Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 20 novembre 2017, n. 5325. Il soggetto che ha prestato acquiescenza al rigetto dell’istanza di sanatoria di opera da lui abusivamente realizzata, decade dalla possibilità di rimettere in discussione le ragioni del diniego in sede di impugnazione dell’ordine di demolizione

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Come anticipato, rispetto a tali contestazioni, riguardanti i vizi dell’ordinanza di demolizione derivanti dell’asserita illegittimità del diniego di condono, la sentenza impugnata deve essere confermata, essendo pacifico che il diniego di condono si è consolidato, per non essere stato tempestivamente impugnato, con la conseguente inammissibilità di ogni censura relativa ad eventuali vizi di detto provvedimento. La soluzione è conforme all’orientamento espresso della giurisprudenza in casi analoghi secondo cui: “il soggetto che ha prestato acquiescenza al rigetto dell’istanza di sanatoria di opera da lui abusivamente realizzata, decade dalla possibilità di rimettere in discussione le ragioni del diniego in sede di impugnazione dell’ordine di demolizione, atteso che quest’ultimo in detto diniego, divenuto definitivo perché non impugnato, rinviene il suo presupposto” (Cons. St. sez. VI, n. 3744/2015). Il Collegio ritiene di dare continuità a tale arresto, in quanto espressione del più generale principio secondo il quale qualora sussista un rapporto di presupposizione tra atti, l’omessa o tardiva impugnazione dell’atto presupposto rende inammissibile il ricorso giurisdizionale proposto contro l’atto consequenziale, ove non emerga la deduzione di vizi propri che possano connotare un’autonoma illegittimità della singola fase procedimentale di attuazione (ex multis Cons. St. sez. V, del 05.12.2014 n. 6012). Anche alla luce di tale precisazione, devono invece essere attentamente scrutinati quei motivi con i quali vengono dedotti autonomi profili di illegittimità dell’ingiunzione di demolizione, erroneamente non esaminati nella sentenza impugnata.
5.Tanto precisato, con il secondo motivo di appello, che ripropone il secondo motivo di ricorso in primo grado, Ma. Pa. lamenta l’eccesso di potere, la contraddittorietà del provvedimento impugnato, la violazione di legge; nonché l’inesistenza\nullità dell’atto presupposto. Più precisamente, l’appellante lamenta la violazione dell’art. 31 del D.P.R. 380/2001, sostenendo che anche l’ingiunzione di demolizione doveva essere notificata a Cardone Guido, in quanto autore dell’abuso. In assenza della stessa l’ordine di demolizione sarebbe viziato.
La doglianza è infondata per le ragioni di seguito esposte.
Invero, deve affermarsi che il difetto di notifica dell’ingiunzione di demolizione nei confronti di un terzo ipotetico destinatario, non integra alcun vizio del provvedimento regolarmente notificato all’appellante. In generale, la mancata notifica del provvedimento preclude solo che questo possa esplicare efficacia nei confronti del suo destinatario (cfr. Cons. St., sez. IV, 15 maggio 2009, n. 3029). Pertanto, posto che il provvedimento è stato pacificamente notificato al ricorrente, esso esplica pienamente la sua efficacia nei suoi confronti, stante il consolidato orientamento secondo cui l’ordine di demolizione di opere abusive è legittimamente notificato al proprietario catastale dell’area (Cons. Stato, Sez. IV, 23 febbraio 2013, n. (omissis)79; cfr. anche Sez. VI, 4 ottobre 2013, n. 4913).
6. E’ invece fondato il primo motivo di appello, che ripropone il quinto motivo di ricorso nel giudizio di primo grado, con il quale l’appellante deduce che nell’ingiunzione a demolire le presunte opere abusive non erano indicate, né venivano definite compiutamente, rendendo, oltre che illegittimo, sostanzialmente non attuabile il provvedimento. Dalla lettura del provvedimento impugnato è agevole constatare che nel dispositivo dello stesso, l’ordine di demolizione viene riferito “alle opere citate in premessa”. Nella premessa queste non sono identificate, rinviandosi genericamente alle opere di ampliamento oggetto del procedimento di condono. Tuttavia, non può ritenersi che l’onere di motivazione sia stato assolto per relationem grazie a tale rinvio. Invero, anche nel provvedimento di diniego di condono notificato all’appellante, le opere asseritamente abusive non sono individuate; né lo sono nell’originaria istanza di condono. In quest’ultimo atto è desumibile unicamente che l’illegittimità riguarda un volume totale di mc. 6,80 per una superficie calpestabile di mq. 2,50. Ad avvalorare gli assunti che precedono giova ricordare che lo stesso Comune, nell’ambito del procedimento di condono, ha più volte sollecitato l’istante a fornire i chiarimenti necessari alla definizione della pratica (nota prot. 4327/86, nota prot. 3690/06, nota prot. 5121/2012, nota prot. 3437/2014), stante l’impossibilità di identificare le porzioni di immobile oggetto della richiesta di sanatoria. Infine, non risulta idoneo a superare tale censura il fatto allegato dal Comune in giudizio, secondo cui l’appellante sarebbe comunque consapevole delle porzioni dell’immobile abusive e che queste sarebbero desumibili dal raffronto tra la planimetria allegata al contratto di compravendita intercorso tra lo stesso ed il suo dante causa (Gu. Ca.), e quella successivamente depositata dall’appellante con l’istanza 20220/2001, trattandosi di circostanze che esulano dalla vicenda procedimentale per cui è causa, non essendo recepite in alcun atto del procedimento di condono; né di quello sfociato nell’ordinanza di demolizione e dunque inidonee a sanare in questa sede le carenze dell’ordinanza impugnata. Alla luce delle considerazione che precedono risulta pertanto fondato il motivo di appello in esame, posto che le presunte opere abusive non sono state indicate nel provvedimento e questo deve ritenersi per ciò illegittimo (cfr. Cons. St. 720/1999).
7. Pertanto, l’appello deve essere accolto con riferimento all’ordine di censure appena delibato, e, in riforma della sentenza impugnata, deve trovare parimenti accoglimento il ricorso di primo grado. Le spese di lite dei due gradi di giudizio possono essere compensate, anche in ragione della condotta inerte dell’appellante a fronte delle richieste istruttorie del Comune.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta,
definitivamente pronunciando accoglie l’appello e, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado nei sensi di cui in motivazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 settembre 2017 con l’intervento dei magistrati:
Luciano Barra Caracciolo – Presidente
Bernhard Lageder – Consigliere
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Francesco Mele – Consigliere
Giordano Lamberti – Consigliere, Estensore

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