Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 11 settembre 2017, n. 4286. In riferimento al provvedimento interdittivo emesso a seguito di istanza di aggiornamento ex art. 91 comma 5 del Codice delle leggi antimafia

In riferimento al provvedimento interdittivo emesso a seguito di istanza di aggiornamento ex art. 91 comma 5 del Codice delle leggi antimafia, l’istanza di aggiornamento, per quanto fondata su specifici e documentati elementi di novità rappresentati alla Prefettura, non delimita l’ambito di valutazione discrezionale che a questa spetta, nel rinnovato esercizio del suo potere ai fini dell’aggiornamento, né la vincola al solo spazio di indagine costituito dagli elementi sopravvenuti indicati dall’impresa, entro, per così dire, binari precisi o rime obbligate.

Sentenza 11 settembre 2017, n. 4286
Data udienza 27 giugno 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Terza

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1518 del 2017, proposto da:

Ministero dell’Interno, Anac – Autorità Nazionale Anticorruzione, in persona dei legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via (…);

contro

-Omissis-., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati An. Cl., Lu. Gi., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato An. Cl. in Roma, via (…);

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per il Piemonte, Sezione Prima, n. -OMISSIS-, resa tra le parti, l’interdittiva antimafia.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di -OMISSIS-.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 27 giugno 2017 il Cons. Stefania Santoleri e uditi per le parti l’avvocato An. Cl. e l’avvocato dello Stato Ma. An. Sc.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. – Con provvedimento del -OMISSIS-, il Prefetto della Provincia di Torino ha emesso l’informativa antimafia nei confronti della società -OMISSIS-., operante nel settore del movimento terra, in quanto a seguito di istruttoria è emerso un quadro articolato di legami e di cointeressenza economica tra tale società, anche per il tramite dell’amministratore unico -OMISSIS-e soggetti legati alla criminalità organizzata, quali -OMISSIS-e la famiglia -OMISSIS-, che presentavano aspetti di forte contiguità con soggetti coinvolti nel procedimento penale “-OMISSIS-“, ed in particolare con -OMISSIS-.

Tale interdittiva, è stata impugnata dinanzi al TAR per il Piemonte che, con sentenza n. -OMISSIS-, ha rigettato il ricorso. L’appello avverso tale sentenza è stato dichiarato improcedibile.

2. – La società -OMISSIS-, avendo operato modifiche nella propria compagine sociale e amministrativa, ha presentato alla Prefettura di Torino un’istanza di aggiornamento ex art. 91 comma 5 del D.Lgs. 159/11, chiedendo il rilascio della liberatoria antimafia.

Dopo aver espletato la dovuta istruttoria, e riesaminato la posizione della società, il Prefetto di Torino ha adottato il provvedimento del -OMISSIS-, con il quale ha confermato l’interdittiva antimafia.

3. – Tale provvedimento è stato impugnato dalla società -OMISSIS- dinanzi al TAR per il Piemonte che, con la sentenza appellata, ha accolto il ricorso per difetto di motivazione ed irragionevolezza.

4. – Avverso la decisione del TAR hanno proposto appello l’Amministrazione dell’Interno unitamente all’ANAC, chiedendone la riforma.

4.1 – Si è costituita in giudizio la società -OMISSIS- che ha eccepito, preliminarmente, l’inammissibilità del ricorso in appello per nullità del gravame, in quanto privo della sottoscrizione con firma digitale prescritta nel processo amministrativo telematico dall’art. 136, comma 2 bis, c.p.a. e dall’art. 9 del DPCM n. 40/2016.

Ha rilevato l’appellata, infatti, che le Amministrazioni hanno depositato in giudizio un ricorso nativo digitale in formato pdf, privo di alcuna sottoscrizione, nonché la copia per immagini del gravame utilizzato ai soli fini della notifica a mezzo posta, priva della necessaria asseverazione, corredata dalla firma digitale, dell’originale informatico.

Tale formalità sarebbe essenziale ai fini della validità e riferibilità al difensore dell’atto processuale, tanto da comportare la nullità dell’atto, ai sensi dell’art. 44, comma 1, lett. a) c.p.a.

