Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 1 marzo 2018, n. 1278. Al di fuori dei casi in cui il margine positivo risulti pari a zero, non è possibile stabilire una soglia minima di utile al di sotto della quale l’offerta deve essere considerata anomala

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Il TAR ha anche respinto la tesi del ricorrente fondata sui principi affermati dalla Sezione Quinta di questo Consiglio di Stato con la sentenza del 23 giugno 2016, n. 2813, rilevando che “la dichiarazione è stata resa dall’amministratore unico del socio unico, nonché dal revisore unico della società aggiudicataria”.
La tesi del primo giudice è pienamente condivisibile.
La tesi seguita dal TAR, basata sull’interpretazione letterale della norma, risulta condivisibile; peraltro, nel caso di specie, l’eventuale mancanza della dichiarazione non avrebbe potuto comportare l’esclusione dalla gara: l’amministratore di entrambe le società è infatti il medesimo soggetto.
Il Sig. Sa. Ga. ha reso la dichiarazione in questione per conto della società aggiudicataria GS.; la GS., al momento della redazione delle dichiarazioni, era di proprietà esclusiva della St. del Mo. S.r.l., di proprietà del 99,70% dello stesso Sig. Sa. Ga. che detiene tutti i poteri di gestione e amministrazione di tale società.
La sig.ra Ro. Ch., proprietaria delle quote di minoranza (pari allo 0,3%), non dispone di alcun potere gestorio e di impegno per la società, come pure il consigliere Ro. Ga. che non dispone di quote di proprietà, ma si limita a svolgere attività promozionale per la società.
Ne consegue che la asserita carenza avrebbe potuto costituire, esclusivamente, una mera violazione formale che non avrebbe potuto condurre all’esclusione, ma soltanto al soccorso istruttorio (cfr. delibera ANAC n. 1/2015).
La doglianza deve essere quindi respinta.
8. – Con il secondo e terzo motivo di appello, l’appellante ha censurato il capo di sentenza del TAR che ha respinto la doglianza relativa al giudizio di congruità all’esito del subprocedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta.
Lamenta l’appellante la genericità delle considerazioni svolte dal primo giudice fondate sulla base di principi generali affermati dalla giurisprudenza amministrativa: sostiene, in particolare, che l’omessa indicazione da parte della controinteressata dell’utile di impresa non sarebbe stata esaminata dal TAR.
Rileva, infatti, l’appellante che l’omessa indicazione dell’utile, elemento da ritenersi necessario in quanto connaturale allo svolgimento di un’attività economica, dimostrerebbe l’inattendibilità del giudizio di congruità dell’offerta reso dalla stazione appaltante anche facendo applicazione della prova di resistenza.
L’utile pari a zero o l’offerta in perdita, infatti, renderebbero ex sé inattendibile l’offerta.
L’utile non potrebbe desumersi neppure scomputando i costi evidenziati dal quantum complessivamente ricavabile in termini di corrispettivo.
9. – Le doglianze non possono essere condivise.
Innanzitutto la sentenza di primo grado è pienamente condivisibile in quanto ha richiamato – a sostegno della propria decisione – i principi costantemente affermati dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, dai quali il Collegio ritiene di non doversi discostare.
Il TAR ha infatti ritenuto che:
– la valutazione di congruità dell’offerta anomala consiste in un procedimento il cui esito è rimesso alla discrezionalità tecnica della stazione appaltante;
– la valutazione di congruità deve essere globale e sintetica, senza concentrarsi esclusivamente ed in modo parcellizzato sulle singole voci, dal momento che l’obiettivo dell’indagine è l’accertamento dell’affidabilità dell’offerta nel suo complesso e non già delle singole voci che la compongono (Ad.Pl. n. 36/2012 cit.; V, 14 giugno 2013, n. 3314; 1 ottobre 2010, n. 7262; 11 marzo 2010 n. 1414; IV, 22 marzo 2013, n. 1633; III, 14 febbraio 2012, n. 710);
– ciò che interessa al fine dello svolgimento del giudizio successivo alla valutazione dell’anomalia dell’offerta è rappresentato dall’accertamento della serietà dell’offerta desumibile dalle giustificazioni fornite dalla concorrente;
– la valutazione sulla congruità dell’offerta reso dalla stazione appaltante, in quanto espressione di discrezionalità tecnica, è sindacabile solo in caso di macroscopica illogicità o irragionevolezza, erroneità fattuale o difetto di istruttoria che rendano palese l’inattendibilità complessiva dell’offerta
(C.d.S., Ad.Pl., 29 novembre 2012, n. 36; V, 26 settembre 2013, n. 4761; 18 agosto 2010, n. 5848; 23 novembre 2010, n. 8148; 22 febbraio 2011, n. 1090; Consiglio di Stato, cit., 17 gennaio 2014, n. 162);
– il giudice amministrativo, infatti, non può operare autonomamente una verifica delle singole voci dell’offerta “sovrapponendo così la sua idea tecnica al giudizio – non erroneo né illogico – formulato dall’organo amministrativo cui la legge attribuisce la tutela dell’interesse pubblico nell’apprezzamento del caso concreto, poiché, così facendo, il Giudice invaderebbe una sfera propria della P.A.” (C.d.S., IV, 27 giugno 2011, n. 3862; V, 28 ottobre 2010, n. 7631; Consiglio di Stato, Sezione V, 17 gennaio 2014, n. 162).
Ai principi espressi dal TAR può aggiungersi che:
– al di fuori dei casi in cui il margine positivo risulti pari a zero, non è possibile stabilire una soglia minima di utile al di sotto della quale l’offerta deve essere considerata anomala, poiché anche un utile apparentemente modesto può comportare un vantaggio significativo, sia per la prosecuzione in sé dell’attività lavorativa, sia per la qualificazione, la pubblicità, il curriculum derivanti per l’impresa dall’essere aggiudicataria e aver portato a termine un appalto pubblico (Consiglio di Stato, sez. V, 27/09/2017, n. 4527; Cons. St., sez. V, 29 maggio 2017, n. 2556; Id., 13 febbraio 2017, n. 607; Id., 25 gennaio 2016, n. 242; Id., sez. III, 3 novembre 2016, n. 4671).
Nel caso di specie, sostiene l’appellante che l’aggiudicataria non avrebbe indicato alcun utile; ha poi aggiunto che scomputando dal corrispettivo i costi evidenziati, si evincerebbe la sua sostanziale mancanza.
In particolare, ha allegato nell’atto di appello una tabella (pag. 10) quale emergerebbe che l’utile sarebbe pari a soli Euro 140,65 per ciascuna annualità (e dunque pari ad Euro 703,26 per il quinquennio).
Ha poi aggiunto che non sarebbero stati specificati alcuni valori da ascrivere alle voci relative alle spese generali.
Ha quindi indicato in una successiva tabella (pag. 11) le singole voci mancanti, rilevando che la somma indicata a titolo di spese generali sarebbe del tutto insufficiente: da ciò si evincerebbe l’erosione del “risicato” utile calcolato implicitamente.
La doglianza non può essere condivisa.
L’appellante ha focalizzato le sue censure sulla mancanza di talune voci di costo sottolineando la sostanziale mancanza di utile, a dimostrazione dell’incongruità dell’offerta.

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