma 4).
Non può, pertanto, beneficiare automaticamente del titolo solo chi vanti il soggiorno di fatto in modo continuativo e legale per cinque anni nel territorio dello Stato ed il reddito sufficiente, occorrendo l’apprezzamento discrezionale di ulteriori circostanze oggettive e soggettive, che devono essere tutte adeguatamente documentate nel corso del procedimento (Consiglio di Stato, sez. III, 24/06/2016, n. 2818).
4.2. – La richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, della questione concernente la compatibilità con l’ordinamento comunitario e la direttiva 109 del 2003 delle norme nazionali che contemplerebbero un trattamento di maggior favore per i soggetti lungo-soggiornanti rispetto a coloro i quali non hanno ottenuto il formale riconoscimento di detto status non può trovare accoglimento perché non ricorre, nel caso concreto, la dimostrazione nel corso del procedimento amministrativo della sussistenza di tutti i requisiti richiesti per la valutazione discrezionale ai fini del rilascio di un permesso UE per lungo soggiornanti.
5. – In conclusione, l’appello va respinto.
6. – Le spese di giudizio si compensano tra le parti, in considerazione della novità di alcune questioni trattate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, dichiara legittimo il provvedimento impugnato.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellante.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 febbraio 2018 con l’intervento dei magistrati:
Franco Frattini – Presidente
Umberto Realfonzo – Consigliere
Massimiliano Noccelli – Consigliere
Paola Alba Aurora Puliatti – Consigliere, Estensore
Pierfrancesco Ungari – Consigliere
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