Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 12 settembre 2017, n. 4289. In tema di ordinamento militare dopo la sistemazione codicistica della materia

L’ordinamento militare si basa, dopo la sistemazione codicistica della materia, non solo su un’articolazione gerarchica del personale in relazione alla categoria di inquadramento ed al grado all’interno di essa rivestito, ma pure su una pluralità di ruoli: questi, sostanzialmente, rappresentano la proiezione ordinamentale del diverso percorso formativo, addestrativo e professionale delle varie componenti umane dello strumento militare e, di risulta, sono connotati da una diversa disciplina quanto, fra l’altro, ad accesso, sviluppo di carriera e competenze; il differente inquadramento normativo degli Ufficiali appartenenti a ruoli distinti, nonché le relative conseguenze di carattere economico, costituiscono pertanto un profilo fisiologico, strutturale e caratterizzante dell’attuale articolazione organizzativa delle Forze Armate che, in quanto frutto di discrezionalità legislativa peraltro rispondente a ben precise esigenze oggettive, non presenta margini per la formulazione di censure di incostituzionalità .

Sentenza 12 settembre 2017, n. 4289
Data udienza 13 luglio 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Quarta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2082 del 2013, proposto da Sa. Ac. ed altri, tutti rappresentati e difesi dall’avvocato Gi. Vi., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, (…);

contro

Ministero della difesa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato in Roma, via (…);

per la riforma

della sentenza del T.a.r. Lazio – Sede di Roma, Sez. I-bis n. 8023 del 24 settembre 2012, resa tra le parti, concernente riconoscimento del periodo di servizio prestato nel ruolo Sottufficiali ai fini della omogeneizzazione stipendiale stabilita dall’art. 5 della legge 8 agosto 1990, n. 231.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero della difesa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 luglio 2017 il Cons. Luca Lamberti e uditi per le parti gli avvocati G. Vi. e l’avvocato dello Stato De Fe.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

I ricorrenti, Ufficiali dell’Esercito Italiano appartenenti al ruolo tecnico-amministrativo istituito con la legge 10 maggio 1983, n. 212, hanno adito il T.a.r. Lazio, Sede di Roma, al fine di veder dichiarato il proprio diritto al computo, a fini retributivi, anche del periodo in precedenza trascorso con il grado di Sottufficiale.

I ricorrenti, in particolare, hanno premesso che l’art. 5 della legge 8 agosto 1990, n. 231, come modificato dall’art. 5 della legge 29 marzo 2001, n. 86, ha previsto, nell’ambito di una “ulteriore omogeneizzazione stipendiale con le forze militari di polizia”, che agli Ufficiali delle Forze armate appartenenti ai ruoli del servizio permanente per i quali è previsto il diretto conseguimento del grado di Tenente o corrispondente (quale è quello tecnico-amministrativo), è attribuito lo stipendio spettante al Colonnello ed al Brigadiere Generale dopo, rispettivamente, 13 e 23 anni di servizio senza demerito, computati a decorrere “dalla nomina ad Ufficiale”.

Tale ultima dizione, hanno lamentato i ricorrenti, comporta, ai fini de quibus, l’irrilevanza del periodo di servizio in precedenza prestato con il grado di Sottufficiale, in frontale contrasto con quanto, viceversa, stabilito dalla legge (legge 1 aprile 1981, n. 121, art. 43-ter) a favore dei funzionari del ruolo dei Commissari della Polizia di Stato e dei corrispondenti gradi delle Forze di Polizia ad ordinamento militare (che, a tenore dell’art. 43 della stessa legge 1 aprile 1981, n. 121, sono parificati, per gli aspetti retributivi, alla Polizia di Stato), ai quali è attribuito lo stipendio spettante al Primo Dirigente ed al Dirigente Superiore alla sola condizione dello svolgimento del servizio senza demerito rispettivamente per 13 e 23 anni, a prescindere, dunque, da ogni riferimento al grado rivestito.

Siffatta disciplina, hanno concluso i ricorrenti, presenta profili di incostituzionalità in riferimento agli articoli 3, 36 e 97 della Costituzione, giacché determina, in tesi, una disparità di trattamento tra Ufficiali dell’Esercito e personale del ruolo Commissari della Polizia di Stato (e dei corrispondenti gradi delle Forze di Polizia ad ordinamento militare), nonché, nell’ambito degli Ufficiali dell’Esercito, una discriminazione a danno degli Ufficiali del ruolo tecnico-amministrativo: l’accesso a tale ruolo, infatti, consegue, a tenore della l. 10 maggio 1983, n. 212, al superamento di apposito concorso per titoli ed esami riservato ai “Marescialli Maggiori o gradi corrispondenti”, grado questo a sua volta raggiungibile solo dopo circa venti anni di servizio.