Nel merito la società -OMISSIS- ha replicato alle doglianze proposte chiedendo il rigetto dell’impugnativa.

4.2 – In data 11 aprile 2017 le appellanti hanno depositato il ricorso in appello nativo digitale munito della firma digitale dell’Avv. dello Stato Mario Antonio Scino; il successivo 16 maggio 2017 hanno depositato la prova dell’avvenuta notificazione a mezzo posta (copia per immagini della raccomandata munita della firma digitale dell’Avv. dello Stato Mario Antonio Scino).

4.3 – La società appellata ha quindi depositato memoria ex art. 73 c.p.a. e memoria di replica.

4.4 – All’udienza pubblica del 27 giugno 2017 l’appello è stato trattenuto in decisione.

5. – L’appello è fondato e va, dunque, accolto.

5.1 – Deve essere preliminarmente esaminata l’eccezione di nullità del ricorso in appello, sollevata dalla difesa dell’appellata.

L’eccezione è stata proposta nella memoria, datata 3 aprile 2017, predisposta per la camera di consiglio fissata per la decisione sulla domanda cautelare, poi abbinata al merito.

Con la sentenza della Quarta Sezione di questo Consiglio di Stato n. -OMISSIS-, è stata risolta la questione, insorta nella giurisprudenza di primo grado, sulla qualificazione da assegnare al vizio da cui risulta affetto il ricorso (ed il suo deposito) redatto in formato cartaceo, privo della firma digitale, senza l’attestazione di conformità ad un originale digitale.

La sentenza n. -OMISSIS- – alla quale per ragioni di sinteticità si fa espresso rinvio – ha qualificato tale vizio come ipotesi di mera irregolarità sanabile, prevedendo l’applicabilità dell’art. 44 comma 2 c.p.a., secondo cui il giudice deve fissare un termine perentorio entro il quale la parte onerata deve provvedere alla regolarizzazione dell’atto nelle forme di legge, con la comminatoria della declaratoria di irricevibilità del ricorso in caso mancata osservanza del termine.

Nel caso di specie, la parte appellante – tenuto conto di tale sentenza – ha spontaneamente provveduto alla regolarizzazione dell’atto, ed ha depositato il ricorso in appello nativo digitale munito della firma digitale dell’Avv. dello Stato Mario Antonio Scino, corredato successivamente anche della prova della sua notificazione.

Sebbene la regolarizzazione avrebbe dovuto essere ordinata dal giudice, ed eseguita dalla parte nel termine ad esso assegnato, nondimeno la spontanea regolarizzazione dell’atto da parte dell’appellante rende inutile la ripetizione di ciò che è stato già spontaneamente eseguito.

Ritiene quindi il Collegio di dover respingere l’eccezione di nullità del ricorso, e quindi di inammissibilità dell’appello sollevata dalla parte appellata.

6. – Prima di passare ad esaminare le doglianze proposte nell’atto di appello è opportuno richiamare il tenore del provvedimento impugnato e le statuizioni contenute nella sentenza del TAR.

6.1 – Il Prefetto di Torino, nel confermare la precedente interdittiva antimafia, ha rilevato – innanzitutto – che la cessazione di ogni rapporto tra il Sig. -OMISSIS-e la società -OMISSIS- non avrebbe fatto venir meno il rischio di condizionamento da parte della criminalità organizzata, in quanto:

– egli ha rassegnato le proprie dimissioni dalla carica di amministratore unico della società e al suo posto è subentrata la sig.ra -OMISSIS-;

– il 5 maggio 2015, infatti, ha ceduto le proprie quote di proprietà della società -OMISSIS- alla società -OMISSIS-società di proprietà della sig.ra -OMISSIS-;

– la sig.ra -OMISSIS-ha ricoperto la carica di amministratore unico della società dal 24 giugno 2014 al 22 luglio 2015, data nella quale è stato costituito il nuovo C.d.A.; da quel momento lei ha assunto la carica di consigliere;

– la società -OMISSIS-è posseduta all’100% dalla sig.ra -OMISSIS- che riveste la carica di amministratore unico di tale società, e l’83% delle quote della società -OMISSIS- è detenuto dalla -OMISSIS-;

