La cd. socializzazione del costo del lavoro interviene in presenza di accadimenti che esulano dalla sfera di controllo e di prevedibilità dell’imprenditore

Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 25 luglio 2018, n. 4550.

La massima estrapolata

La cd. socializzazione del costo del lavoro interviene in presenza di accadimenti che esulano dalla sfera di controllo e di prevedibilità dell’imprenditore, sia che essi attengano a fatti naturali come condizioni stagionali impeditive dell’ordinario andamento dei lavori, sia a fatti umani esterni, che sfuggono al dominio, secondo l’ordinaria diligenza, di chi organizza i fattori di impresa, comprensivi dell’ impiego della mano d’ opera. Segue che rientrano ordinariamente nella seconda tipologia gli eventi oggettivamente imprevedibili ai quali l’imprenditore non può sottrarsi quali: il caso fortuito, la forza maggiore, il “factum principis”, ovvero l’illecito del terzo. Il loro verificarsi determina, con carattere di ineludibilità, l’interruzione dei lavori con ricaduta sugli oneri di retribuzione dei lavoratori a tal fine assunti. L’ evento interruttivo è, invece, imputabile al datore di lavoro, ovvero alla committenza nei casi di contratto di appalto, quando esso si riconduce all’erroneità delle scelte tecniche in sede di progettazione; alla non corretta modulazione ed impegno delle maestranze in relazione all’ordinaria e prevedibile esecuzione del progetto, ovvero all’omessa previsione di possibili situazioni impeditive dell’ordinario prosieguo dei lavori