L’Amministrazione della difesa non si è costituita.

Il T.a.r., con la sentenza indicata in epigrafe, ha rigettato il ricorso, ritenendo che la “questione di legittimità costituzionale è manifestamente infondata, atteso che il mancato riconoscimento, ai fini della omogenizzazione stipendiale, del periodo svolto nel ruolo sottufficiali non appare discriminatorio nei confronti dei ricorrenti in quanto provenienti da un ruolo diverso. Né peraltro l’attribuzione dello stipendio spettante al colonnello ed al generale di brigata allo svolgimento, rispettivamente, di tredici e ventitré anni dalla “nomina ad Ufficiale” può ritenersi irrazionale in quanto rientra nella piena disponibilità del legislatore non attribuire alcun significato al precedente periodo di servizio espletato nel ruolo sottufficiali attesa la diversità delle funzioni svolte”.

I ricorrenti hanno interposto appello, riproponendo le traiettorie defensionali percorse in prime cure.

L’Amministrazione della difesa, ritualmente costituitasi, ha depositato memoria di trattazione in cui ha eccepito l’inammissibilità dell’appello per violazione dell’art. 101 c.p.a., in considerazione della lamentata assenza di “specifiche censure contro i capi della sentenza gravata”, ed ha, comunque, sostenuto l’infondatezza nel merito delle argomentazioni svolte ex adverso.

Il ricorso, discusso alla pubblica udienza del 13 luglio 2017, non merita accoglimento.

Non è, anzitutto, fondata l’eccezione di rito coltivata dalla difesa erariale: l’atto di appello, infatti, censura specificamente la sentenza impugnata nella parte in cui i Giudici di prime cure hanno ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5 l. legge 8 agosto 1990, perno attorno a cui ruota l’intera impalcatura difensiva sviluppata dai ricorrenti.

Nel merito, tuttavia, la decisione impugnata è corretta e deve essere confermata.

Il Collegio prende le mosse dall’ordinanza della Corte Costituzionale 17 luglio 2000, n. 296, emessa a definizione di un giudizio incidentale di costituzionalità parimenti afferente a questioni retributive del personale delle Forze Armate ed incentrato sull’assunta violazione degli stessi articoli della Carta Fondamentale citati dai ricorrenti a supporto della propria linea difensiva.

In tale provvedimento la Corte, premesso in linea generale che “la discrezionalità legislativa incontra soltanto i limiti dell’arbitrarietà o della manifesta irragionevolezza”, osserva che “le funzioni svolte e i compiti demandati ai sottufficiali dei carabinieri differiscono sensibilmente da quelli ? affidati ai sottufficiali delle altre Forze armate”: poiché, dunque, “tali diversità rendono le rispettive posizioni non comparabili ? la scelta compiuta dal legislatore con la norma censurata non può dirsi manifestamente irragionevole né palesemente arbitraria (cfr. ordinanza n. 324 del 1993)” con riferimento all’art. 3 della Costituzione.

La Corte, inoltre, ritiene che “non sussiste neppure la violazione dell’art. 36 della Costituzione, giacché il legislatore, così come gode di ampia discrezionalità, pur con i limiti indicati, nel modificare l’organizzazione amministrativa e nell’adottare le conseguenti misure di perequazione economica, nel contempo gode della stessa discrezionalità nel differenziare il trattamento economico di categorie in precedenza egualmente retribuite; e che, in ogni caso, lo “scorrimento” verso l’alto di una categoria retributiva non comporta la necessità di innalzare anche i livelli superiori o inferiori (cfr. ordinanza n. 189 del 1999)”.

La Corte, infine, sostiene che “il parametro di cui all’art. 97 della Costituzione non è violato, poiché le variazioni dell’assetto organizzatorio della pubblica amministrazione rientrano nella discrezionalità del legislatore e non ledono, di per sé, il canone del buon andamento (sentenza n. 63 del 1998)”.

Le coordinate esegetiche de quibus ben si attagliano alla presente controversia.

L’oggettiva, evidente e strutturale diversità dei compiti, delle attribuzioni, delle qualificazioni professionali del personale delle Forze di polizia ad ordinamento militare e del personale delle Forze Armate esclude che differenti modulazioni della rispettiva progressione retributiva determinino la violazione dell’art. 3 della Costituzione, predicabile solo in presenza di palesi, abnormi, eclatanti ed ingiustificabili distonie normative, nella specie non ricorrenti.