– i numerosi rapporti economici (scambi societari) intercorsi tra la società -OMISSIS- con società direttamente riconducibili alla famiglia -OMISSIS- e a -OMISSIS-non sarebbero venuti meno, in quanto:

– la società -OMISSIS-(riconducibile a -OMISSIS-) ha detenuto 800 azioni della -OMISSIS- e le ha cedute alla -OMISSIS-nel 2011;

– la -OMISSIS-annovera tra i suoi soci -OMISSIS- (marito di -OMISSIS-) che ha ricoperto la carica di procuratore speciale della -OMISSIS- S.r.l., riconducibile a -OMISSIS-, colpita da interdittiva antimafia del Prefetto di Milano;

– la -OMISSIS- ha detenuto una partecipazione societaria nella società -OMISSIS- costituita dopo i provvedimenti emessi dal G.I.P. del Tribunale di Torino in relazione all'”Operazione -OMISSIS-” che aveva interessato anche le quote della -OMISSIS-, intestate a -OMISSIS- -OMISSIS-, condannato per il reato di appartenenza ad associazione mafiosa; -OMISSIS-aveva a sua volta rilevato il ramo di azienda della società -OMISSIS- relativa all’acquisto e ristrutturazione dello stabile ex palestra di -OMISSIS-.

Sulla base di tali elementi il Prefetto di Torino, tenuto conto del parere del gruppo ispettivo reso nella riunione del -OMISSIS-, ha ritenuto ancora attuale e concreto il pericolo di infiltrazione mafiosa, atteso che “l’83% del capitale sociale è attualmente detenuto dalla -OMISSIS-Srl, società che, come già evidenziato, risulta amministrata da -OMISSIS-, che ne detiene l’interezza del capitale sociale”.

6.2 – Con la sentenza di primo grado il TAR ha ritenuto, invece, che dinanzi:

– alla fine di qualsiasi rapporto tra la società ed il sig. -OMISSIS-(cui venivano imputati rapporti con esponenti della criminalità organizzata), cessato il 24.06.2014 dalla carica di Amministratore Unico e non più titolare dal 22.09.2014 di azioni della -OMISSIS-.,

– alla nomina, in luogo dell’Amministratore Unico, di un Consiglio di Amministrazione costituito da altri soggetti, tra cui la sig.ra -OMISSIS-, che nulla avevano a che fare con i precedenti vertici della società,

– all’annullamento da parte del TAR Lombardia, con sentenza n. -OMISSIS- (confermata in cautelare dal Consiglio di Stato), dell’informativa emessa a carico della -OMISSIS- s.r.l., società della quale il sig. -OMISSIS-, marito della sig.ra -OMISSIS-, era stato procuratore speciale;

– “il possesso dell’83% del capitale sociale della -OMISSIS-. da parte della -OMISSIS-amministrata e detenuta dalla stessa sig.ra -OMISSIS-, mai citata nell’informativa originaria ed, allo stato, in base agli atti di causa, mai indagata, non appare, in verità, da solo, un motivo sufficiente a ritenere ancora integrato il pericolo di infiltrazioni mafiose”;

– “la conferma dell’interdittiva nei confronti della -OMISSIS-., se fondata soltanto sui medesimi presupposti del provvedimento del 13.05.2014 risulta, in special modo, in contraddizione con l’avvenuto annullamento dell’informativa adottata a carico della -OMISSIS- s.r.l. società considerata dalla Prefettura di Torino il tramite del “contagio” del rischio di infiltrazione mafiosa per i suoi legami con la famiglia -OMISSIS-

Il TAR ha quindi accolto il ricorso di primo grado ritenendo l’interdittiva impugnata affetta dai vizi di difetto di motivazione ed irragionevolezza.