Sentenza 25 luglio 2018, n. 4550

Data udienza 12 luglio 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale

Sezione Sesta

ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8218 del 2012, proposto da
Gi. s.p.a, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Si. Ca., domiciliato presso la Segreteria del Consiglio di Stato, in Roma, piazza (…);
contro
Inps – Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Co., Vi. Tr., Em. De Ro. e Vi. St., domiciliata ex lege in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda) n. 00539/2012, resa tra le parti, concernente diniego ammissione alla cassa integrazione guadagni per l’edilizia
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Inps;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 luglio 2018 il Cons. Giordano Lamberti e udito l’avvocato Vi. St.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1 – La Gi. s.p.a. è un’impresa di costruzioni la cui principale attività è costituita dall’esecuzione di lavori stradali. Nel periodo compreso tra gennaio e marzo 1994, essa svolgeva lavori di asfaltatura nei cantieri di (omissis) e nel tratto (omissis) della nuova SS. 42-510.
2 – La Società ha ritenuto che, dato lo spessore di asfalto da posare (tra 3 e 5 cm) in relazione al tipo di opere da eseguire, la temperatura registrata nei giorni compresi tra il 10.01.1994 e il 22.01.1994 (per un totale di 597 ore lavorative perse presso il cantiere della strada statale (omissis)) e tra il 07.03.1994 e il 12.03.1994 (per un totale di 315 ore presso lo stesso cantiere e di 304 ore presso il cantiere lungo la linea ferroviaria Brescia-Iseo-Edolo) fosse eccessivamente bassa per consentire la esecuzione dei lavori a regola d’arte. Per tale ragione ha sospeso i lavori e richiesto, conseguentemente, l’ammissione alla Cassa integrazione e guadagni per l’Edilizia.
3 – L’INPS ha rigettato detta istanza.
4 – La Società ha impugnato tale provvedimento avanti il TAR per la Lombardia, Sezione di Brescia, che in un primo tempo ha accolto il ricorso con la sentenza n. 16 del 2005, poi annullata da questo Consiglio per la non corretta istaurazione del contraddittorio nei confronti dell’INPS. Quindi, il TAR si è pronunciato nuovamente con la sentenza n. 539 del 2012 ed ha rigettato il ricorso.
5 – La decisione è stata appellata dalla Società. Anche l’INPS ha proposto appello incidentale, avverso il capo della sentenza che ha respinto l’eccezione di irricevibilità del ricorso.
5.1 – Più precisamente, con l’appello la Società ha rilevato che la sola “motivazione” sulla quale può (e deve) svolgersi il sindacato giurisdizionale è costituita dalla affermazione, contenuta nelle deliberazioni del Comitato Amministratore, secondo cui le temperature minime risultanti dai bollettini del Consorzio dell’O. forniti dall’impresa “non sono state tali da giustificare la completa sospensione dei lavori denunciata”.
Per tale ragione, le ulteriori argomentazioni contenute nella sentenza del TAR – e precisamente che: a) le istanze non avrebbero specificato il tipo di lavorazione in corso al momento della sospensione; b) le temperature massime registrate nei giorni di sospensione dei lavori (indagate dall’Inps) avrebbero permesso, a differenza di quelle minime comunicate dall’impresa, di eseguire la stesura dell’asfalto a regola d’arte; c) le condizioni climatiche registrate nei giorni interessati non avrebbero avuto i caratteri “di anomalia e di eccezionalità gravità” necessari per l’intervento della CIG – rappresenterebbero una inammissibile integrazione postuma della motivazione del provvedimento impugnato.
5.2 – Con un secondo ordine di censure, l’appellante lamenta che la motivazione del provvedimento sarebbe meramente apparente, non spiegando per quale ragione si sarebbe potuto realizzare l’asfaltatura nonostante le temperature risultanti dai bollettini (forniti dalla ditta).
6 – L’appello è infondato.
Infatti, i provvedimenti impugnati appaiono, seppur in modo stringato, debitamente motivati, evidenziando come le condizioni atmosferiche che hanno caratterizzato il periodo di interesse non fossero sufficienti ad integrare i presupposti per il riconoscimento della Cassa Integrazione.
6.1 – In generale, la giurisprudenza ha già avuto modo di affermare, con orientamento condivisibile, che “la cd. socializzazione del costo del lavoro interviene in presenza di accadimenti che esulano dalla sfera di controllo e di prevedibilità dell’imprenditore, sia che essi attengano a fatti naturali (condizioni stagionali impeditive dell’ordinario andamento dei lavori), sia a fatti umani esterni, che sfuggono al dominio, secondo l’ordinaria diligenza, di chi organizza i fattori di impresa, comprensivi dell’impiego della mano d’opera. Segue che rientrano ordinariamente nella seconda tipologia gli eventi oggettivamente imprevedibili ai quali l’imprenditore non può sottrarsi quali: il caso fortuito, la forza maggiore, il “factum principis”, ovvero l’illecito del terzo. Il loro verificarsi determina, con carattere di ineludibilità, l’interruzione dei lavori con ricaduta sugli oneri di retribuzione dei lavoratori a tal fine assunti. L’evento interruttivo è, invece, imputabile al datore di lavoro, ovvero alla committenza nei casi di contratto di appalto, quando esso si riconduce all’erroneità delle scelte tecniche in sede di progettazione; alla non corretta modulazione ed impegno delle maestranze in relazione all’ordinaria e prevedibile esecuzione del progetto, ovvero all’omessa previsione di possibili situazioni impeditive dell’ordinario prosieguo dei lavori” (Cons. Stato, sez. VI, 22 novembre 2010, n. 8218).
7 – Tanto precisato, nel caso di specie, non appare determinante la presenza di condizioni di freddo e gelo – addotte dalla Società a giustificazione della predetta sospensione – perché dette intemperie devono pur sempre riguardare fatti esterni, imponderabili, e dunque non dominabili da chi organizza l’impiego della mano d’opera dell’impresa. Viceversa, visti i mesi invernali in cui si è verificata la sospensione, deve rilevarsi che le basse temperature riscontrate nella zona geografica di riferimento non appaiono affatto imprevedibili, essendo in linea con le condizioni atmosferiche del periodo. Ne deriva che la Società appellante avrebbe dovuto, in base al canone dell’ordinaria diligenza, prevedere tali effetti climatici e, quindi, avrebbe dovuto organizzare il lavoro delle proprie maestranze in modo alternativo al fine di non dover ricorrere alla sospensione dei lavori.
Recentemente, questa Sezione ha precisato che “non è sufficiente che la singola causa interruttiva dello svolgimento dell’attività lavorativa integri di per sé gli estremi del caso fortuito o forza maggiore, ma è necessario che la sua realizzazione, globalmente considerata, non sia dipesa dalla condotta del datore di lavoro” (Cons. Stato, Sez. VI, 16 maggio 2018, n. 2912).
8 – Non vale a superare le considerazioni innanzi esposte il fatto che l’appellante si occupi solo di lavori di asfaltatura e sia costantemente costretta a lavorare all’aperto, e pertanto sia impossibilitata ad impiegare diversamente gli operai in caso di avverse condizioni atmosferiche.
8.1 – Oltre alle considerazioni già svolte in riferimento alla necessità di una previdente ed adeguata gestione dell’impresa in vista di eventi generalmente prevedibili, non può non rilevarsi come l’affermazione riportata appare del tutto generica e priva di adeguati riscontri concreti, e dunque inidonea a superare le ragioni del diniego.
A questo riguardo, deve infatti ricordarsi che: l'”istituto della cassa integrazione guadagni opera in via di eccezione alla regola del sinallagma dell’obbligo retributivo, con assunzione dello stesso a carico della collettività, e quindi con regole di stretta interpretazione quanto ai presupposti che danno luogo l’intervento di garanzia del lavoratore” (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 22 novembre 2010, nn. 8128 ed 8129).
9 – Il rigetto dell’appello principale proposto dalla Società, comporta l’improcedibilità dell’appello incidentale proposto dall’INPS, non essendo più ravvisabile alcun interesse all’esame dello stesso a seguito del rigetto del ricorso.
10 – Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, sono poste a carico della Società appellante.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Sesta), definitivamente pronunciando, rigetta l’appello principale e dichiara improcedibile l’appello incidentale.
Condanna l’appellante alla refusione delle spese di lite in favore dell’Amministrazione, che si liquidano in Euro2.000 oltre accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 luglio 2018 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Bernhard Lageder – Consigliere
Francesco Mele – Consigliere
Giordano Lamberti – Consigliere, Estensore
Italo Volpe – Consigliere

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