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Per la giurisprudenza che il Collegio condivide e fa propria (v. Cons. St., nn. 2516/2012, 116/2012, 7183/2010, 1067/2010), la documentazione richiesta deve costituire mezzo utile o necessario per la difesa dell’interesse giuridicamente rilevante ma non strumento di prova diretta della lesione di tale interesse. L’interesse all’accesso ai documenti deve essere cioè considerato in astratto, escludendosi che, con riferimento al caso specifico, possa esservi spazio, per l’amministrazione, per compiere apprezzamenti sulla fondatezza o sulla ammissibilità della domanda giudiziale proponibile, non potendo cioè la legittimazione all’accesso essere valutata avendo riguardo alla fondatezza della pretesa sostanziale sottostante, ma avendo essa, come si è anticipato sopra, consistenza autonoma (e spettando ogni valutazione processuale sulla effettiva rilevanza dei documenti a fini probatori al giudice della causa “sottostante”: sulla non spettanza all’Amministrazione di un giudizio anticipato di non rilevanza dei documenti richiesti ai fini dell’altra azione giudiziale instaurata, va richiamata anche Cons. Stato, IV, n. 1134/2014, alle cui argomentazioni si fa rinvio anche ai sensi degli articoli 60, 74 e 88, comma 2/d) del c. p. a., secondo cui l’autonomia della domanda di accesso comporta che il giudice, chiamato a decidere su tale domanda, deve verificare solo i presupposti legittimanti la richiesta di accesso, e non anche la ricevibilità, l’ammissibilità o la rilevanza dei documenti richiesti rispetto al giudizio principale, sia esso pendente o meno; conf. Cons. Stato, V, n. 116 del 2015, cit., specie laddove si afferma che “non si può lasciare all’amministrazione il sindacato sull’utilità e sulla efficacia del documento in ordine all’esito della causa”.
Fermo restando dunque che la valutazione di necessità di cui all’art. 24, comma 7, cit. non può essere intesa in senso così stringente da affidare al soggetto pubblico al quale è rivolta l’istanza di accesso una sorta di improprio giudizio prognostico circa l’esito del giudizio rispetto alla cui proposizione la domanda di accesso costituisce strumento, guardando più da vicino la fattispecie per cui è causa, risulta condivisibile il rilievo di parte appellante sull’esistenza di un collegamento stretto tra la documentazione richiesta, gli interessi giuridici da difendere e la vicenda giudiziale pendente, basato sull’esigenza di confrontare gli elaborati tecnici della intesa appellata con i “progetti tecnici propri”.
Plausibilmente le appellanti soggiungono, in relazione alle verifiche ministeriali in corso sui progetti presentati, che la conoscenza del progetto tecnico della “intesa Te.” è necessaria anche in vista dell’appagamento di un interesse strumentale alla ripetizione della procedura.
Sulla prevalenza dell’accesso difensivo nella materia, contigua, della esibizione della offerta tecnica nell’ambito delle procedure disciplinate dal d.lgs. n. 163 del 2006 e, ora, dal d.lgs. n. 50 del 2016, si ritiene utile fare rinvio a Cons. Stato, IV, sent. n. 3431 del 2016 e alle ordinanze del Tar Lazio nn. 2658 e 10596 del 2016, considerando inoltre che non risulta dimostrata l’esistenza di un segreto tecnico e che, come bene osserva parte appellante, chi partecipa a una procedura deve naturalmente accettare una deminutio del proprio diritto alla riservatezza, in ragione della preminenza degli interessi pubblici in gioco, tra in quali rientra anche quello alla trasparenza dell’intero procedimento.
Peraltro anche qui, come si è rilevato sopra (v. p. 5.2. in finem), l’esibizione degli elaborati tecnici in parola ben potrà essere circoscritta a quanto risulti assolutamente indispensabile a far conoscere i dati tecnici rilevanti ai fini della causa “principale”.
Sotto una diversa angolazione, non si ravvisa alcun contrasto tra la esibizione del progetto tecnico-radioelettrico del CR. e le previsioni sulla esclusione di cui all’art. 2 del d. m. n. 296 del 1996, dato che si fuoriesce dal novero delle ipotesi di sottrazione all’accesso di cui all’art. 2 del citato d. m., non venendo in considerazione in via né diretta né precipua, né l’esibizione di documentazione “relativa alla situazione finanziaria, economica e patrimoniale di persone, gruppi ed imprese
comunque utilizzata ai fini dell’attività amministrativa (lettera l); e neanche (v. lettera n-bis) “documentazione riguardante i titolari di licenze individuali””.
In conclusione, l’appello va accolto e l’ordinanza impugnata va riformata.
Per l’effetto, va ordinato al Ministero, in persona del dirigente competente, di esibire alla parte appellante i documenti richiesti, entro 30 giorni dalla comunicazione in via amministrativa, ovvero dalla notificazione, se anteriormente effettuata, della presente ordinanza.
Nonostante l’esito della impugnazione, la complessità della materia sulla quale si è innestato il giudizio odierno e la novità delle questioni sollevate giustificano in via eccezionale la compensazione tra le parti delle spese e dei compensi del doppio grado.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Sesta), definitivamente decidendo sull’appello in epigrafe n. 5116 del 2017, lo accoglie per le ragioni e nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, in riforma dell’ordinanza impugnata, ordina al MISE, in persona del dirigente competente, di consentire l’esibizione dei documenti richiesti entro 30 giorni.
Spese del doppio grado del giudizio compensate.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 9 novembre 2017, con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente
Silvestro Maria Russo – Consigliere
Marco Buricelli – Consigliere, Estensore
Dario Simeoli – Consigliere
Italo Volpe – Consigliere
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