7. – Con il ricorso in appello le Amministrazioni appellanti hanno dedotto, in estrema sintesi, che:

– la riorganizzazione della società -OMISSIS- sarebbe più apparente che reale, in quanto il socio di maggioranza è divenuta la società -OMISSIS-che era già proprietaria insieme al Sig. -OMISSIS-della -OMISSIS- al momento della prima interdittiva;

– la -OMISSIS-è completamente controllata dalla sig.ra -OMISSIS-, che ricopre la carica di consigliere della -OMISSIS-;

– la -OMISSIS-costituisce l’elemento di continuità con la precedente gestione della società al momento dalla prima interdittiva, come si evidenzia dai passaggi proprietari e di gestione societaria;

– la -OMISSIS-era domina della -OMISSIS-quando ha acquistato il terreno edificabile da -OMISSIS-, condannato insieme a -OMISSIS- nel processo “-OMISSIS-” per la vicenda del voto di scambio;

– era residente o domiciliata insieme al marito -OMISSIS- presso un immobile concesso in locazione dalla moglie di -OMISSIS-;

– la -OMISSIS-quindi, benché incensurata, agisce come soggetto contiguo, anche tramite la società -OMISSIS-alla famiglia -OMISSIS-, ed era organica alla società -OMISSIS- anche al momento della prima interdittiva quando i signori -OMISSIS-e -OMISSIS-(precedente amministratore della -OMISSIS-) ponevano in essere le condotte rilevanti ai fini antimafia;

– dispone, in qualità di proprietaria del socio di maggioranza della -OMISSIS- e di consigliere di amministrazione, della capacità di condizionare in modo significativo la società;

– l’annullamento dell’informativa del Prefetto di Milano nei confronti della -OMISSIS- S.r.l., sarebbe irrilevante, tenuto conto della riforma di tale sentenza da parte del Consiglio di Stato (sentenza n. -OMISSIS-);

– tali elementi, sarebbero quindi sufficienti – sulla base del principio del più probabile che non – a sostenere il provvedimento impugnato in primo grado.

7.2 – Con la propria memoria difensiva la società -OMISSIS- contesta quanto sostenuto dalle appellanti, rilevando che:

– a seguito del rinnovamento societario sarebbe venuto meno ogni contatto con il sig. -OMISSIS- e con le società a lui riconducibili;

– la Prefettura richiamerebbe fatti utilizzati per la prima interdittiva, non tenendo conto del rinnovamento societario;

– non fornirebbe elementi sui quali fondare il pericolo di infiltrazione mafiosa;

– di qui l’illogicità, irragionevolezza, difetto di motivazione e di istruttoria dell’atto.

Aggiunge, poi, che con sentenza della Sezione VI della Corte di Cassazione n. -OMISSIS-il Sig. -OMISSIS- è stato assolto dal reato di voto di scambio politico mafioso (art. 416 ter c.p.), in quanto la sua condotta è stata riqualificata ai sensi dell’art. 96 D.P.R. n. 361/57, e la causa è stata rinviata alla Corte di Appello per la rideterminazione della pena; è stata quindi esclusa ogni connotazione mafiosa della condotta a lui contestata.

Di tale circostanza “sorprendentemente” non si farebbe menzione nel provvedimento impugnato.

Rileva, quindi, che ogni considerazione svolta dalla Prefettura sarebbe travolta da tale gravissimo difetto istruttorio e valutativo “non potendosi ammettere che la condizione di presunto rischio di infiltrazione mafiosa venga fatta derivare da circostanze smentite definitivamente in sede giurisdizionale”.

Deduce poi che nell’appello sarebbero stati introdotti elementi nuovi, mai menzionati in nessuna delle due interdittive, ipotizzando una contiguità della sig.ra -OMISSIS-con soggetti appartenenti alla criminalità organizzata.

Ciò non emergerebbe da alcun atto istruttorio.

Mancherebbero dunque i concreti elementi dai quali desumere il rischio di condizionamento mafioso, non sussisterebbero sufficienti elementi presuntivi e non vi sarebbe prova circa l’attualità del rischio, tenuto conto che non vi sarebbe prova di frequentazioni tra la -OMISSIS-e i signori -OMISSIS- e -OMISSIS-.