A fortiori, esulano profili di incostituzionalità con riferimento al personale della Polizia di Stato, istituzione connotata, come noto, da ordinamento civile e, dunque, inidonea a rappresentare, nella specie, un congruo tertium comparationis.

Ancora, non si apprezza alcuna violazione dell’art. 36, giacché non consta che la progressione stipendiale de qua impedisca ai ricorrenti di vivere “un’esistenza libera e dignitosa” né che sia inadeguata alla “quantità e qualità del lavoro” prestato: per altro verso, come sottolineato dalla Corte, “lo “scorrimento” verso l’alto di una categoria retributiva non comporta la necessità di innalzare anche i livelli superiori o inferiori”.

Non si rileva, inoltre, una lesione dell’art. 97, costituendo la concreta e puntuale articolazione delle carriere del personale della Pubblica Amministrazione, anche in punto di quantificazione del relativo livello retributivo, il nucleo vivo della potestà legislativa in subiecta materia, passibile di addebiti di incostituzionalità solo in presenza di abnormi e plateali illogicità e contraddittorietà.

Né, infine, il Collegio ravvisa una discriminazione degli Ufficiali del ruolo tecnico-amministrativo rispetto agli Ufficiali degli altri ruoli dell’Esercito: di contro, il trattamento retributivo si presenta analogo per tutti gli Ufficiali a prescindere dal ruolo di inquadramento, atteso che è parametrato all’anzianità maturata in servizio appunto come Ufficiale, senza alcun riferimento ad esperienze pregresse che potrebbero, queste sì, introdurre profili di distonia.

Più in particolare, l’attuale articolazione del trattamento economico riconosciuto agli Ufficiali delle Forze Armate prescinde dal grado (cui, viceversa, faceva riferimento la previgente disciplina) e si concentra unicamente sull’anzianità di servizio: nel contesto di tale scelta legislativa è logico (o, quanto meno, non è manifestamente e platealmente irragionevole) che si faccia riferimento al solo servizio prestato nella categoria degli Ufficiali, tanto più alla luce, come correttamente evidenziato dai Giudici di prime cure, del diverso spessore professionale delle funzioni proprie della categoria dei Sottufficiali rispetto a quella degli Ufficiali.

Di converso, i ricorrenti non possono lamentare che il particolare requisito di accesso al ruolo tecnico-amministrativo, rappresentato dal previo prolungato servizio come Sottufficiale, costituisca ex se una lesione al principio di uguaglianza quanto alle conseguenze che ne derivano in punto di progressione retributiva una volta ottenuta la nomina ad Ufficiale.

Invero, l’ordinamento militare si basava e si basa tuttora, dopo la sistemazione codicistica della materia, non solo su un’articolazione gerarchica del personale in relazione alla categoria di inquadramento ed al grado all’interno di essa rivestito (v., allo stato, articoli 627 e 626 d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66), ma pure su una pluralità di ruoli (v., allo stato, articolo 790 e seguenti d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66): questi, sostanzialmente, rappresentano la proiezione ordinamentale del diverso percorso formativo, addestrativo e professionale delle varie componenti umane dello strumento militare e, di risulta, sono connotati da una diversa disciplina quanto, fra l’altro, ad accesso, sviluppo di carriera e competenze.

Il differente inquadramento normativo degli Ufficiali appartenenti a ruoli distinti, nonché le relative conseguenze di carattere economico, costituiscono pertanto un profilo fisiologico, strutturale e caratterizzante dell’attuale articolazione organizzativa delle Forze Armate che, in quanto frutto di discrezionalità legislativa peraltro rispondente a ben precise esigenze oggettive, non presenta margini per la formulazione di censure di incostituzionalità (cfr. Corte Costituzionale, 21 aprile 1994, n. 146; v. anche Cons. Stato, Sez. IV, 7 marzo 2005, n. 874 e 22 marzo 2005, n. 1218).

La manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale rappresentata dai ricorrenti comporta il rigetto del ricorso, che su di essa interamente si fonda.

La natura della controversia e dei sottesi interessi suggerisce la compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 luglio 2017 con l’intervento dei magistrati:

Antonino Anastasi – Presidente

Oberdan Forlenza – Consigliere

Luigi Massimiliano Tarantino – Consigliere

Leonardo Spagnoletti – Consigliere

Luca Lamberti – Consigliere, Estensore

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