Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 18 ottobre 2017, n. 4835. L’art. 10, comma 1, lettera c) del TUE, individua, in modo tassativo, quali sono gli interventi per i quali è necessario il permesso di costruire

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2.– L’appello è fondato.
L’art. 3, comma 1, lettera d), del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) prevede che sono qualificati interventi di ristrutturazione edilizia, tra gli altri, anche «gli interventi consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica».
L’art. 10, comma 1, lettera c), dello stesso decreto individua, in modo tassativo, quali sono gli interventi per i quali è necessario il permesso di costruire e tra essi indica soltanto «gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni».
L’art. 22, comma 1, lettera c) dispone che sono assoggettati a segnalazione certificata di inizio attività, tra l’altro, «c) gli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all’articolo 3, comma 1, lettera d), diversi da quelli indicati nell’articolo 10, comma 1, lettera c.».
Dall’analisi sistematica della normativa sopra riportata risulta la fondatezza di tutte le censure sopra riportate. In primo luogo, e il rilievo ha valenza assorbente, l’intervento in esame rientra tra quelli per i quali è sufficiente, ai sensi del citato art. 22, comma 1, lettera c), la segnalazione certificata di inizio attività. Ne consegue l’illegittimità del diniego da parte del Comune di proseguire nello svolgimento della relativa attività.
In secondo luogo, tale qualificazione è stata effettuata con sentenza n. 2910 del 2015, passata in giudicato, dello stesso Tribunale amministrativo.
In essa si è espressamente affermato che «l’intervento di ristrutturazione edilizia mediante demolizione e ricostruzione, senza modifica di sagoma, superficie, volume e destinazione d’uso, non richiederebbe necessariamente il permesso di costruire, ma potrebbe essere realizzato mediante dia/scia». Tale sentenza, nei suoi passaggi più rilevanti, viene richiamata nella sentenza oggetto della presente impugnazione ma essa, poi, in modo contraddittorio rispetto alla prima parte della motivazione, rigetta il ricorso, rilevando la non sufficienza della scia. In terzo luogo, l’atto impugnato, è privo di adeguata motivazione, in quanto il divieto imposto viene motivato in ragione della generica «mancanza di titoli autorizzativi», laddove, come sostiene correttamente l’appellante, la scia è una segnalazione sostitutiva dei titoli autorizzativi.
Infine, si tenga conto che l’annullamento della variante urbanistica, che ha condotto l’amministrazione ad adottare, inizialmente, l’atto di autotutela del permesso di costruire, non incide sull’intervento in questione atteso che lo stesso, per le ragioni esposte, non ha costituito una nuova edificazione con aumento di volumetria ma un mero intervento di ristrutturazione con invarianza della volumetria pregressa.
In definitiva, per le ragioni esposte, l’atto di «divieto di prosecuzione di segnalato inizio di attività», impugnato in primo grado, deve essere annullato, il che determina la privazione di effetti, a prescindere dalla sua natura, anche della richiesta che l’amministrazione comunale ha inoltrato all’Agenzia delle entrate. 3.– La spese sono liquidate, secondo la regola della soccombenza, come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando: a) accoglie l’appello proposto con il ricorso indicato in epigrafe e, per l’effetto, in riforma della sentenza 27 novembre 2015, n. 5492 del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Napoli, accoglie il ricorso di primo grado e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati in primo grado; b) la parte appellata è condanna al pagamento, in favore della parte appellante, delle spese del doppio grado di giudizio che si determino in complessive euro 6.000,00, oltre accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

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