8. – Preliminarmente ritiene il Collegio di dover richiamare la sentenza n. -OMISSIS-, ricognitiva della giurisprudenza della Sezione in tema di interdittiva prefettizia antimafia, secondo cui:

– tale provvedimento costituisce una misura preventiva volta a colpire l’azione della criminalità organizzata, impedendole di avere rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione;

– trattandosi di una misura a carattere preventivo, prescinde dall’accertamento di singole responsabilità penali nei confronti dei soggetti che, nell’esercizio di attività imprenditoriali, hanno rapporti con la pubblica amministrazione e si fonda sugli accertamenti compiuti dai diversi organi di polizia valutati, per la loro rilevanza, dal Prefetto territorialmente competente;

– tale valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità, che può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo sotto il profilo della sua logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati;

– essendo il potere esercitato espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale, finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata, la misura interdittiva non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certi sull’esistenza della contiguità dell’impresa con organizzazione malavitose, e quindi del condizionamento in atto dell’attività di impresa, ma può essere sorretta da elementi sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti elementi del pericolo che possa verificarsi il tentativo di ingerenza nell’attività imprenditoriale della criminalità organizzata;

– anche se occorre che siano individuati (ed indicati) idonei e specifici elementi di fatto, obiettivamente sintomatici e rivelatori di concrete connessioni o possibili collegamenti con le organizzazioni malavitose, che sconsigliano l’instaurazione di un rapporto dell’impresa con la pubblica amministrazione, non è necessario un grado di dimostrazione probatoria analogo a quello richiesto per dimostrare l’appartenenza di un soggetto ad associazioni di tipo camorristico o mafioso, potendo l’interdittiva fondarsi su fatti e vicende aventi un valore sintomatico e indiziario e con l’ausilio di indagini che possono risalire anche ad eventi verificatisi a distanza di tempo;

– gli elementi raccolti non vanno considerati separatamente, dovendosi piuttosto stabilire se sia configurabile un quadro indiziario complessivo, dal quale possa ritenersi attendibile l’esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata;

– i contatti o i rapporti di frequentazione, conoscenza, colleganza, amicizia, di titolari, soci amministratori, dipendenti dell’impresa con soggetti raggiunti da provvedimenti di carattere penale o da misure di prevenzione antimafia, possono assumere rilevanza quando non siano frutto di causalità, o per converso, di necessità;

– se è irrilevante un episodio isolato, secondo la logica del “più probabile che non” non lo sono i contatti che l’imprenditore direttamente o anche tramite un proprio intermediario, tenga con soggetti attinti da provvedimenti antimafia;

– rilevano anche le vicende anomale nella concreta gestione dell’impresa consistenti in fatti che lascino intravedere, nelle scelte aziendali, nelle dinamiche realizzative delle strategie imprenditoriali, nella stessa fase operativa o nella quotidiana attività di impresa, evidenti segni di influenza mafiosa, ovvero le vicende anomale nella formale struttura dell’impresa, sia essa in forma individuale o collettiva, nonché l’abuso della personalità giuridica;

– vi rientrano le sostituzioni negli organi sociali, nella rappresentanza legale della società, nonché nella titolarità delle imprese individuali ovvero delle quote societarie, effettuate da chiunque conviva con soggetti destinatati di provvedimenti di cui alle lettere a) e b) dello stesso art. 84, comma 4, del d.lgs. n. 159 del 2011, realizzate con modalità che, per i tempi in cui vengono realizzati, il valore economico delle transazioni, il reddito dei soggetti e le qualità dei subentranti, “denotino l’intento di eludere la normativa sulla documentazione antimafia”;

– rilevano, più in generale, tutte quelle operazioni fraudolente, modificative o manipolative della struttura dell’impresa, che essa esercitata in forma individuale o societaria:

– scissioni, fusioni, affitti di azienda o anche solo di ramo di azienda, acquisti di pacchetti azionari o di quote societarie da parte di soggetti, italiani o esteri, al di sopra di ogni sospetto, spostamenti di sede, legale od operativa, in zone apparentemente ‘franché dall’influsso mafioso;

– aumenti di capitale sociale finalizzati a garantire il controllo della società sempre da parte degli stessi soggetti, patti parasociali, rimozione o dimissioni di sindaci o controllori sgraditi;

– walzer di cariche sociali tra i medesimi soggetti, partecipazioni in altre società colpite da interdittiva antimafia, gestione di diverse società, operanti in settori diversi, ma tutte riconducibili alla medesima governance e spostamenti degli stessi soggetti dalle cariche sociali dell’una o dell’altra, etc.

