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In merito al primo rilievo, va evidenziato che l’assunto per cui “la In. non è una società per azioni (per cui il possesso di una percentuale minima del capitale è in genere ininfluente ai fini delle determinazioni della società), ma una società a responsabilità limitata di cui fanno parte soltanto 4 soci. Per tale ragione la partecipazione del Marengo, che peraltro è stato socio ed amministratore della In. fino al 5.2.2015 (cfr. memoria Ferrovia dello Stato pag. 7) nella medesima In. non può non assumere rilievo in ordine alla riconducibilità delle due aziende ad un unico centro decisionale”, senza ulteriori riscontri rischia di ridursi ad una petizione di principio.
Invero, nella sentenza appellata non viene innanzitutto chiarito il prius logico della questione, ossia a chi farebbe capo (a CPA, ad In. s.r.l. o allo stesso sig. Marengo, uti dominus) il suddetto “unico centro decisionale”, circostanza questa cui va riferito l’onere della prova di cui si è detto: è infatti del tutto evidente che, in assenza di tale preliminare chiarificazione, l’intero discorso appare del tutto generico ed indefinito e per tale insuscettibile di effettivo riscontro.
Ciò detto, non appare convincente il presupposto per cui, non essendo In. s.r.l. una società per azioni bensì una s.r.l., la titolarità, da parte di un membro del Cda di CPA, di una quota pari ad appena l’1,4% del suo capitale sociale della prima non potrebbe dirsi a priori “ininfluente ai fini delle determinazioni della società”: invero, trattandosi pur sempre di una società di capitali, tanto più con un ristretto numero di soci (e, dunque, a capitale fortemente accentrato nella mani di alcuni soli di essi), la determinazione delle sue strategie aziendali è determinata dalla volontà dei soci di maggioranza, ben poco (se non nulla) potendo incidere la quota in questione.
Il tutto, ovviamente, sul presupposto – peraltro non chiarito in sentenza – che il centro decisionale sia riconducibile all’appellante CPA.
Nel caso in cui invece lo si volesse riferire ad In., società che aveva originariamente costituito – il 16 aprile 2013 – la Ce. Pr.In. s.r.l., poi ceduta a terzi il 13 maggio dello stesso anno per quindi mutare – nel 2015 – la propria denominazione in “Ce. Pr. As. s.r.l.” (odierna appellante), l’argomento avrebbe ancora minor rilevanza probante, in quanto non indicativo di un controllo o, perlomeno, di un’obiettiva influenza dell’originaria costituente nei confronti di CPA, nel frattempo passata sotto il controllo di un diverso gruppo imprenditoriale.
Sotto quest’ultimo punto di vista, invero, CPA ha attestato (docc. 1 e 2 di parte appellante) come fosse venuto meno, sin dal 13 maggio 2013, ogni collegamento giuridico ed imprenditoriale con In. s.r.l., l’intero capitale sociale di Ce. Pr.In. s.r.l. essendo stato acquisito da Centro Perizie s.r.l., società controllata al 100 % da Gruppo Mu. On. s.p.a. (che nulla ha a che fare con l’originaria costituente).
Inoltre, il 31 dicembre 2015, in occasione dell’approvazione del bilancio sociale, l’attuale legale rappresentante di In. s.r.l. rassegnava le dimissioni da Presidente del Consiglio di Amministrazione di Ce. Pr.In. s.r.l. (incarico peraltro privo di deleghe operative), che gli era stato conferito al momento dell’acquisizione di quest’ultima da parte del Gruppo Mu. On. s.p.a. in attuazione di accordi tra le parti volti a tutelare il diritto della cedente ad un earn out, la cui parte variabile era parametrata sul fatturato che Ce. Pr.In. s.r.l. avrebbe conseguito nel 2014 (doc. 4 di parte appellante).
Quanto sopra, anche alla luce del precedente di Cons. Stato, V, 8 aprile 2014, n. 1668 (per cui “eventuali comunanze a livello strutturale sono di per sé insufficienti, essendo indispensabile verificare se tale comunanza abbia avuto un impatto concreto sul rispettivo comportamento nell’ambito della gara, con l’effetto di determinare la presentazione di offerte riconducibili ad un unico centro decisionale”) toglie rilevanza al primo degli elementi “sintomatici” individuati nella decisione di primo grado.
Anche il secondo profilo, relativo ai collegamenti tra i siti web, seppur suggestivo non appare da sé solo (né in rapporto al precedente) in grado di offrire un adeguato supporto probatorio.
Ad avviso del primo giudice, tali connessioni sarebbero comunque sintomatiche “di una cointeressenza commerciale e di uno legame assai stretto tra le due aziende, incompatibile con una (normale) dinamica concorrenziale, quale è quella che dovrebbe esistere tra imprese che partecipano ad una gara per l’aggiudicazione di servizi”, laddove non potrebbe semplicemente parlarsi – come dedotto dalla stazione appaltante e da CPA – di semplici logiche di marketing online, e nello specifico di Search Engine Optimisation (SEO).
Al riguardo, si legge in sentenza, “non è logico che due aziende come quelle in esame, le quali partecipano ad una gara al fine di ottenere l’aggiudicazione di un servizio in termini esclusivi e che dichiarano di non aver alcun tipo di collegamento di natura commerciale, possano intrattenere legami come quelli sopra delineati”.

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