– tali operazioni vanno considerate fraudolente, quando sono eseguite al malcelato fine di nascondere o confondere il reale assetto gestionale e con un abuso delle forme societarie, dietro il cui schermo si vuol celare la realtà effettiva dell’influenza mafiosa, diretta o indiretta, ma pur sempre dominante.

In particolare la giurisprudenza amministrativa ha sempre considerato meritevole di attenzione la situazione di cointeressenza con società riconducibili a soggetti direttamente o indirettamente collegati alla criminalità organizzata, costituendo questo contatto il fattore di rischio di permeabilità della criminalità organizzata nella gestione della società.

8.1 – Svolte queste premesse relative al provvedimento di prevenzione antimafia in generale, è opportuno aggiungere che la giurisprudenza amministrativa ha precisato – con specifico riferimento al provvedimento interdittivo emesso a seguito di istanza di aggiornamento ex art. 91 comma 5 del Codice delle leggi antimafia, che l’istanza di aggiornamento, per quanto fondata su specifici e documentati elementi di novità rappresentati alla Prefettura, non delimita l’àmbito di valutazione discrezionale che a questa spetta, nel rinnovato esercizio del suo potere ai fini dell’aggiornamento, né la vincola al solo spazio di indagine costituito dagli elementi sopravvenuti indicati dall’impresa, entro, per così dire, “binari precisi o rime obbligate” (Cons. St., sez. III, 13 maggio 2015, n. 2410 richiamata nella già citata sentenza della Sezione n. -OMISSIS-).

9. – Alla luce di questi principi ritiene il Collegio che la sentenza di primo grado meriti la riforma, in quanto il provvedimento del Prefetto di Torino impugnato in primo grado non presenta alcuno dei vizi rilevati dal TAR.

Innanzitutto il provvedimento è adeguatamente motivato: nelle premesse – riportate in precedenza per estratto – si evince in modo chiaro che il rinnovamento operato nella società è soltanto apparente, costituendo uno schermo per eludere la normativa antimafia.

Come ha correttamente rilevato la difesa delle appellanti con la fuoriuscita del sig. -OMISSIS-ed il subentro della sig.ra -OMISSIS-non vi è stata una rottura totale con la vecchia condizione in cui versava la società, e di ciò si dà chiaramente conto nella motivazione del provvedimento laddove si fa riferimento alle vicende societarie.

La società -OMISSIS-, infatti, che detiene oggi l’83% delle quote sociali posseduta al 100% dalla Sig.ra -OMISSIS- (moglie del Sig. -OMISSIS-), era già proprietaria della società -OMISSIS- ai tempi della prima interdittiva: ne deriva che ragionevolmente il Prefetto ha ritenuto che la Sig.ra -OMISSIS-costituisca elemento di continuità con la precedente gestione ritenuta – con sentenza irrevocabile – a rischio di permeabilità da parte della criminalità organizzata.

Occorre poi considerare che – da quanto emerge dagli atti istruttori versati in atti dall’Avvocatura dello Stato nel giudizio di primo grado – la sig.ra -OMISSIS-presenta stretti legami con -OMISSIS- e soggetti condannati all’esito del processo -OMISSIS-, tra i quali – in primis – -OMISSIS-(cfr. nota della Guardia di Finanza – Nucleo di Polizia Tributaria di Torino del -OMISSIS-, doc. n. 3 fasc. primo grado dell’Avvocatura).

Ciò emerge sia dal parere della DIA – Centro Operativo di Torino del -OMISSIS-(doc. n. 4 fasc. di primo grado dell’Avvocatura), sia dal parere del Gruppo Interforze reso nella riunione del -OMISSIS- (doc. n. 5 del fasc. di primo grado dell’Avvocatura).

In sostanza, dall’approfondimento istruttorio non sono stati fugati i dubbi di completa cesura con gli ambienti malavitosi della ‘ndrangheta che avevano condotto all’adozione del primo provvedimento interdittivo.

Né può ragionevolmente sostenersi – come ritenuto dal TAR – che il Prefetto non avrebbe tenuto conto delle “novità” fondando il proprio provvedimento su situazioni di fatto non attuali, in quanto ha esaminato le modifiche societarie e l’innovazione dei vertici amministrativi della società, ma ha ritenuto, sulla base di una valutazione che non si appalesa né illogica, né irragionevole sulla base del principio del più probabile che non, che fossero modifiche di “sola facciata” e non sostanziali, tanto da non far venir meno il rischio di condizionamento da parte della criminalità organizzata.

9.1 – L’ulteriore presupposto su cui si fonda la sentenza del TAR – e cioè l’annullamento dell’interdittiva antimafia emessa del Prefetto di Milano nei confronti della società -OMISSIS- – è venuto meno, in quanto la decisione di primo grado è stata riformata in appello.

Ne consegue che i vizi di difetto di motivazione e di irragionevolezza riscontrati dal primo giudice, non sussistono.

9.2 – Né possono accogliersi le tesi difensive proposte dalla appellata: innanzitutto il provvedimento impugnato risale al -OMISSIS- e quindi è ovvio che non tenga conto della sentenza della Corte di Cassazione n. -OMISSIS-.

In ogni caso questa Sezione, nella sentenza del -OMISSIS-, ha condiviso le tesi dell’Amministrazione in merito all’irrilevanza del mancato riconoscimento dell’aggravante di cui all’art. 7 del D.L. 152/1991 (consistente nell’aver commesso il reato di cui all’art. 416 ter c.p.- corruzione elettorale – al fine di agevolare l’associazione mafiosa) e della mancata qualificazione del reato come delitto di cui all’art. 416 ter c.p., tenuto conto che il reato di scambio di voti – con cui il -OMISSIS- è stato comunque condannato – costituisce in ogni caso un chiaro riscontro della fondatezza del giudizio di condizionamento.

Secondo la giurisprudenza penale, i reati di corruzione elettorale si pongono in un contesto di possibile configurazione di concorso interno o esterno alle finalità politiche-elettorali di associazioni mafiose.

Né può accogliersi la tesi dell’appellata diretta a sostenere che nell’appello sarebbero stati allegati nuovi elementi non addotti nel provvedimento impugnato, in quanto le doglianze delle Amministrazioni appellanti si fondano – comunque – su elementi desumibili dal provvedimento prefettizio e dagli atti istruttori che lo sorreggono.

Il primo motivo di appello va dunque accolto.

10. – Con il secondo motivo le Amministrazioni appellanti ripropongono le tesi difensive già dedotte in primo grado, rilevando che l’annotazione dell’informazione prefettizia di natura interdittiva deve essere iscritta nel casellario informatico dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, regolato dall’art. 8, comma 4, ultimo periodo del D.P.R. 5 ottobre 2010 n. 207, tenuto conto dell’indubbia importanza che la notizia riveste per le stazioni appaltanti per poter verificare se l’impresa possa partecipare alle gare di appalto.

Le affermazioni delle appellanti sono pienamente condivise del Collegio, in quanto l’annotazione nel casellario informatico delle interdittive antimafia costituisce un atto doveroso per l’Autorità, essendo prevista dall’art. 91, comma 7 bis, del D.Lgs. n. 159/2011.

Legittimamente, quindi, l’ANAC vi ha provveduto.

10. – In conclusione, per i suesposti motivi, l’appello va accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado, va respinto il ricorso di primo grado.

11. – Le spese del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado, respinge il ricorso di primo grado.

Condanna l’appellata al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio che liquida in complessivi ? 5.000,00 oltre accessori di legge, se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le persone fisiche e giuridiche riportate in motivazione.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 giugno 2017 con l’intervento dei magistrati:

Marco Lipari – Presidente

Umberto Realfonzo – Consigliere

Massimiliano Noccelli – Consigliere

Pierfrancesco Ungari – Consigliere

Stefania Santoleri – Consigliere, Estensore

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